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Chapter XII.
日期:2020-09-30 15:35  点击:348
 Una nottata affannosa seguì la giornata pessima.
 
L'estrazione dell'acqua dalla pleura diede poco risultato.
 
Verso l'alba Fausto si assopì; la testa alzata sui guanciali, i capelli incollati alle tempie dal sudore; il viso terreo, i pomelli accesi.
 
Anche Argìa si assopì. Ed anche il suo viso appariva smunto ed emaciato. Ella giaceva abbandonata all'indietro sulla poltroncina, vinta dalla stanchezza di tutti quei giorni.
 
Colta dal sonno così improvvisamente, in quello stato di prostrazione, aveva dimenticato [234]le solite precauzioni, l'arte suprema di stare e di presentarsi, assiduo pensiero suo.
 
La fascetta le si era slacciata; le pieghe delle gonne ricadevano all'indietro, lasciando la stoffa quasi liscia sulle accentuate rotondità dei fianchi. E la tenue luce che spandeva intorno una lucerna di porcellana azzurrata, scendeva direttamente sopra di lei, mettendo vieppiù in evidenza ciò ch'ella aveva così affannosamente nascosto.
 
Il professore e Vittorio, seduti all'altro capo della stanza, discorrevano sommessamente della necessità di scrivere ai Lamberti, andando pure contro la volontà di Fausto.
 
— Ma, io non capisco... perchè mai Fausto non vuol vedere sua madre?...
 
Vittorio esitò un istante.
 
— Mah!... A me disse che voleva risparmiarle questo affanno perchè soffre di cuore... Vorrebbe si aspettasse un miglioramento... altrimenti... gli estremi...
 
[235]
— Eh!... — mormorò il professore crollando il capo — se domani non migliora, saremo presto agli estremi!
 
— È appunto questo che mi trattiene; poichè, se scrivo, Fausto capirà...
 
— Crede proprio che non lo sappia?... È medico anche lui: ha studiato molto. Deve capire.
 
Vittorio non rispose. I suoi occhi si erano fermati su quel punto troppo illuminato della figura di Argìa, e quella visione lo turbava profondamente. Da parecchio tempo egli aveva dei sospetti sui quali non voleva fermarsi e che, suo malgrado, lo rendevano inquieto. Ma dalla sera in cui aveva trovato Fausto sul ponte del Ticino, in quello stato di prostrazione e di sfinimento, il viso improntato da una disperazione che non si celava più sotto la maschera abituale: da quella sera, il povero Vittorio non sapeva come sottrarsi alle ossessioni del terribile punto interrogativo a cui non poteva in alcun modo rispondere.
 
[236]
L'ansia più acuta, che gli cagionava lo stato del suo Fausto, lo distoglieva di tratto in tratto dalla pungente ricerca; ma appena lo spirito aveva agio di riflettere, ricompariva il punto uncinato.
 
Molte volte, mentre il malato si assopiva, ed egli rimaneva là a vegliarlo insieme alla giovine fidanzata, il bisogno di conoscere quel mistero lo assaliva con prepotenza. Voleva scoprire la verità: doveva scoprirla.
 
E si rimetteva a cercarla, frugando e rifrugando in quel complicato insieme di dati, di dubbi, di affermazioni e di negazioni tenzonanti nel suo cervello.
 
Quante faccie aveva per lui quel problema!
 
Se Argìa aveva ceduto... Se Fausto... Insomma... se quello che di tratto in tratto appariva, era vero... Perchè non avevano affrettato il matrimonio?....
 
E ad ogni modo — era quella una causa sufficiente alla disperazione tante volte sorpresa negli occhi di Fausto?...
 
[237]
E da dove veniva Fausto, quella tal sera, per essere così stanco, così sfinito e quasi fuori di sè?...
 
Perchè quelle lagrime nei suoi occhi?...
 
