Nella sala deserta le ombre del crepuscolo si addensavano. Gl'invitati erano partiti «per non disturbare» contenti in fondo all'anima di avere un pretesto per allontanarsi dalla casa divenuta improvvisamente tetra, opprimente.
Don Paolo non era morto: gli sforzi del Pisani erano riesciti, dopo alcune ore di lotta; l'immediato pericolo si poteva dire scongiurato. Ora l'infermo dormiva e il professore vegliava al suo capezzale, insieme a Vittorio Giudici il piccolo zoppo.
Quel sonno poteva essere una salvezza.
[24]
Fausto si allontanò sapendo che la sua presenza non era assolutamente necessaria. Un'altra inquietudine lo dilaniava: un'ansia più acuta lo chiamava fuori.
Che faceva Argìa? Che cosa pensava?... Non una parola avevano potuto scambiare da solo a sola, non una parola, dopo quello che era avvenuto!...
Il professore e Vittorio, che indovinavano la febbre ond'egli era arso, lo incoraggiarono ad uscire un poco. Andasse a respirare una boccata d'aria, ne aveva bisogno.
Cautamente egli frugò la casa. Dall'uscio socchiuso di un salottino sentì la voce di Amelia che discorreva con Bice Chiari, e passò via smorzando il rumore dei passi per non essere costretto a fermarsi.
La Carmela dormiva su un canapè.
Di Argìa neppur l'ombra.
In casa, non era. Bisognava cercarla fuori. Dove?
[25]
Uscì, risoluto a cercarla da per tutto.
Il sole, giunto all'estrema linea dell'orizzonte, illuminava tutto il cielo di una luce vivida, rossastra. La corte chiusa dall'alto muro era tutta in ombra, eccetto le cime dei due grandi alberi che da molti anni sorgevano nei due angoli estremi a Sud-Est e a Sud-Ovest eccetto il tetto della casa e i vetri di alcune finestre che scintillavano come tanti braceri. Già l'aria era fredda e impregnata del vapore vespertino; e l'erba, molle di rugiada.
Un brivido corse per l'ossa del giovine.
Argìa! Argìa!
Dove s'era nascosta?
Se non l'avesse amato più?.. Se non avesse voluto più saperne di lui?... Chi sa quante cose le avevano dette! Chi sa di quali vigliaccherie lo avevano accusato!... Ma perchè era egli stato tanto crudele con sè e con lei?... Perchè l'aveva lasciata così, senza una parola di conforto?... Sei mesi... sei lunghi mesi!.. e amandola tanto!..
[26]
Era stato uno scrupolo, un eccesso di lealtà. Finchè non era sicuro di poterla sposare, non aveva voluto legarla: non dare una promessa, prima di sapere se l'avrebbe realmente mantenuta.
E intanto forse ne aveva perduto l'amore!
Forse l'aveva offesa irreparabilmente!... Certo, fatta soffrire, ferita nel fondo del cuore... Oh! Dio! Dio!... Se ella non avesse voluto perdonargli?!... Era stata così seria, tutto quel giorno, così malinconica... Non una parola affettuosa gli aveva concesso, non un sorriso incoraggiante, nulla!...
Ed ora lo fuggiva... si nascondeva forse, prevedendo ch'ei la cercava, volendo sottrarsi alle spiegazioni.
Ma egli non si rassegnava davvero ad una condanna così recisa, senza difendersi, senza giustificarsi. Ah! no! per Iddio!... In qualunque luogo ella si fosse cacciata, l'avrebbe trovata, costretta ad ascoltarlo...
[27]
Fausto amava Argìa con tutto l'impeto dell'anima, come si ama nell'ardore della prima giovinezza, allorchè, per singolare ventura, ci si è imbattuti in una creatura che risponde ai nostri più intimi desideri.
Amico di Filippo Pisani egli conosceva Argìa da un pezzo. Ma l'amore non era nato in lui a poco a poco, come una cristallizzazione. Fino a due anni addietro, credeva di non amarla affatto: gli pareva troppo conscia di sè, troppo altera.
L'amore l'aveva colpito tutto in una volta, una sera di carnevale, durante un ballo, vedendo Argìa passare da un braccio all'altro, e ballare e ballare, senza mai stancarsi, con evidente entusiasmo.
Egli aveva sentito come un morso al cuore, e la passione era scoppiata in tutto il suo essere simile ad un incendio che un soffio di vento scatena improvvisamente.
