Le formalità indispensabili, la richiesta di permessi speciali, i preparativi di diverso genere, occuparono tutta la giornata.
IL professore e Vittorio Giudici giravano gli uffici pubblici; davano e ricevevano appuntamenti; scrivevano biglietti nelle anticamere dei pubblici funzionari occupati.
Appena era possibile correvano un momento a casa; si assicuravano dello stato di Fausto, e poi, via, di gran carriera, verso un altro punto della città.
La temperatura dell'ammalato era discesa di mezzo grado circa; sempre altissima, ma meno allarmante.
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— È il cuore che mi fa paura; sempre il cuore! — diceva Fausto con un pallido sorriso.
E il professore crollava il capo dall'alto al basso, in segno di grave preoccupazione.
— Se il cuore resiste siamo salvi!...
La parte principale della cura era rivolta a sostenere quel povero cuore tanto bersagliato.
Ogni volta che Vittorio o il Pisani apparivano sulla soglia, Fausto li interrogava con lo sguardo ansioso.
Che paura aveva di morire prima!
Finalmente, verso le quattro, Vittorio recò la buona novella: tutte le difficoltà erano vinte, l'ufficiale civile aveva promesso di arrivare puntualmente, tra le cinque e mezzo e le sei.
La signora Luisa addobbava la camera, rasciugandosi le lagrime che voleva nascondere a Fausto.
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— Ah! chi l'avrebbe detto! chi l'avrebbe detto! — ripeteva tristamente. — Sposarsi a questo modo! che disgrazia!...
Argìa aveva mandato a prendere uno degli abiti del suo corredo, già mezzo pronto; un abito di felpa azzurra fatto terminare in tutta fretta; e stava vestendosi nella camera della signora Luisa.
Dacchè Fausto aveva pronunciato quelle solenni parole, e tutti si agitavano intorno a lei per quella cerimonia ufficiale, che doveva dare a lei e al figlio suo il nome onorato dei Lamberti, ella rimaneva come trasognata.
A momenti le pareva di essere fuori del mondo e che tutto quanto accadeva intorno a lei non fosse realtà ma visione fantastica.
Lei stessa non si riconosceva. I sentimenti che l'agitavano erano tanti e così diversi e nel medesimo tempo così intralciati, che non riesciva a discernerli.
Ora le pareva di potersi rallegrare, poichè [262]non era possibile che Fausto dovesse morire dacchè la sposava. Una strana sicurezza le entrava in cuore. Avrebbero vissuto insieme tanti e tanti anni, e sarebbero stati felici!
E aveva dei sussulti di gioia che la rendevano più bella, tingendole il volto di un vago carnato.
Ma tutto a un tratto si ricordava che Fausto si era risolto a sposarla soltanto perchè si teneva sicuro di morire, e voleva che lei vivesse onorata e tranquilla.
Pochi momenti prima le aveva detto:
— Ricordati che tu devi vivere!...
Vivere? Le pareva una imposizione ingiusta e crudele. Perchè doveva vivere se lui moriva?... Per chi?...
Per quel figlio?... Oh! se fosse stato di Fausto, sì. Sarebbe vissuta, sempre nel lutto, consacrandosi a quella creatura. Ma, così, no! Sentiva che non l'avrebbe mai amato quel bimbo; vedeva in esso la causa di tutti i suoi [263]mali, e, soprattutto, la causa materiale della morte di Fausto.
No, non poteva amarlo! Un sordo rancore le germogliava in cuore contro quell'essere. Per lui doveva affrontare la vergogna di un matrimonio di riparazione; gli sguardi scrutatori di Vittorio, la collera del padre e del fratello, e il risolino falsamente ingenuo di quella maligna di sua sorella.
Perchè avrebbe dovuto amarlo quel frutto non desiderato del capriccio altrui? Perchè avrebbe dovuto sacrificarsi a quell'intruso che già le aveva fatto tanto male e sarebbe diventato il tormento, forse il tiranno di tutta la sua vita?
Ma perchè c'era questa cosa terribile nella vita della donna?...
Perchè, una fanciulla ignara poteva diventare madre, anche senza il concorso della sua volontà, senza sapere, senza averci pensato?
Un uomo passava nella sua vita, approfittava [264]della sua debolezza o della sua ignoranza, e continuava il proprio cammino.
La fanciulla era diventata donna e madre. Tutta la sua vita era legata all'intruso — e doveva amarlo! Aveva dei doveri sacri. Se li conculcava, la società l'avrebbe chiamata infame: se li adempiva era disonorata. I benevoli l'avrebbero compatita, perdonata forse, in grazia della sua espiazione.
Espiazione di che cosa?
Si può espiare un delitto, un fallo volontario.... Ma dovere espiare la legge di cui si è vittime!... Espiare!... E poi? Inutile anche l'espiazione.
Fausto la sposava. Ebbene, anche se egli viveva, anche se tutti continuavano a credere che il bimbo fosse di lui; di là a trent'anni, quando lei sarebbe stata nonna, i suoi conoscenti, i suoi amici, i parenti dei parenti si sarebbero ricordati ancora di quella piccola infrazione alla legge, come di una macchia [265]incancellabile! E intorno a lei ne avrebbero parlato ad ogni occasione!
