L'ispiratrice, la Musa! Nessun più invidiabile destino, per una donna: nessuna vita meglio vissuta che compiendo piamente il dolce e alto incarico, per cui il Signore presceglie le sue creature predilette. E che significa, per una donna, essere una ispiratrice? Significa, è vero, essere bella, ma di una bellezza che non porti seco il gelo della vanità e la crudeltà dell'egoismo: significa essere giovane, ma di una gioventù non deturpata dalla frivolezza e dalla superficialità; significa esser buona, non della bontà ristretta e arida che si contenta di non fare il male: significa esser virtuosa, ma non di una virtù arcigna e angolosa: significa essere innamorata, ma innamorata non nel senso esigente, pretensioso e tormentoso, come molte donne, ahimè sono! La beltà di una Musa deve essere fatta della più completa unioe fra lo spirito e le linee, fra gli occhi e lo sguardo, fra la bocca e il sorriso, fra la persona e il suo passo: tanto che agli occhi estatici del poeta appaia una figura dove brilli la divina armonia che fa vibrare tutte le corde della mente e del cuore. La gioventù di questa felice donna, che ebbe una così gran parte nel mondo dell'intelletto e del sentimento, deve avere la freschezza rorida del fiore, il candore affascinante, la semplicità che prende e che trascina, la serenità che placa tutte le tempeste: la sua bontà deve essere sapiente, larga, profonda, efficace, fonte inesauribile di ogni dolcezza e di ogni tenerezza, una bontà che tutto sa, che tutto comprende, che tutto perdona, che nulla dimentica, ma che ricorda per perdonare ancora: la sua virtù deve essere clemente e assolvitrice: e il suo amore, questo amore che deve dare al poeta tutta la forza e tutta la felicità, questo amore, deve essere un miracolo di altruismo, un abbandono tenero e costante, una indulgenza mite e generosa, una passione alta e pure misurata, un senso schietto e silenzioso di abnegazione senza lacrime, di sacrificio senza rimprovero. Non così, forse, eravate voi, Beatrice, cara soave creatura che così poco rimaneste sulla terra, ma che vi restaste abbastanza per compire il vostro fato, ma che deste, dagli occhi e dal sorriso e dal saluto la viva fiamma che doveva perpetuare, nei secoli, il nome del vostro Poeta e il Vostro! Così, così, voi, esile giovanetta di Toscana, amata sin da quando eravate fanciulletta, amabile creatura fatta di preghiera e di amore, tutta serena nella leggiadria e tutta chiusa nella verecondia, creatura che amaste, come nel più bel romanzo di amore che abbia il mondo, nella Vita Nuova, è narrato. Povero, tenue, e pure profondo e vasto e ardente amore, raccontato con la parola più nobile e più schietta, col verso più innamorato e più passionale, riferendone gli episodii più semplici, più giovanili e più ingenui, tanto che ogni uomo, il più rozzo, nella Vita Nuova trova rispecchiato un suo amore, un suo idillio: giacchè le esistenze più misere e più brutali hanno avuto un idillio, nella vita! Voi eravate così, Beatrice e fra quante donne amarono i poeti, in tutte le plaghe del mondo e [68]in tutti i tempi, fra quante dettero il loro cuore e la loro persona, il loro amore e la loro vita; voi, prima, voi Musa delle Muse, voi, ispiratrice delle ispiratrici, mistico fantasma aureolato, luminoso, precedente, lontano, la lunga schiera delle martiri felici che vissero e perirono per amare un poeta.
Certo, non tutte potettero rassomigliare alla sublime fanciulla fiorentina, che presto la morte rapì al mondo e collocò nella gloria del Signore, dove il suo poeta la rivedette, dove la raggiunse. Certo un essere così giovanilmente perfetto, così datore di ogni bene, così fatto per attraversare semplicemente la terra, per ritornare al Cielo, mai più riapparve nel mondo. Ma ciò non importa. La donna ispiratrice può non essere bella, ma avrà sempre la grazia che conquide e che meglio conquide: può non essere giovane, ma trovare nell'amore il filtro che le ridà l'ora bella e piena di giovinezza: può il suo cuore essere stato maltrattato dalla vita, ma le donne sanno, dove è il balsamo che tocca e che sana: può avere l'anima abbeverata di amarezza, ma essere più forte dei veleni che prepara l'esistenza. Che importa! La donna è quello che vuole. Nel campo dello spirito e del sentimento, ella può invocare da Dio e volere fortemente tutti i miracoli che vivificano, che trasformano, che risuscitano, che mutano l'essenza dell'anima, che rifanno tutto un cuore. Ella può quel che vuole, se vuole. Ricordatevi, ricordatevi, voi che avete vissuto, come me, voi cui interessa lo spettacolo dello spirito, ricordatevi quante volte, in nome di un'idea, per un sentimento, perfino per un interesse, voi vedeste mutarsi completamente un cuore muliebre, e dove era la perversità, ritornare la ingenuità più sapiente, più conscia, e dove era la secchezza e il gelo, nascere ogni fiore di dolce colore, di dolce fragranza: ricordatevi, voi cui il problema dello spirito umano tormenta i buoni occhi osservatori, quante volte vi parve di veder nascere un'anima, novellamente, un'altra anima, e ve ne meravigliaste grandemente. Tutti i miracoli sono concessi a una donna, quando l'agiti dentro lo stimolo irresistibile di un ideale: tutto esso può sperare, felice taumaturga, in onore di un affetto, sia odio, sia amore. Io credo che si può nascere Salomè e diventare Maria Maddalena, nascere Dubarry e diventare Carlotta Corday, nascere Cleopatra e diventare Beatrice!