Gli sguardi della fanciulla autorizzarono le sue assiduità con una muta simpatia.
[28]
Malgrado ciò egli non si spiegò subito.
Carattere guardingo, delicato, non poteva risolversi a contrarre un impegno difficile a mantenere. Sapeva che sua madre aveva altre mire per lui, e prima di mettersi nella lotta voleva misurare le proprie forze. D'altra parte quell'affetto occulto, quella tenera inconsapevolezza, quella specie di sospensione sul limitare della vita, piacevano immensamente al suo cuore mistico e sentimentale.
Intanto sua madre l'aveva penetrato; e per allontanarlo da quello ch'essa chiamava il pericolo, gli aveva fatto interrompere gli studi, trattenendolo presso di sè a Mantova col pretesto che era ammalata e che aveva bisogno di lui per guarire.
Apparentemente, il giovine aveva ceduto. In fondo in fondo, egli avrebbe voluto cedere completamente e obbedire a quella madre adorata. Ma l'amore combattuto si era fatto più forte, ed avea vinto tutto.
[29]
Dopo cinque mesi di angoscie e di combattimenti, Fausto aveva scritto a don Paolo pregandolo di recarsi a Mantova e di aiutarlo a convincere i suoi genitori ch'egli non poteva vivere senza l'amore di Argìa Pisani.
E don Paolo, sempre poeta, sempre innamorato idealmente delle belle fanciulle, era accorso all'appello del pronipote, e aveva appianato col suo intervento tutti gli ostacoli. La voce di don Paolo era indiscutibile in casa Lamberti; e ciò per molte ragioni, ma, specialmente perchè don Paolo era milionario e da parecchi anni aveva dimostrato di prediligere Fausto, il pronipote: e dichiarato pure che Fausto sarebbe stato il suo principale erede. La stessa donna Evangelina, femmina altera e tenace, la quale aveva pure un certo ascendente sul fratello di sua madre, non osava contraddirlo. Epperò, allorchè don Paolo diceva: «Questo si deve fare» nessuno fiatava. Disgustarlo sarebbe stato imprudente; poichè, [30]il signor Carlo Giudici, fratello minore del prete, carico di figli, spiava l'occasione propizia per tirare l'eredità in casa propria, sebbene fosse già ricco.
— Io ho sette figli — soleva dire il banchiere Carlo al canonico — sette figli che sono tuoi nipoti nel modo più diretto e che portano il tuo casato; possibile che tu non voglia considerarli almeno quanto Fausto che è tuo pronipote, e ancora, da parte di donne!...
Ma un giorno don Paolo perdette la pazienza.
— Da parte di donne!... Da parte di donne!... borbottò seccato — Chi sa cosa tu ti credi di dire!... Devi sapere che da parte di donna è la parentela migliore; certamente la più sicura!
Vittorio Giudici era uno dei sette figli del signor Carlo; ma lui non pensava ai denari come non vi pensava Fausto. Molte volte questa grande questione dell'eredità li aveva fatti ridere.
[31]
Vi pensava invece il professor Pisani. Fausto intuiva che egli non gli avrebbe accordato la mano di Argìa, se non avesse conosciute le intenzioni dell'abate.
Ma questo che gl'importava?
Si sa, i padri guardano al sodo.
Quanto alla fanciulla, non c'era dubbio.
Egli la conosceva profondamente; non era capace di mercanteggiare il suo amore, di sottomettere i suoi sentimenti al vile interesse. Essa l'avrebbe amato ugualmente se fosse stato povero; e se acconsentiva a sposarlo... Ma acconsentiva ella veramente, dopo quell'abbandono, dopo quei sei mesi di apparente obblio?... Sarebbe egli riescito a convincerla della verità?...
Questo il solo dubbio ch'egli potesse avere su lei; ma un dubbio crudele che lo pungeva come un terribile aculeo confitto nelle sue carni.
Il Pisani e don Paolo ignoravano affatto queste ansie del giovine.
[32]
Il Pisani, perchè conosceva troppo bene l'amore della sua figliola; don Paolo, perchè non poteva nemmeno supporre che una ragazza serbasse rancore a un giovine come Fausto. D'altra parte, pauroso che altri parlasse alla fanciulla, prima di lui, di quella cosa sacra che era l'amor suo, rischiando fors'anco di offenderla con malaccorte parole, Fausto aveva pregato l'abate di serbargli il segreto per alcuni giorni.
