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SOGNANDO I.
日期:2020-10-13 12:56  点击:337
 Io mi rammento di un assai vecchio e assai malinconico libro di Carlo Dickens, intitolato I tempi difficili. Emana dalle pagine di questo romanzo dimenticato una di quelle acute e irrimediabili tristezze a cui neppure la indulgente e assolvente filosofia dell'autore osa trovare, infine, consolazione: onde colui che legge, piega il capo sull'ultimo foglio e sente salire, dal fondo della sua anima, tutto quanto v'è di [2]segretamente doloroso. Questo romanzo narra, principalmente, la storia di un padre che ha due figliuoli, un maschio e una femmina, che egli ama molto, ma a cui, per un suo assoluto criterio matematico, egli impartisce una educazione, diretta solo a sviluppare le loro qualità positive, mentre tutte le facoltà fantastiche e poetiche sono, da questo padre, distrutte nello spirito dei suoi figliuoli. Egli è il nemico dell'immaginazione: la ritiene come una facoltà sconveniente e quasi simile alla follia. Dice, questo Tommaso Gradgrind, tali parole nella prima pagina dei Tempi difficili: — «Ciò che io voglio, sono dei fatti. Insegnate dei fatti ai giovanetti e alle giovanette, non altro che [3]dei fatti. I fatti sono la sola cosa di cui vi sia bisogno quaggiù. Non piantate altra cosa e sradicate tutto il resto. Non è che coi fatti che si forma lo spirito di un animale che ragiona: il resto non gli servirà mai a nulla». E, così, i suoi due figliuoli riescono, per un certo tempo, due perfetti animali ragionanti: l'aridità più profonda e più larga regna in quelle due nature, poichè tutte le piante e i fiori e le frutta ne furono sradicati e inceneriti. Tommaso Gradgrind è orgoglioso dell'opera sua. Sua figlia Luisa e suo figlio Tom, a guardarli nell'apparenza, sono due macchine bene oliate che girano e gireranno così, fino all'ora della morte. Ma, ad un tratto, l'ingranaggio [4]si ferma; e innanzi agli occhi del padre, prima stupefatto e poi straziato, si leva la figura desolata e convulsa di sua figlia, che ha accettato di sposare un uomo ricco o tronfio, non amato da lei, e che s'innamora di un altro: si eleva la figura del suo figliuolo diventato un ipocrita e un vizioso, il quale semina intorno a sè la vergogna e la sventura. E queste due creature delle sue viscere, agitantisi fra il dolore, il disonore e la morte, gridano la maledizione su colui che tolse ai loro cuori tutti i sentimenti di bontà, di tenerezza, di pietà, di poesia, di entusiasmo, con cui si lotta, vincendo e perdendo, nella vita. Essi imprecano contro una educazione che disseccò in [5]essi tutte le fluide sorgenti sentimentali e che li lasciò in balìa di ogni tranello e di ogni seduzione, senza guida morale, senza sostegno della coscienza. Quando Tommaso Gradgrind s'accorge d'aver compiuto un'opera iniqua e scellerata, uccidendo nei suoi figli la forza che li avrebbe aiutati a vivere, è troppo tardi: invano il padre che fu così duro con sè stesso, coi suoi e con quanti lo circondano, s'intenerisce, si pente, perde la testa: il male è irreparabile. I suoi due figliuoli non troveranno mai più il sentiero che conduce alla quiete e all'affetto: Luisa sarà votata a un'eterna vedovanza, senz'amore, senza figli, senza dolcezze: Tom partirà per viaggi lontani, a redimersi dei suoi [6]gravi falli, e morirà lungi dalla casa paterna, in un ospedale straniero. E intanto, intorno a questa intima e duplice tragedia, altra gente, molto più umile, molto più semplice, procede nella esistenza, soffrendo, è vero, versando tutte le sue lacrime, ma ritrovando, sempre, il sorriso della serenità, il riflesso di una speranza intima, la energia silenziosa per camminare fra i triboli, con gli occhi fissi in un orizzonte dell'anima che nulla velerà giammai.
 
E non siamo noi, di buona voglia e contro voglia, un poco Tommaso Gradgrind, tutti quanti? Purtroppo, nulla c'inspira più diffidenza che la immaginazione. Se un nostro amico mostra della esaltazione, giusta o ingiusta che [7]sia, per qualunque cosa, noi lo guardiamo con occhio sospettoso e nell'affetto che gli portiamo, non manca un certo sgomento e una certa pietà. Se una nostra amica ha delle qualità di entusiasmo, se ella si trasporta facilmente e arde di zelo, magari per cosa impari al suo ardore, noi cerchiamo ricondurla, ahimè, alla verità quotidiana, le tarpiamo le ali con qualche discorsetto freddo, e ripetiamo anche noi, purtroppo, la regola del due e due fanno quattro, secondo la quale, pare, tutti dovremmo vivere. Il figlio nostro che più c'inspira tenerezza e più ci dà preoccupazioni, è quello che mostra troppa fantasia nei suoi primi componimenti scolastici, nelle sue prime lettere: [8]noi ci affanniamo pel suo avvenire, quasi egli portasse in sè un pericolo permanente e minaccioso. La figliuola che più ci tormenta col suo carattere, è quella che ha delle idee poetiche per la testa, e i suoi genitori cercano di far presto a maritarla, per affidare in altre mani la cura di questo singolar morbo che è l'immaginazione. Le frasi che più si sentono ripetere in questo tempo, quali sono? Chi dice: — Siamo serii. — Chi dice: — Siamo pratici. — Chi dice: — Ragioniamo. — Anzi, tutti dicono, anche i pazzi: — Ragioniamo. — Giammai la ragione, la ragione pura, semplice e fredda, trovò tanti adoratori, tanti devoti, tanti ammiratori. Uno dei più grandi elogi che si possa fare, ora, a un uomo, è di dichiararlo, ahimè, pieno di senso comune; e il maggiore elogio che si faccia, ora, a una donna, è di proclamare il suo buon senso. Noi non tentiamo combattere direttamente, come il fatale protagonista del romanzo inglese, la immaginazione: noi non oseremmo mai distruggere completamente in un amico, in un figlio, in un'anima che ci sia cara, le facoltà candide spontanee vibranti della fantasia, onde tanta poesia si riversa sull'esistenza; ma noi tremiamo per essi, noi vorremmo che un miracolo, non fatto da noi, impietrasse il loro cuore troppo tenero, spegnesse i colori della loro fantasia e li lasciasse nella vita gelidi, forti, ferrei, senza gioie e senza dolori. Oh quanto la temiamo, noi, la vita, per noi e per quelli che amiamo!

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