No, giammai la vita inspirò in noi tante inquietitudini, tanti sospetti, tanti timori: giammai noi fummo tanto oppressi dal peso dell'esistenza, e giammai lo trovammo così affannoso, così duro, così minacciante. La funzione del vivere, pensando, sentendo, agendo, ci sembra un continuo problema da risolvere, e l'aver compiuto altre ventiquattr'ore del nostro viaggio, ogni sera, ci dà quasi un senso di sollievo, mentre l'aprir gli occhi alla luce, ogni mattina, ci dà un senso di smarrimento, come se ci misurassimo impotenti a trascorrere la nuova giornata. Ogni passo che noi facciamo, ci sembra arrischiato: ogni fermata ci sembra mortale. Ogni nostro movimento è da noi troppo discusso, troppo vagliato, e noi andiamo egualmente dalla inerzia al pentimento, dall'azione al pentimento. Quanto migliaja di generazioni d'uomini trovarono facile e piano, a traverso il tempo, lo spazio, a traverso tutte le più varie condizioni, appare a noi irto di ostacoli, talvolta insormontabili: le più semplici azioni che esseri fatti di sangue e di nervi come noi compirono spensieratamente, sempre, per secoli e secoli, sembrano a noi talmente difficili da lasciarci scoraggiati. La scelta di una carriera, l'abbandono del cuore a un amore, un grande viaggio, una novella intrapresa, un matrimonio, un subitaneo cangiamento di cose, d'idee, di consuetudini, c'immergono nelle più amare dubbiezze, ci tolgono ogni equilibrio, spesso ci riducono alla ignavia morale, facendoci rinunziare a risolvere i problemi più incalzanti dell'esistenza. Chi è più spensierato, oramai? Mentre tutte le invenzioni della scienza, tutte le leggi della politica, tutte le manifestazioni dell'arte sono dirette ad appianare le difficoltà dell'esistenza, ogni giorno di più quest'esistenza pare un orribile nodo gordiano che è impossibile di sciogliere e che niuno è tanto audace da tagliare. [13]Noi non vediamo innanzi a noi che erte montagne da ascendere, mentre deboli sono i nostri polmoni e fiacche sono le nostre gambe: non vediamo che deserte pianure da valicare, sotto il sole cocente, pianure senz'acqua e senza oasi, mentre già le nostre fauci son disseccate: noi non vediamo che un mare in tempesta da traversare, mentre già pende in brandelli la vela della nostra nave senza timone. Ma che ci è accaduto, dunque? Com'è che abbiamo dimenticato la scienza della vita? Come va che l'arte del vivere non è più nota? Chi ci ha tolto questa scienza e quest'arte? Chi diminuì e sperperò le nostre forze? Chi ha spezzato in noi la molla della nostra energia? Quale mano [14]ha strappato a noi il velo che ci nascondeva la verità e ci ha resi timidi, trepidanti, quasi vili? Chi, chi ha ingrandito, innanzi a noi, la possanza della vita e ha ammiserito la nostra possanza?
È la fredda ragione che tanto fece. È la voce della ragione quella che vi parla, troppo spesso e forse unicamente, all'orecchio, e che vi dice, gelidamente, quanto voi siate impari all'avversario, nella lunga milizia che è l'esistenza. La fredda ragione v'invita a guardare in voi stessi, a misurarvi, a pesarvi, a calcolarvi; e voi sentite tutta la penuria del vostro vigore, le inevitabili eredità di debolezza che sono nella specie, le miserie del sangue e [15]delle fibre, le limitazioni implacabili che mette la natura e che mette Iddio, le cadute fatali della volontà innanzi agli istinti che non si domano, le strettoie dove l'uomo si agita, e che la ragione, la fredda ragione, vi descrive, come la catena del galeotto che si porta sino alla morte. Parla al vostro orecchio la fredda ragione e vi mostra lo spettacolo della vita senza velo, senza aureola, nella sua nuda verità; e voi vedete che siano le vane promesse della gioventù, i fallaci giuramenti della passione, le lusinghe ingannatrici dei trionfi umani, le brevi ed egoistiche gioje dell'età virile, i tornanti amari ricordi della maturità e le tristissime decadenze della vecchiaja. Ah essa parla, parla [16]tanto, parla troppo, la ragione, e vi mostra, sì, la via della virtù, ma ve ne dichiara anche tutte le spine pungenti, tutte le asprezze dolorose, tutte le privazioni inenarrabili, e, questa via lunga, ve la fa vedere senza poesia, senz'attrazione, senza fascino, attossicante alla bocca e al cuore come l'assenzio, senza altre consolazioni, senza estremi compensi. Sì, è vero, la ragione vi assegna, rigorosamente, quello che è il vostro dovere: ma questo dovere ve lo infligge in tutta la sua austerità, in tutta la sua crudeltà, in tutta la sua amarezza; ma quello che v'impone di fare, la ragione, cioè il vostro dovere, essa ve lo mostra così brutto, così disadorno, così disgustoso, che l'uomo [17]si copre il volto con le mani, per non vedere: e la mortale fiacchezza lo colpisce e lo atterra. Tutto il congegno sociale, così bizzarro, così stravagante, così imperfetto, ma che non si potrebbe mutare, forse, che in peggio, la ragione ve lo smonta, innanzi, nelle sue ruote, e voi ne osservate tutti i traviamenti fatali, tutte le ingiustizie necessarie, tutte le infamie inevitabili e voi provate l'orrore mortale dell'uomo dinanzi ad una macchina mostruosa che lo deve schiacciare. Questo fa, la ragione. È il suo còmpito. Essa deve dirvi la verità; e non importa che questa verità sia il vostro dolore e la vostra morte.