— Argìa sa tutto — egli aveva detto — e mi ama e mi accetta, ma desidera che non se ne parli ancora; aspetta la lettera di mamma...
Sorrideva ora amaramente di questa piccola astuzia. Un bell'aiuto, se Argìa lo rifiutava!
Giunto presso al cancello di fronte allo stradone, sostò perplesso.
Doveva cercarla per di là?...
Lo stradone era deserto. In fondo, tra le due file di gelsi e salici che parevano unirsi [33]stava ancora il sole come un gran disco d'oro su un cielo di madreperla.
Scorato, incerto, Fausto si allontanò dal cancello; tornò a girare per la corte.
— Dove sei? Dove sei?... Perchè mi fuggi?...
E stringeva i pugni con nervosa inquietudine.
Tutto a un tratto egli ebbe un soprassalto. Dalla cancellata dell'orto aveva intravveduta Argìa.
Ella era là in fondo, sotto al pergolato. Gli voltava le spalle; ma l'abbandono e la pesantezza con cui s'appoggiava alla tavola di marmo mostravano un grande abbattimento. Pareva che piangesse. Doveva sentirsi male. Chi sa!...
Entrò con rapido passo.
Improvvisamente ristette.
Piangeva davvero, Argìa!
Pareva disperata. Oh! perchè mai piangeva a quel modo la sua fanciulla?...
[34]
Egli tremava da capo a piedi; una nube gli oscurava la vista.
La stradicciuola scendeva davanti a lui per lieve declivio, coperta da una pergola lunga, una specie di tunnel fronzuto che l'autunno tingeva dei suoi sfarzosi colori di porpora e d'oro.
In fondo, il pergolato si allargava in un chiosco, e le viti s'intrecciavano a rosai bianchi, rossi e gialli, di quelli che durano a fiorire tutto l'autunno. L'esile timo, la maggiorana e le arboscello del ramerino spandevano intorno i dolci aromi. In mezzo al chiosco era una tavola e alcune panche di pietra.
Là sedeva Argìa, il bel corpo abbandonato; soprafatta da una crisi di pianto.
Fausto la guardava e il cuore gli batteva a colpi disordinati, e le gambe, fatte pesanti, gli davano la sensazione d'irradicarsi nel terreno. Ma un leggero movimento della fanciulla lo fece riscuotere; ed egli tornò a muovere [35]verso di lei cedendo ad un nuovo impulso. Non facevano alcun rumore i suoi passi sull'erba molle; eppure Argìa si voltò. Era pallidissima e aveva gli occhi pieni di lagrime.
Egli balbettò:
— Le dò noia?...
— No... no... Le pare?...
E arrossì e tacque.
— Si è sentita male?...
— No... Ero stanca..., triste...
«Il povero don Paolo mi ha fatto tanto senso!...
Chinò gli occhi imbarazzata; e il pallore del suo volto si tinse ancora una volta di un fuggevole carnato.
— L'ha visto?...
— Sì; ma poi non ho avuto coraggio di salire; mi son mancate le forze. Come sta adesso?
— Meglio assai. Il professore ha fatto miracoli. E lei dunque come sta?... Le sue mani bruciano.
[36]
Argìa ebbe un gesto di sbigottimento e ritirò vivamente le mani, che il giovine le aveva prese e teneva strette fra le sue con tenerezza.
Fausto non fiatò, sebbene quell'atto lo pungesse.
Restarono tutti e due imbarazzati e tristi, senza parole.
Dopo tanto amore, dopo tanti sogni, un tale incontro era stranamente freddo e penoso.
Ma Fausto aveva un pensiero fisso: qualunque cosa ella dicesse o facesse, non voleva addontarsene: non rischiare di perdere, per un vano puntiglio, quella preziosa occasione di spiegarsi con lei.
— ... Argìa!
La fanciulla trasalì e alzò su lui i grandi occhi pieni di sorpresa e di malinconia.
— Non m'intende?... Non sa cosa io voglio dirle?... Oh! Argìa!... Lasciami smettere questo lei odioso; lascia che io ti parli come ne' [37]miei sogni. Che io ti amavo da lungo tempo, tu lo sapevi: i miei occhi te l'avevano detto... Così io sapevo di non esserti indifferente. Vero, Argìa?...