Certo, il fatto di avere compromesso l'onore della sua fidanzata, e il pensiero dei parenti irritati, dovevano tormentarlo. Ma... alla fine poi, se loro si amavano, potevano sposarsi subito e partire appena sposati... stare via un anno... viaggiare... Eran ricchi!... E anche se dovevano affrontare l'opinione pubblica... bella roba!... Quando due si amano...
 
E fissava lo sguardo in faccia ad Argìa come per interrogarla.
 
Ma il viso pallido e grave, dall'espressione verginale, rimaneva impenetrabile... Che! forse non era vero niente, ed egli sognava a occhi aperti. Forse aveva ragione l'Amelia quando diceva che in quella casa c'era un contagio di pazzìa!
 
Ed ecco che, tutto a un tratto, ogni dubbio svaniva.
 
[238]
In un istante d'oblio e di stanchezza invincibile, Argìa lasciava apparire il suo stato, nascosto con tanta cura, a costo di acerbe e continue torture.
 
Non ricevendo alcuna risposta, il Pisani scrutò il viso del suo interlocutore e sussultò.
 
Quel viso rivelava l'impressione di una scoperta penosa.
 
Atterrito, egli girò lo sguardo sull'ammalato. Nulla di nuovo... pareva assopito come poco prima; e Argìa...
 
— Ah!...
 
Fu un urlo soffocato.
 
Vittorio comprese il male che aveva fatto; cercò di ripararvi, ripigliando il discorso con simulata tranquillità; ma non gli riescì. La sua voce tremava, non sapeva quel che diceva.
 
Il professore gli troncò la parola accennandogli Argìa con un gesto brusco.
 
— Guardava mia figlia?
 
— No!... s'inganna...
 
[239]
— Non finga! Non sa fingere!...
 
E crollò le spalle maestose con superbo disprezzo.
 
In due passi fu presso alla giovine addormentata; la scosse rudemente, e appena vide che aveva aperti gli occhi le intimò di seguirlo, con depressa eppure formidabile voce.
 
Completamente desta dalla violenza della commozione; completamente presente a sè stessa, e conscia della gravità di quel momento, Argìa si alzò pronta a obbedire.
 
Dopo un istante d'incertezza e di perplessità Vittorio cercò d'intromettersi, sentendo il bisogno di difendere la fanciulla da lui così involontariamente accusata.
 
Il professore l'arrestò seccamente. Restasse a guardia di Fausto.
 
— Argìa!... — mormorò l'ammalato sobbalzando.
 
— Argìa — ripetè più basso, e tornò a smarrirsi nel letargo pesante.
 
[240]
Il professore traversò due stanze buie, trascinandosi dietro la figlia; e sostò in una sala dov'era un po' di luce.
 
Una enorme libreria occupava la parete di fondo di questa sala, destinata alla lettura e, in casi eccezionali, alla scherma; le altre pareti erano decorate da carte geografiche e fasci d'armi disposti a guisa di trofei. Una stuoia di juta copriva l'ammattonato. Pochi mobili: alcuni tavolini, una scrivania in un cantone, e varie sedie e seggioloni coperti di cuoio e ornati di borchie dorate, imitazioni dell'antico, di fabbrica milanese.
 
Su un tavolino agonizzava per tre beccucci una lucernina d'ottone, lucente come oro. E soltanto questa lucernina dalle catenelle scintillanti rivelava la vecchia casa di provincia.
 
Da una finestra rimasta aperta si vedeva il giardino pieno di neve e una distesa di cielo imbiancato dai primi lucori dell'alba.
 
Il professore trascinò Argìa fino a quella [241]finestra che era nell'angolo più remoto, serrandole i polsi, scuotendola con involontaria violenza.
 
Il primo impeto lo agitava ancora, ma era evidente che voleva dominarsi.
 
Argìa non fiatava.
 
Lasciata libera, si appoggiò al muro per non cadere. I suoi occhi muti fissavano il suolo. Pareva insensibile. Non le balenava neppure che il cuore del suo povero babbo aspettasse una rivolta suprema, contro quelle asprezze, che lei avrebbe dovuto trovare ingiustificate, pazzesche.
 
