Tutto era pronto per la cerimonia nuziale. A destra del letto di Fausto, il tavolino, coperto da un bel tappeto ricamato, lavoro della signora Luisa, sosteneva i candelabri d'argento con le candele accese e il registro municipale. Presso al tavolino, la poltrona in velluto per l'assessore. Più in là, il tavolino e la sedia per lo scrivano municipale, e quelle destinate ai testimoni: Vittorio Giudici e il dottore Antonio Giberti professore di patologia che assisteva il Pisani nella cura di Fausto, in qualità di medico consultore.
Argìa entrò, pallida e tremante; ma nei grandi occhi lucenti le ardeva un raggio d'immenso amore.
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— Oh! Fausto! Il babbo mi ha detto che stai meglio!...
Il malato sorrise beatamente, guardandola negli occhi, e l'attirò fra le sue braccia.
— Mia sposa, mia!..
L'assessore e le poche persone che dovevano assistere alla cerimonia, arrivavano a lenti passi, parlando sommesso.
La notizia del miglioramento — per quanto leggiero e forse illusorio — rischiarò le fisonomie e rese la riunioe meno lugubre.
L'assessore si accostò al letto e presentò i suoi complimenti.
Era uomo di società, amico del Pisani. Si parlò di don Paolo, di donna Evangelina... Non l'aspettavano? No. Sarebbe arrivata più tardi insieme al marito: avevano telegrafato di non disturbare l'autorità con un rinvio...
L'assessore capì benissimo che quel matrimonio, celebrato così, offendeva la suscettibilità dei Lamberti e ch'essi preferivano di [273]non assistervi; ma, da uomo di spirito, non fece vista di nulla.
All'ultimo momento, allorchè tutti erano a posto, e l'assessore sfoderava la sciarpa tricolore — tramutandosi da amabile uomo di società in un impassibile rappresentante della legge — entrò la signora Luisa tutta affannata e andò a parlare a Vittorio.
Don Paolo voleva assistere alla cerimonia!
L'assessore, gentilissimo, si dichiarò soddisfatto di compiacere l'abate e di rivederlo, dopo tanto tempo.
Carmela Donati e Bice Chiari che scoppiavano di curiosità, approfittarono di quella interruzione per scivolare nella camera, insieme alla vivace Amelia.
L'assessore, ancora bell'uomo, dalla chioma opulenta sparsa di ciocche grigie, dal naso prepotente, andò a passare quel momento di aspettazione in mezzo alle giovani.
È sempre da saggio ornare di qualche fiore [274]l'arido cammino del dovere. E siccome l'Amelia aveva quella sera una bellezza provocante, con gli occhi pieni di scintille e le narici leggermente dilatate per meglio aspirare il vago profumo di scandalo e di peccato che era nell'aria, l'assessore intavolò con lei una di quelle conversazioni, grulle e insignificanti per chi le ascolta — per chi le sostiene, invece, irte di punte e di uncini, a cui si pungono e si attaccano con ispeciale voluttà le ragazze che cercano e gli uomini... che dovrebbero aver paura di trovare.
Passò una buona mezz'ora.
Ogni tanto una delle ragazze andava a vedere se don Paolo si spicciava. Ma le notizie di queste esploratrici non erano consolanti.
Eh! sì! ce ne voleva del tempo.
... Gli radevano la barba!...
... Gli facevano i riccioli, a uno a uno!...
... Lo profumavano!...
... Gli mettevano le scarpe con le fibbie d'argento; e ci stavano attorno in quattro!...
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... Voleva mettersi la vesta nera... Oh! che affare era quello!...
... Non si sapeva come infilargli le maniche...
... Bisognava vedere, per mettergli il colletto, che stenti!... Non poteva tenere il capo ritto!...
Queste notizie circolavano ed erano commentate a bassa voce, in un bisbigliamento quasi gaio. E chi crollava le spalle; chi sorrideva a mezz'aria.
Finalmente; la gran notizia:
— Don Paolo arriva!...
Lo portavano con la poltrona, il cameriere e la cuoca. Anche Amelia andò a vedere. Secondo lei pareva uno di quei santi di legno che si portavano in processione nei piccoli paesi, il giorno di Corpus Domini.
Ma quando la grande poltrona, in fondo alla quale don Paolo quasi spariva come un'ombra, fu deposta in terra presso al letto di Fausto, e il vecchio levò sul nipote gli [276]occhi ancora intelligenti umidi di pianto, non si trovò più nessuno che avesse voglia di sorridere; la stessa Amelia si fece seria.
L'avvicinamento di quei due moribondi stringeva i cuori.
Profondamente commosso, Fausto stese al povero vecchio una mano madida di sudore. Ma le mani tremanti di don Paolo, brancicarono un istante, prima di afferrare quella mano a lui tanto cara.
Quando l'ebbe in suo possesso, restò un momento come estatico, poi la strinse lievemente e mormorò, abbozzando un sorriso:
— Ho ancora un poco di forza...
Tutti compresero che egli non aveva perduta ogni illusione sul proprio stato; e che questa continua preoccupazione di sè medesimo gl'impediva di comprendere lo stato di Fausto.
Così l'egoismo senile lo sosteneva, proteggendolo fino all'ultimo istante.
Seduta accanto al letto dall'altra parte, Argìa non osava alzare gli occhi su tutta quella gente.
La cerimonia dell'atto civile fu cominciata con le solite formalità.
Ben presto, don Paolo, che da un momento all'altro non si ricordava più di nulla, ricadde in una delle sue fissazioni, girando gli occhi esterrefatti, borbottando tra sè:
— ... Il complotto!... Ci siamo... La Luisa mi ha tirato in trappola... Sono preso...
E cercava di nascondersi, rannicchiandosi nella poltrona.
Ma nell'istante in cui i due giovani pronunciarono il sacramentale sì, egli si scosse; e quasi sognando — per un ricordo meccanico di prete che aveva unite tante coppie di sposi — levò su di loro le mani tremolanti, e li benedisse.