«Capisco, capisco... non irritarti!... Sei mesi sono trascorsi... sei mesi di apparente oblio... e tu hai creduto che io ti avessi dimenticata... che amassi un'altra... Ebbene, senti... io posso avere avuto torto, ma non ho amato che te!... Ed ora sono qui per sempre e mio zio ha chiesto la tua mano al babbo; i miei acconsentono... Non ti basta?... No?... Ah! lo sapevi?... Sapevi... ed eri qui a piangere?! Oh! Argìa! Argìa! Come sei cattiva! Mi strazi il cuore...
Egli si era seduto vicino a lei, sulla stessa panca; le aveva ripresa una mano che portava alle labbra con passione. Ma Argìa non sentiva.
La testa bassa, le guancie irrigate di grosse lagrime, ella rimaneva immobile, come irrigidita.
[38]
— Piangi sempre?! Non mi darai dunque altra risposta che le lagrime?... Ma perchè, perchè piangi così?... Dillo!
Un singhiozzo gli rispose.
Ah! era proprio vero, Argìa non l'amava più. Quel cuore amareggiato dal dubbio non rispondeva più al suo.
Egli si era ingannato giudicandola una di quelle creature privilegiate, dalla fede incrollabile, che vivono e muoiono sotto l'impero della prima forte impressione: veri angeli d'amore, incapaci di analizzare e di discutere un sentimento; anime tetragone alle insinuazioni della maldicenza, perchè incapaci di ammettere il male nella persona che amano.
L'illusione cadeva. Argìa non era di quella tempra adamantina e purissima. Argìa aveva accolto, nutrito il dubbio.
Questo pensiero, sorto improvvisamente nell'anima del giovine, lo immergeva in profonda tristezza; ma non poteva distruggere di un [39]colpo l'immenso amor suo. Altre considerazioni sorgevano spontaneamente a difenderlo quell'amore.
Argìa soffriva; e chi sa quanto aveva sofferto e pianto!...
E quelle angosce, quelle lagrime erano segni evidenti di amore.
Meno ideale, meno ammirabile, essa gli appariva più umana e affascinante, e più vera.
E che dolcezza poterla consolare quella bella creatura che singhiozzava vicino a lui!... Che gioia immensa poter asciugare quello lagrime a forza di baci!... E ci sarebbe arrivato... l'avrebbe convinta: ne era sicuro.
Cominciò a parlarle dolcemente, diffusamente, del tempo passato, delle loro memorie giovanili, delle ingenue e preziose prove di simpatia ch'ella gli aveva dato in mille occasioni. Egli non aveva dimenticato nulla: le più tenui manifestazioni gli erano rimaste impresse incancellabilmente. Certe frasi, certe [40]inflessioni di voce.... certi sorrisi... tutto.... tutto, egli rammentava. Non avrebbe mai dubitato di lei, del suo cuore, qualunque cosa gli avessero detto... Lei invece...
La fanciulla balzò in piedi, tutta tremante, nervosa.
— Non vede che non ne posso più?... Non capisce che soffoco? Moviamoci... Andiamo via!... Ho bisogno d'aria libera.
Fausto obbedì. Pensò che si trovava davanti a una crisi di nervi e che bisognava lasciarla passare.
— Dove vuoi andare?...
— Laggiù... dove c'è un po' di luce. Quest'ombra è opprimente.
Andò diritta al frutteto, camminando a passi concitati lungo i filari dei mandorli e dei peschi.
L'anima sua sosteneva un fiero conflitto, tale conflitto terribile, che Fausto neppure immaginava.
[41]
Egli la seguiva tristamente, ma non senza speranza. La crisi sarebbe passata presto, e nel susseguente periodo di calma, egli avrebbe parlato ancora chiamando in suo aiuto nuovi argomenti più efficaci...
Non era possibile ch'essa non l'amasse, dacchè soffriva a quel modo. E poichè l'amava, doveva pure ascoltarlo un momento o l'altro.
Il sole era scomparso, ma larghe striscie rosse, gialle, rosate e violacee, tingevano qua e là il pallido azzurro del cielo. Le cime della rovere e del faggio che decoravano il cortile della villa ed erano i due più alti alberi dei dintorni, serbavano ancora un'aureola rosata.
Argìa si fermò improvvisamente appoggiandosi con le spalle al tronco di un pesco.
Guardava dinanzi a sè nel vuoto; ma quelle due corone luminose attirarono le sue pupille.
