Ora guardavo fisso l’improvvisa apparizione con gli occhi fuori dall’orbita per lo stupore.
Dovete pensare che mi trovavo a mille miglia da una qualsiasi regione abitata, eppure il mio
ometto non sembrava smarrito in mezzo alle sabbie, nè tramortito per la fatica, o per la
fame, o per la sete, o per la paura.
Niente di lui mi dava l’impressione di un bambino sperduto nel deserto, a mille miglia da
qualsiasi abitazione umana.
Quando finalmente potei parlare gli domandai: “Ma che cosa fai qui?”
Con tutta risposta, egli ripetè lentamente come si trattasse di cosa di molta importanza:
“Per piacere, disegnami una pecora…”
Quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire.
Per assurdo che mi sembrasse, a mille miglia da ogni abitazione umana, e in pericolo di
morte, tirai fuori dalla tasca un foglietto di carta e la penna stilografica.
Ma poi ricordai che i miei studi si erano concentrati sulla geografia, sulla storia, sull’aritmetica
e sulla grammatica e gli dissi, un pò di malumore, che non sapevo disegnare. Mi rispose:
“Non importa. Disegnami una pecora…”
Non avevo mai disegnato una pecora e allora feci per lui uno di quei disegni che avevo fatto
tante volte: quello del boa dal di dentro; e fui sorpreso di sentirmi rispondere:
“No, no, no! Non voglio l’elefante dentro il boa. Il boa è molto pericoloso e l’elefante molto
ingombrante. Dove vivo io tutto è molto piccolo. Ho bisogno di una pecora: disegnami una
pecora”.
Feci il disegno.