Egli la guardava intensamente, spogliandola con l'occhio del medico; e tremava come un paralitico.
 
Finalmente proruppe.
 
— Non dici niente?.. Non ti ribelli?... È vero, dunque, è vero! Tu confessi... Ti sei lasciata... Uff!...
 
Digrignò una bestemmia e una parolaccia e [242]con un gesto energico si battè un pugno sulla bocca.
 
— Ah! imbecille che sono, speravo ancora che i miei occhi m'avessero ingannato!... Ma non sai che ti dovrei ammazzare?...
 
Un leggero stringimento di spalle fu la risposta.
 
Questo esasperò il padre. Tornò ad afferrarla; la scosse, la piegò in due come il vento furioso fa di un povero arbusto.
 
— Mi hai disonorato!... hai disonorato tuo fratello ufficiale.... la tua sorellina!... E non dici una parola?... E non ti giustifichi?... Non capisci? Dì'! Cosa pensi?... Che cosa pensavi?..
 
Parla! Dio di Dio! Non sai che dire di sì?..
 
Ella spiccicò a stento:
 
— Mi sarei punita da me... Puniscimi tu!..
 
— Ah! punirti?... Che cosa avrò guadagnato quando ti avrò punita?... Chi lo punirà, lui?... Ah! Perchè non ti sei fatta sposare a tempo piuttosto?
 
[243]
Ella non rispose neppure con un gesto.
 
Il professore si allontanò di qualche passo, si asciugò la fronte madida. Il sangue tumultuava nelle sue vene gonfie. Aveva paura di sè stesso. Voleva vincersi e dominare con fermezza di spirito quella situazione così difficile; salvare l'onore della famiglia. Ma la collera tenace gli offuscava il cervello; aveva impulsi ciechi e lo sforzo che faceva per reprimerli, lo soffocava.
 
— Tutto perchè non hai avuto confidenza in tuo padre!... Ma quando è stato? Quando?... Eppure, io ho vegliato!... Ah! no, per Iddio, io non ho meritato questa vergogna! Ho sacrificato tanto per voi altri, per non darvi una matrigna, per starvi sempre al fianco!... E tu, la mia figliuola maggiore, la ragazza savia di cui non ho mai dubitato, tu mi hai tradito così!...
 
Parlava a scatti, battendo i denti; e nella voce rotta era lo schianto di un dolore più grande della collera.
 
[244]
— Parla, Argìa! non farmi perdere la ragione col tuo mutismo. Perchè appena ti sei accorta, non hai cercato di affrettare il matrimonio?... E se tu non osavi, perchè non hai detto qualche cosa a me?... Avrei parlato io con quel signorino!...
 
S'interruppe e poi riprese cambiando tono e come parlando a sè stesso:
 
— Oh! mi pare ancora impossibile!... Un ragazzo intelligente e leale come Fausto!.... Uno studente di medicina, quasi dottore!.... Non pare vero!...
 
Si mise a camminare per la stanza ripensando tra sè. Non poteva capacitarsi. La debolezza, sì, purtroppo, la capiva. Ma quella condotta così grulla?!... Quella mancanza di ogni senso della vita pratica?...
 
Tutto a un tratto si battè la fronte e ritornò precipitosamente presso a sua figlia, gridandole nella faccia:
 
— Non ti ama forse più?!..
 
[245]
— Oh!... povero Fausto!... Mi ama sempre!..
 
— Meno male.... Purchè non muoia, quel minchione!... Che cosa faremo se muore?!..
 
— Morirò anch'io!...
 
— Ah, sì?... Brava! Che bella consolazione tu ti figuri di dare a tuo padre!...
 
Era commosso. Una invincibile tenerezza gli entrava nell'anima. Se avesse potuto salvarla, la sua Argìa... renderla felice malgrado tutto!...
 