Rabbrividì e si contorse tutta.
— Maledetti alberi!.... Maledetta casa!.... [42]Vorrei abbattere ogni cosa... bruciare... distruggere!...
Si arrestò spaventata. Che cosa aveva detto?...
Tenero come una madre, il giovine si chinò su lei accarezzandola.
— Argìa! Argìa! povera piccina, sei ammalata, sei stanca; i tuoi poveri nervi accasciati protestano contro la ferocia della tua volontà. Dimentica i tuoi dolori, Argìa, dimentica i brutti giorni! Io sono qui, ti amo, sono tutto tuo... sposo..., amico..., fratello... quale tu mi vorrai!... Appoggiati su me; confidati all'amor mio!
Lentamente Argìa si staccò dall'albero e fissò i suoi occhi dolci in quelli del giovine.
Così soleva guardarlo una volta, quando lo amava. Quanto amore in quel lungo sguardo e che tenerezza!
Lo amava dunque ancora, poichè lo guardava a quel modo?...
Sommessamente egli la chiamò:
[43]
— Argìa!... Argìa! Angelo mio, mi ami ancora? Di' che mi ami ancora!...
Protese le braccia per stringerla, assetato di un abbraccio.
Ma la fanciulla lo respinse quasi con orrore.
— No, Fausto, no! Perderei la forza di respingerti se tu mi abbracciassi. E io ti devo respingere...
Si arrestò e tornò a concentrarsi.
Il giovine indietreggiò e ammutolì, stupito e dolente.
— Devi respingermi?... Non capisco, Argìa! Devi respingermi nel momento in cui io ti dico che ho chiesto la tua mano, che siamo fidanzati?... Sei pazza!
Le parole uscivano strozzate dalle labbra tremanti: una sorda irritazione lo vinceva.
Argìa si scosse e alzò ancora una volta gli occhi su lui, con una espressione di dolore intenso. Poi, con visibile sforzo, cercò di spiegarsi.
[44]
Era appunto perchè l'aveva chiesta che essa doveva respingerlo. Non potevano sposarsi, impossibile. Non la interrogasse. Soffriva più di lui... Non avrebbe parlato... Andasse via... via! Era inutile.
— Di' che non mi ami! Di' che ami un altro! — gridò Fausto esasperato.
— Non ti amo! Non ti amo!...
Ma la disperazione con cui essa pronunciava queste parole ne alterava il senso.
Fausto scattò.
Perchè piangeva se non l'amava? Che ragione aveva di disperarsi? Bugiarda!... Civetta! Perchè non l'aveva detto fin da principio? Perchè aveva fatto la commedia?... Vizio di femmine vane: fingere sempre! Giuocare all'eroina che si sacrifica... inventare dei misteri... tutto per mantenere l'amore ispirato, pure non sapendo che farsene.
— Ma io non mi appagherò di queste ciarle! — riprese egli con alterezza, dopo un istante [45]di silenzio. — Io voglio sapere tutto: sapere che cosa hai fatto che non puoi accettare la mano di un galantuomo!... Che cosa hai fatto: capisci?...
Si arrestò come spaventato dalle proprie parole. Aveva sentito una morsa di ferro serrargli la gola. Tacque e fece alcuni passi per il frutteto, in preda al parossismo.
Era la sua Argìa... la sua sposa, colei ch'egli apostrofava così duramente!...
Argìa si copriva la faccia in silenzio. Le pareva di morire.
Guardandola Fausto si calmò e riaccolse la speranza a cui il suo cuore fermo e tenace non sapeva rinunciare. Già si vergognava di aver ceduto a quell'impeto. Tornò accanto a lei che gemeva: tornò a parlarle con dolcezza.
L'aveva offesa: le domandava perdono.
L'impeto disperato di quel dolore così nuovo l'aveva trascinato. Del resto riconosceva il proprio torto: lei non aveva alcun dovere [46]verso di lui: era liberissima di amare un altro. Ma, se non amava un altro, se era vero che amava lui come negli anni passati... prima ch'egli si fermasse a Mantova quei maledetti mesi: se era vero quello che aveva detto, che lei pure soffriva... e questo si vedeva, povera Argìa!... se le cose stavano a quel modo, ella non poteva pretendere ch'egli si rassegnasse a perderla così, senza un perchè formidabile... forse per una ubbia!...