E le cugine, le nipoti, le vecchie serve si sarebbero raccontate sommessamente che Fausto l'aveva sposata dal letto di morte, perchè era incinta... Tali cose non si dimenticavano mai.
Dunque non bastava che la donna fosse condannata dalla natura a tutte le miserie della maternità: non bastava che dovesse perdere l'indipendenza, la bellezza, le forze, e, molte volte, la vita, per dare la vita ad un essere che, in moltissimi casi, il suo cuore non aveva sognato, nè desiderato?... Non bastava, no! Gli uomini vi avevano aggiunto le loro leggi, i loro pregiudizi, che disonorano la madre per tutta la vita e degradano il figlio prima della nascita!...
Era troppo. Lei non voleva sottoporsi: non voleva vivere per adempire i doveri che lei non aveva accettati. Non voleva vivere per il figliuolo di un ladro che l'aveva derubata [266]e resa madre contro la sua volontà, a tradimento!
Vi erano delle donne... che sopprimevano l'essere ignoto.... L'aveva letto in una cronaca di giornale, recentemente.... con grande sorpresa.... L'avrebbe fatto lei?...
No.... Le faceva troppo orrore. Poi, se ne sarebbe ricordata tutta la vita, e sarebbe stata infelice lo stesso, irreparabilmente infelice per tutta la vita.
Non si faceva alcun merito però di questo sentimento delicato. Non si credeva migliore di quelle altre. Le compiangeva anzi. La rettitudine che era in lei, le pareva una cosa involontaria, come quei pensieri che le venivano, chi sa da dove: come le sue ribellioni.
Forse l'aver pensato a fuggire, per andare a vivere lontano, tra persone sconosciute, col guadagno del proprio lavoro, come una povera operaia, era una conseguenza dello spirito battagliero ereditato dal padre.
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Anche da bambina, quando si sentiva a disagio nella casa paterna dopo la morte della mamma; quando Filippo la tormentava e Amelia aveva troppi capricci, quante volte aveva pensato di fuggire, di andare lontano, sola, senza denari; come una piccola profuga; senza alcuna paura; contenta di avere dinanzi a sè il mondo aperto.
E come sognava allora!...
Perfino la morte le si era affacciata sotto la forma di una fuga: di un lungo viaggio nell'infinito, al di là, e al di là ancora; sempre più lontano. Così l'aveva sedotta quel progetto di suicidio.
Ma ora non ritrovava più quelle immagini affascinanti, quei vaghi sogni. Invano vi ripensava.
Anche la morte l'aveva delusa!
L'idea che Fausto moriva negli spasimi della malattia, le rendeva la morte orrenda, paurosa.
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Ma se Fausto guariva?...
Ah! se egli guariva, tanto più doveva morire, lei!
Voleva forse condannarlo a vivere tutta la vita, supposto padre di un figlio non suo?.... Se Fausto guariva, ella doveva uccidersi. E subito. E farlo in modo che tutti credessero a una morte accidentale...
Tale era il destino suo. Condannata: irreparabilmente condannata!... E tutto per quell'essere senza nome, senza forma precisa: quell'ignoto.. quel figlio di un vile che lei odiava!...
Aveva dei brividi; tremava tutta, e le sue mani convulse non riescivano ad abbottonare il bell'abito azzurro, attillatissimo.
Improvvisamente, ella ebbe una sensazione così strana, così nuova, così inesprimibile, che si sentì gelare, e quasi mancar la vita.
Restò un momento perplessa, paralizzata, ansimante.
Quella strana sensazione si rinnovò. Era [269]come se le sue viscere si fossero sollevate esultando in un impeto di gioia.
Gioia, in lei che agonizzava nel dolore della condanna appena pronunciata?!...
Soffocava dal caldo, e un sudore diaccio le bagnava le tempie; il cuore le balzava fortemente e uno strano terrore soggiogava il suo spirito.
Che cosa avveniva dentro di lei?... Chi l'agitava così?... E perchè si ammolliva la sua fibra tesa, perchè sentiva tanta tenerezza in luogo del rancore e dell'odio di poco prima?...
Quell'essere senza nome, che lei chiamava un intruso... era egli passato improvvisamente dalla vegetazione alla vera vita?... Aveva egli forse già una coscienza?... Sentiva forse, o presentiva il dolore a cui era condannato? le cieche ostilità degli uomini, che per lui — sciagurata creatura — si preannunziavano nelle ostilità della madre?...
Scoppiò in singhiozzi e pianse a lungo.
Questa benefica crisi le fece dimenticare le dolorose recriminazioni. La madre si era rivelata in lei, e la madre aveva altri pensieri.
Oh! povera creaturina innocente senza difesa! Povero piccino che esultava in lei al primo impulso della vita, ignaro del male che le faceva, ignaro del destino che l'aspettava!... Povero!... Povero!...
Era vinta, soprafatta da una commozione suprema; i suoi occhi si fissavano in una contemplazione interiore... Un corpicino esile le appariva, un corpicino tutto roseo, con un visetto d'angelo, che stendeva verso di lei le manine...
Oh! lei non ci reggeva! Era suo il bimbo, viveva in lei! E non aveva che lei al mondo! E lei aveva bestemmiato di odiarlo!...
Involontariamente incrociò le braccia nell'atto di stringersi il bimbo sul cuore: e restò assorta, rapita in un'estasi nuova.