L'amava più di tutti i suoi figli. Era sempre stato superbo di lei. Avrebbe potuto strozzarla nel primo impeto, appunto perchè l'amava così. Ma sentirla, lei, parlare di morire, lo agghiacciava: gli serrava il cuore.
 
Si rimise a camminare in su e in giù, per riflettere, per cercare. La tenerezza gli recava un leggiero accasciamento; le sue spalle si curvavano un poco e la sua larga schiena si arrotondava. Visto così, nella luce livida, il bel professore appariva assai meno fresco e giovane. [246]L'accasciamento non era soltanto esteriore. Qualche cosa di strano accadeva nel buio della sua coscienza.
 
La grande sicurezza che l'aveva sostenuto in tutti i momenti, pareva scossa: e il benefico convincimento di avere sempre operato saviamente, correttamente, e che ciò bastasse nella vita, minacciava di sfasciarsi: un vago dubbio sorgeva nel punto più riposto, più imprecisabile della sua compagine. Forse qualche volta aveva fatto meno bene che non credesse...
 
Forse... nel suo affetto c'era più egoismo..
 
Si raddrizzò come uno che si prepara a combattere un nemico occulto.
 
Assurdo! La sua coscienza aveva torto di tormentarlo!
 
Sorgeva il giorno.
 
I beccucci della lucernina avevano una bracetta rossa in mezzo alla fiamma torbida, agonizzante; e la luce di fuori, sempre più [247]diffusa, recava nell'ampia stanza quel senso di freddo e di tristezza che mette i brividi dopo una notte di veglia.
 
Per una singolare coincidenza di luce e di colore, il Pisani ebbe la visione di un'altra alba, lontana di molti anni. Era il tempo delle guerre contro lo straniero. Un cielo livido, un paesaggio piatto, biancheggiante per la brina caduta nella notte; e nello stanzone dove sostavano dopo una marcia forzata di sette ore, una lucernetta agonizzante... così! Arrivavano tardi per aiutare; lo scontro era terminato, il nemico aveva ceduto il campo. Si sentiva il rullo dei tamburi che si allontanavano malinconicamente nella nebbia. Quanti morti! Quanti feriti sparsi sulla spianata!...
 
Presto all'opera!
 
Ed egli ci s'era messo all'opera, con tutto l'ardore della gioventù. Lavorava per quattro, fresco, arzillo, come se si fosse alzato allora. [248]Tutti lo benedicevano; tutti gli obbedivano e l'ammiravano. Ah! quelli eran tempi!
 
Ebbene? Decadeva forse? Per quei pochi brividi? Per quel senso di spezzatura che ogni tanto lo forzava a curvarsi?...
 
Ah! I cinquant'anni, le prime avvisaglie della inevitabile sconfitta! Anche per lui sarebbe suonata l'ora fatale, anche per lui!...
 
Tutto ciò in confuso; più sentito che pensato.
 
Con un movimento quasi inconsapevole, egli scattò a guisa di protesta, per il bisogno, innato in lui e strapotente, di trovarsi forte; di vincere tutto e sopra tutto l'età.
 
Argìa intanto era rimasta nella sua immobilità, presso alla finestra, gli occhi fissi sul padre, domandandosi che cosa egli avrebbe risoluto e a quali altre dure prove l'avrebbe messa.
 
Finalmente egli tornò presso di lei e si mise a sedere quasi calmo.
 
[249]
— Spegni quella lucerna, mi dà noia. Ora vieni qui: siedi accanto a me. Io voglio salvarti, figlia mia! Abbi confidenza in me. Sono tuo padre, ti adoro. Non pretendo di essere stato un santo nella mia vita, ma come padre non ho rimorsi: ho amato teneramente tutti i miei figli, te specialmente. Voglio salvarti, dunque: salvare l'onore della mia povera casa! Ma tu, assecondami per carità! Senti bene: è necessario agire subito: noi dobbiamo essere prudenti, avveduti: non possiamo affidarci al caso... Senti, Fausto può morire: è molto aggravato, sai! Se non morirà tanto meglio... Non piangere così, perdio!... Farò di tutto perchè non muoia. Intanto però bisogna ch'egli ti sposi. Io gli parlerò in nome dell'onore; che diamine, è un uomo!... Tu poi gli parlerai del tuo amore...
 