— No?... non è un'ubbia? Allora una sventura immensa... una cosa terribile?... Tu taci! Non neghi?... Oh! Argìa! Se tu sapessi quali sospetti, quali smanie desti nel mio povero cuore!...
La fanciulla ebbe un gesto desolato.
Un brivido corse le vene del giovine.
Eppure, non voleva arrendersi. Voleva combattere per la propria felicità: conquistarsela col sangue del cuore. E la speranza, sostenuta dall'energia dell'amore lo riconduceva [47]al primo pensiero: che Argìa non potesse credergli, che il dubbio le avesse spezzato il cuore.
— Senti Argìa, io ti comprendo! È per me che non vuoi... Sei nell'equivoco doloroso che i parenti miei e la gente pettegola hanno fatto sorgere fra noi. Tu credi ch'io abbia un impegno a Mantova con la contessina d'Arco... o almeno, pensi che l'abbia avuto e che io non mi sia sciolto completamente e temi, e non vuoi metterti in un conflitto umiliante e penoso. Se così fosse avresti ragione. Ma non è così. Io non ho alcun impegno. Non furono altro che chiacchiere. Un momento, sì... lo confesso... ho temuto di essere costretto a cedere alle preghiere della mia mamma... Sono sincero, l'avrei accontentata tanto volentieri povera mamma mia! È stata infelice tutta la vita, e ha concentrato tutte le sue speranze in me!... Ma non ho potuto: il mio cuore si è ribellato: il mio cuore [48]non poteva amare che te. E per te sono tornato qui, libero, e scevro di qualunque indelicatezza verso la contessina. Non le ho mai detto una parola d'amore: non le ho promesso nulla: posso giurarlo. Tu mi puoi credere perchè ho fatto lo stesso con te; non ho parlato fino a che non sono stato sicuro di sposarti. E tu mi credi, lo vedo. Dunque calmati, amore mio! Non piangere più: saremo felici: tanto felici!...
Argìa non rispose.
Si era lasciata cadere su un monticello di terra, e tornava a piangere, con la fronte nelle mani, piegata in due, annichilita.
Gli ultimi splendori del sole, riverberati sui punti più alti, sparivano.
Il breve crepuscolo autunnale moriva nel freddo grigio della nebbia. Un vento crudo, venuto su con la sera, portava in giro le foglie sparse, con un rumore leggero di cose morte. Sembrava quasi che la campagna, improvvisamente [49]abbrunata, presentisse la grande malinconia del vicino inverno.
Fausto non osava più insistere. Anche l'anima sua soggiaceva a un tetro presentimento di morte e di lutto. La sua ostinata speranza lo abbandonava di fronte alla desolazione di Argìa. I suoi pensieri si smarrivano. Era finito. Inutile lottare.
Affranto, scorato, si lasciò cadere vicino alla sua povera amica, e restò là in uno stato di rigidezza penosa, senza lagrime, come impietrito.
Nella sua mente non passavano che immagini confuse. Nessun pensiero netto si formulava, eccetto questo: che la sventura immane piombata sulle loro teste, li avrebbe annientati ben presto. E la voce interna e la gran voce misteriosa della campagna battuta dal vento gridavano insieme: Finito! Finito!... Svanito il sogno! Infranta la vita!...
— Fausto!... chiamò Vittorio dal fondo della corte — Argìa!
[50]
Argìa alzò la fronte e guardò il suo compagno di pena. Ah! non avrebbe mai creduto ch'egli l'amasse tanto!... Credeva di essere sola ad amare così; non supponeva pari affetto in un uomo.
Glielo disse.
Egli restò un momento pensoso. Neppure lui aveva misurato prima di quel giorno l'abisso dell'amor suo. Sapeva però che solo il dolore dà la giusta misura dei sentimenti umani. Bontà della vita!... E per la prima volta forse, le sue labbra giovani e fresche si stirarono in un sorriso di amara ironia.
— Argìa!... Fausto! — chiamarono un'altra volta dalle finestre della villa.
Li cercavano.
— Dobbiamo andare?....
— Non ancora. Prima di lasciarci intendiamoci bene. Non vi è equivoco tra noi?... Tu credi alle mie parole. Sai che ti amo più di quanto tu potessi immaginare: che non ho [51]altri impegni: che non ti ho tradita. È così, vero?
Ella fece un leggero cenno di affermazione.
— ... E con tutto questo... è impossibile che noi siamo uniti?...
