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意语阅读:《海上钢琴师》剧本(15)
日期:2011-08-25 14:54  点击:353


Novecento... Perché non scendi?

Perché?

Perché?

Fu d'estate, nell'estate del 1931, che sul Virginian salì Jelly Roll Morton. Tutto vestito di bianco, anche il cappello. E un diamante così al dito.

Lui era uno che quando faceva i concerti scrive va sui manifesti: stasera Jelly Roll Morton, l'inventore del jazz. Non lo scriveva così per dire: ne era convinto: l'inventore del jazz. Suonava il pianoforte.

Sempre un po' seduto di tre quarti, e con due mani che erano farfalle. Leggerissime. Aveva iniziato nei bordelli, a New Orleans, e l'aveva imparato lì a sfiorare i tasti e accarezzare note: facevano l'amore, al piano di sopra, e non volevano baccano. Volevano una musica che scivolasse dietro le tende e sotto i letti, senza disturbare. Lui faceva quella musica lì. E in quello, veramente, era il migliore.

Qualcuno, da qualche parte, un giorno, gli disse di Novecento. Dovettero dirgli una cosa tipo: quello è il più grande. Il più grande pianista del mondo. Può sembrare assurdo, ma era una cosa che poteva succedere. Non aveva mai suonato una sola nota fuori dal Virginian, Novecento, eppure era un personaggio a suo modo celebre, ai tempi, una piccola leggenda. Quelli che scendevano dalla nave raccontavano di una musica strana e di un pianista che sembrava avesse quattro mani, tante note faceva. Giravano storie curiose, anche vere, alle volte, come quella del senatore americano Wilson che si era fatto il viaggio tutto in terza classe, perché era lì che Novecento suonava, quando non suonava le note normali, ma quelle sue, che normali non erano. C'aveva un pianoforte, là sotto, e ci andava di pomeriggio, o la notte tardi. Prima ascoltava: voleva che la gente gli cantasse le canzoni che sapeva, ogni tanto qualcuno tirava fuori una chitarra, o un'armonica, qualcosa, e iniziava a suonare, musiche che venivano da chissà dove... Novecento ascoltava. Poi incominciava a sfiorare i tasti, mentre quelli cantavano o suonavano, sfiorava i tasti e a poco a poco quello diventava un suonare vero e proprio, uscivano dei suoni dal pianoforte - verticale, nero - ed erano suoni dell'altro mondo. C'era dentro tutto: tutte in una volta, tutte le musiche della terra. C'era da rimanere di stucco. E rimase di stucco, il senatore Wilson, a sentire quella roba, e a parte quella storia della terza classe, lui, tutto elegante, in mezzo a quella puzza, perché era puzza vera e propria, a parte quella storia, lo dovettero portare giù di forza, all'arrivo, perché se era per lui sarebbe rimasto là sopra, a sentire Novecento per tutto il resto dei fottuti anni che gli restavano da vivere. Davvero. Lo scrissero sui giornali, ma era vero sul serio. Era proprio andata così.


 


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