— No, babbo!
 
Ella stava ora di fronte a lui, la testa alta, gli occhi fissi, con qualche cosa di rigido, di [250]teso nella persona e nella espressione del volto.
 
— No! — ripetè — e la sua voce morì come strozzata.
 
— No?... Che cosa «no»?...
 
Egli non capiva realmente.
 
Era tanto anormale quel «no» per lui, che la sua intelligenza si ribellava.
 
— Parla, scimunita! Che cosa «no»?
 
La voce tuonò a insaputa di lui. Ora la collera lo prendeva davvero: lo schiantava. Era un uragano, un ciclone. Con un gesto istintivo si sbottonò il colletto. Soffocava. Dopo un istante, con voce rauca e concitata rantolò:
 
— Parla, Argìa! Che cosa è quello che non vuoi?...
 
— Non voglio che Fausto mi sposi!... — disse Argìa con voce ferma.
 
Era troppo. La longanimità del padre non giungeva fino a tale eccesso.
 
Di scatto egli balzò in piedi e si avventò su lei coi pugni stretti, livido; tanto più esasperato [251]che non riesciva a penetrare il pensiero di sua figlia.
 
— Sei pazza?... Ti burli di me?
 
Argìa indietreggiò atterrita. Nel medesimo tempo le passò per la mente come un lampo la promessa fatta a Fausto di non rivelare quel segreto funesto. Si riprese e balbettò:
 
— Non voglio che mi sposi così...
 
— Ah!
 
Le braccia protese ricaddero lentamente, ma i pugni restarono chiusi.
 
Vi fu un silenzio.
 
Il professore tornò a sedere. Cercò di calmarsi e non parlò finchè non fu padrone di sè.
 
Quando cominciò aveva la voce sicura e dolce, l'accento persuasivo.
 
— Capisco ciò che tu hai voluto dire. In fondo il tuo rifiuto deriva da un sentimento delicato, nobile; malgrado ciò, rimane insensato. E poi... tu non pensi che all'amante. E il... bambino? Vuoi tu mettere al mondo un miserabile, senza nome, senza padre?
 
[252]
Il viso di Argìa tradì una intensa commozione.
 
Egli se ne compiacque: aveva toccata la corda sensibile.
 
— Vedi! Non ci avevi pensato alla tua creatura! Lasciati dunque guidare da me. Vedi come è buono tuo padre!
 
— Sì, tu sei buono, e ti ringrazio... Ma io non posso... non voglio!...
 
— Ah! No!... Sei cattiva e ostinata. Ma non importa. Farò senza il tuo aiuto: e tu obbedirai, come è tuo dovere. E ora va! La mia pazienza è esaurita. Va!...
 
Argìa fece per ritornare da Fausto; ma il professore la prese per un braccio e la strappò via.
 
— Non di là!... A casa devi andare. Non lo vedrai più, giacchè non vuoi che ti sposi, sgualdrina!...
 
— Oh! babbo! babbo!...
 
E s'attaccava a lui per seguirlo. Ma egli la respinse brutalmente e chiuse l'uscio a chiave.
 
[253]
Prima di rientrare dall'ammalato, il Pisani volle ricomporsi e riflettere, su quello che doveva fare.
 
Le due stanze attraversate prima al buio, erano ora abbastanza chiare. Una era la camera di Vittorio; l'altra, l'anticamera che metteva alle scale. Restò nella prima e si gettò su un divano perchè gli pareva d'avere le gambe rotte. La testa chinata fra le mani, cercò di raccapezzarsi, di riflettere. Ciò che un momento prima gli era parso facilissimo, gli si presentava ora sott'altro aspetto.
 