Argìa sentì tutto il significato terribile di questa domanda; sentì la voce che tremava; e tuttavia rispose senza esitare:
— Impossibile...
— Dunque.... l'impossibilità è.... dalla tua parte?
— Sì. Dalla mia parte. Per questo ho parlato. Tu mi hai accusata di falsità, di menzogna....
— Oh! Argìa! Ti ho domandato perdono e tu mi hai perdonato!
— Sì. Ma resta sempre vero che mi hai accusata. Ebbene: se fossi falsa e civetta e perfida, avrei cercato d'ingannarti!...
Ella gli dava del tu, così, senza badarvi, quasi senza sapere; e questa carezza del linguaggio [52]pronunciata con quell'accento, agghiacciava il cuore di Fausto.
— Ancora una parola, Argìa. Forse... tu esageri... Forse, non è una cosa irreparabile... Tu sei innocente... pura... Di'!... Rispondi!...
— .... Taci, Fausto!... Taci!...
— Allora, dimmi tutto!!...
— Non così, Fausto.
Egli cercò di calmarsi. Dio!... Si sentiva certi impeti.... l'avrebbe ammazzata....
— È difficile a dire... E poi, perchè devo dire?... Non ti basta quello che ho detto?
No. Non gli bastava. Voleva sapere ogni cosa. Voleva i dettagli. Voleva un nome... Qualcheduno da massacrare, per Dio!...
Argìa, sbigottita, lo lasciava sfogare.
Tutto ad un tratto egli s'interruppe: ammutolì.
Se si lasciava trasportare a quel modo, non avrebbe ottenuta alcuna confidenza!
Tacquero lungamente.
[53]
Egli ricadeva nella cupa disperazione.
Se si fosse spezzato la testa contro quel tronco grosso, laggiù?...
No! Prima lei doveva morire! Tacesse pure, tacesse pure! Lui ne sapeva assai. Sapeva che si era data... che non era più pura, che aveva abbandonato il suo corpo ad un altro uomo!... Oh! tacesse, tacesse! Egli non si curava di saperne di più: ne sapeva tanto da ucciderla... Ucciderla!... Il sangue gli salì al cervello con furia, iniettandogli gli occhi. Barcollò e come ebbro si gettò su lei e le accerchiò il collo con le dita tenaci. Ma il contatto di quella carne morbida e delicata gli fece correre un brivido nella schiena. La sua mano si allentò e si ritrasse.
— Va! Va! sciagurata!...
La cacciò da sè con un gesto disperato.
Ma la sentì gemere e quel gemito gli andò al cuore.
Oh! come l'amava!
[54]
Involontariamente si riaccostò a lei; balbettò alcune parole di scusa. Era stato violento: aveva avuto torto... Maltrattare una donna!... Allora Argìa si fermò, commossa.
Non le parole la commovevano, bensì la voce di lui: quella voce di uomo giovine e robusto che ha pianto; quella voce forte e sonora, spezzata dall'angoscia, soffocata dalla passione: voce che ha tanto potere sull'animo femminile.
Avrebbe voluto dirgli qualche cosa, ma non trovava parole. Si sentiva così avvilita, così indegna di lui...
Ah! se avesse saputo ch'egli l'amava tanto!...
Erano giunti sotto il pergolato sepolto nella notte.
Camminavano in silenzio uno accanto all'altra, raffrenando i singulti.
Si distinguevano appena, ma si toccavano con le spalle e con le braccia.
Fausto pensava tristamente che, se le trattative [55]di matrimonio si rompevano così, Argìa sarebbe diventata per lui una straniera. E questo pensiero gli pareva insopportabile. Non più vederla!... Non udirla parlare!...
— E tuo padre, Argìa? Come farai con tuo padre?... Il nostro matrimonio era la sua ambizione!...
— Prenderò ogni cosa sopra di me: non ho paura di affrontarlo...
— Tuo padre è collerico; può ammazzarti nel primo impeto!
— Volesse Iddio!...
— Non sai quello che dici... Bisogna trovare il modo di sottrarti alla sua collera. Ci penserò io... Ma tu mi dirai tutto!...
— Tutto?... È impossibile. Mi sento morire al solo pensarlo!
Tacquero ancora, e si rimisero a camminare sotto il tunnel verde.
Quasi inconsciamente Fausto mormorò:
— Se si potesse camminare sempre, così, [56]nelle tenebre e nelle lagrime, vicini e soli, la vita sarebbe ancora tollerabile...