Bisognava parlare a Fausto dell'imminente pericolo... vale a dire prostrarlo nell'istante in cui aveva il maggior bisogno di tutte le sue forze! Se moriva, la desolazione di Argìa avrebbe rinfacciato eternamente, al padre, quell'imprudenza, come un omicidio!.. E Argìa stessa poteva morire, uccidersi!.. Non aveva ella detto: «Morirò anch'io?...»
 
Che terribile rischio!...
 
[254]
Ma d'altra parte, se Fausto moriva ugualmente per la forza della malattia, egli non si sarebbe mai perdonato di non avere fatto quanto era da lui per salvare l'onore della sua figliuola, l'onore della famiglia!... Maledetto anche l'onore!
 
Un leggiero rumore venne a distrarlo. Alzò la fronte. Vittorio stava dinanzi a lui aspettando.
 
— Che c'è?... Un peggioramento?...
 
E balzò in piedi.
 
— No no... direi quasi il contrario. Pare stanchissimo, ma ha la mente chiara... Ha sognato.... ha pianto.... ha chiamato Argìa.... Dov'è la signorina?...
 
— Di là... E adesso che cosa dice?...
 
— Adesso egli vuol parlare a lei, professore... sa... io non ho potuto nascondergli che lei ha scoperto...
 
— Ah!... meglio così!... E si è agitato...?...
 
— Non tanto... Anzi, ha detto come lei «meglio così!» Ma venga, venga...
 
[255]
Il professore si incamminò, come sollevato da un gran peso; la fortuna fedele non l'abbandonava neppure in quel frangente! Tornava giovine; era sempre forte.
 
Un'occhiata gli bastò a giudicare dello stato di Fausto. Qualche cosa d'insolito era avvenuto: una crisi che poteva condurlo a salvamento od a morte nel volgere di poche ore. I pomelli accesi, di un rosso più intenso, facevano paura. Ma il raggio di limpida intelligenza che brillava nei dolci occhi, era una speranza.
 
— Ebbene Fausto? Come stai?...
 
— Non saprei... La morte mi è passata accanto: mi ha sorriso e mi ha dato un consiglio...
 
— Dà consigli la morte?...
 
— Qualche volta...
 
— Vediamo intanto il termometro!...
 
Con terrore, che non riuscì a nascondere, il Pisani constatò ancora un aumento di temperatura. [256]Fausto sorrise tristamente e un'ombra gli oscurò la fronte. Ma in quel medesimo istante entrò nella camera Argìa al fianco di Vittorio, e la fronte oscurata si rischiarò.
 
— Oh! Argìa non m'abbandonare! Mi hai lasciato, e ho sognato di morire!...
 
Pallida, ma sicura in volto, ella si chinò su lui e lo baciò, mormorando:
 
— Non ti lascierò più.
 
E la voce commossa, solenne, palesò tutto il significato della promessa.
 
Il professore rabbrividì. Voleva parlare e si sentiva paralizzato.
 
Finalmente, Fausto disse:
 
— Professore, mi vuol sempre bene, vero? Non mi ha perso la stima?...
 
— Oh! Fausto!.. protestò il Pisani commosso.
 
E sebbene egli credesse di avere dinanzi a sè il seduttore della figlia sua, colui che aveva compromesso l'onore dei Pisani, sentiva in [257]cuore — al posto della collera che avrebbe dovuto provare — una tenerezza infinita e qualche cosa di strano, di solenne che lo scuoteva e non avrebbe saputo esprimere nè spiegare.
 
— Ebbene... dunque — mi faccia una grazia... padre mio... faccia che io sposi Argìa... che ripari... il male... subito... subito... prima che venga la morte!...
 
— Oh! Fausto!... No!... No, Fausto!... — gridò Argìa fuori di sè.
 
Ma egli le impose silenzio con uno sguardo supplichevole, e si abbandonò sui guanciali stremato di forze.

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