Argìa tremò tutta. Una tenerezza suprema la spingeva a confidarsi; una invincibile ripugnanza la tratteneva.
Egli la comprese. E una immensa pietà entrò nel suo cuore: ma non poteva rinunciare alla cognizione della verità; poichè l'anima desolata è avida di conoscere il male che la colpisce; e per conoscerlo minutamente affronta ogni tortura, ogni spasimo.
— Parla, Argìa! Dimmi qualche cosa!
— È difficile!... Senti... sono più disgraziata di quello che tu credi... irreparabilmente perduta sono..
— Oh! Argìa!... Ho indovinato... sei madre!...
Ella sospirò profondamente.
Era vero. Vero!...
Il senso terribile delle proprie parole gli balenava soltanto adesso con la certezza di avere intraveduta la verità.
[57]
Sentì una lama fredda trapassargli le viscere. Madre?... La sua Argìa?... Un germe esecrato!... Vacillò e quasi cadde. Istintivamente si aggrappò al pergolato che oscillò forte. Alcune foglie secche volarono via.
— Argìa!... Fausto!... — gridò l'Amelia a dieci passi. — Siete qui?... Che fate?... Don Paolo si è svegliato!... Fausto!?... Argìa!...
Essi non fiatarono, e la ragazzina si allontanò borbottando.
— Ora usciremo adagio — disse Fausto.
Aveva avuto il tempo di rimettersi chiamando a soccorso tutte le sue forze. Argìa, sbalordita, gemeva.
— Fatti cuore, Argìa fatti cuore! Mi racconterai poi tutto... certo! Se devo aiutarti!... Intanto... restiamo intesi: tu non prendi alcuna risoluzione disperata... non ne parli con nessuno!...
Esitò un istante, poi soggiunse:
— È tutto tuo il segreto?
[58]
— Nessuno fuori di te lo sospetta... che io sappia.
— Nessuno veramente?... Neppure uno?
— Tu sei l'unico!
Egli ebbe un sospiro di sollievo.
O povera anima, come doveva essere immane il peso di dolore che poteva sopportare, se una sola parola buona bastava a darle nuova lena per nuovi spasimi!
L'unico? Dunque l'altro non contava? Escluso dalla confidenza?... Dunque... Era un miserabile, un abbietto!...
Avrebbe dovuto soffrire di più pensando che la sua povera Argìa era caduta in mani indegne.
Eppure, no. Dalla notte profonda, dal nulla orrendo, gli pareva di assurgere a un'alba pallida, sostenuto da una mesta speranza.
Volle essere sicuro però.
— Non è possibile... che quello ti sposi?...
— Mai!... Morirei piuttosto!
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Ah! la gioia nella miseria profonda! Egli provava anche questo.
Come l'avrebbe abbracciata... serrata contro il suo cuore... se non avesse temuto d'impazzire e di strozzarla!
Sentiva che l'avrebbe strozzata con voluttà immensa in un abbraccio disperato.
Sulla porta dell'orto le disse ancora:
— Sicchè, Argìa, tu ti affidi a me nella tua sventura, unicamente a me?
— Se tu vuoi. Io non ho altri.
— Va bene. Cominciamo dal non farci scorgere. Mi occorre del tempo per riflettere... E il tempo c'è, mi pare... Sii astuta. Le nostre relazioni restano come se nulla fosse avvenuto... Apparentemente fidanzati... Se non si facesse così, io non potrei venire in casa tua... non ci si potrebbe vedere... Intanto penserò... cercherò... Tu vorrai allontanarti... suppongo.
— ... o morire, Fausto!
— È giusto. Ma deciderò io se devi vivere... lontana... se è possibile: o se devi morire.
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— Sì, Fausto: come tu vorrai.
Erano fuori dell'orto; ma nessuno poteva vederli nella corte quasi altrettanto buia. Cominciava a piovere a grosse goccie. Il vento si rimetteva a soffiare con nuova violenza.
— Ricordati: siamo stati laggiù pei campi, al laghetto... Non abbiamo sentito chiamare....
Le parlava quasi calmo.
Ma a un tratto s'interruppe e non disse più nulla. Ricordando i sogni e le speranze che l'avevano guidato a cercarla qualche ora prima, gli parve, improvvisamente di non amarla più affatto; e che l'interesse, di cui tuttora le dava prova, non fosse che pietà...