Giacchè tutte le Muse che ispirarono i grandi poeti dell'umanità furono donne essenzialmente diverse, di tempi, di paesi, di condizioni così varie e così dissimili, che mai altre. Volti bianchi e volti bruni, fronti dove risiedeva viva la gioventù e fronti già tocche indelebilmente dagli anni, creature austere e fantasie capricciose, anime il cui maggior pregio era la debolezza e volontà violente di trionfatrici, tutte le forme plastiche e tutte le essenze spirituali formano la schiera delle ispiratrici: eppure sotto la carezza delle loro bianche mani, i cuori dei poeti si aprirono e nacque la poesia alata e folgorante per i cieli dell'arte. Un solo grande vincolo le accomunava, le accomuna ancora, tutte quante, ed è questo desiderio di essere la fonte, donde l'ingegno del poeta trarrà ogni beltà d'immagini e ogni preziosità di forma, di essere la fiamma che incende le polveri onde alta e nobile, non devastatrice, si leva la gran vampa che sorprende le menti degli uomini, questo vincolo le unisce, questa missione grande, spesso dolorosa, spesso martirizzante. Ah dolce e amara cosa essere una Musa! Dire: ecco, quest'uomo ha in sè una forza, ma essa dorme, io la sveglierò; tutte le facoltà di questo ingegno sono nobili, ma immerse nell'ignavia, io vincerò la loro lunga inerzia: il lavoro che svincola lo spirito e gli dà le ali, è in orrore a quest'uomo, e io lo indurrò ad amarlo: la via, la bella via è innanzi agli occhi di costui, ma egli chiude gli occhi per non vederla, indolente, fiacco, scoraggiato, io prenderò la sua mano e camminerò con lui. Camminare con lui: la gran parola! Vuol dire mettere la sua piccola mano nella mano talvolta gelida, talvolta perfida, talvolta debole, talvolta [74]paurosa di un uomo e sorreggerne tutte le debolezze, riscaldarne il gelo, vincerne le perfidie e domarne tutti gli sgomenti: questo con una piccola mano feminile carezzevole e sicura, salda e leale. Vuol dire camminare anche avanti, perchè i triboli della strada feriscano prima lei la ispiratrice, che li scarta, che li allontana e non lacrima per le ferite: andare avanti, perchè il poeta non devii, perchè egli continui direttamente il suo cammino verso la sua meta: andare avanti, perchè il proprio core sia scudo ai colpi di tutti i maghi e di tutte le streghe che giurano vendetta, sempre, sovra ogni culla di poeta: questo è camminare con lui. Ma vuol dire anche stargli vicino [75]e piangere tutte le sue lagrime, se le lacrime sono necessarie; e dargli tutti i sorrisi, anche col cuore straziato quando egli voglia un sorriso; e sorreggerlo nelle ore di fiacchezza mortale: e medicare amorosamente tutte le ferite che il mondo riserba specialmente ai poeti; e cingere quell'amata persona delle proprie braccia per ridarle il vigore e posare quel capo adorato sul proprio cuore, per ridargli la pace. Camminare con lui, vuol dire anche dimenticare la propria beltà e la propria giovinezza, obbliare di essere una donna con una volontà propria, con un carattere proprio: annullare lentamente la personalità propria: dimenticarsi di essere: sparire nell'ombra del [76]poeta. Camminare con lui, significa, spesso, per la Musa, per l'inspiratrice non essere nè amata più, nè ammirata più: significa avere avuto un'ora di amore e una vita di dolore: significa subire l'abbandono più crudele, essere tradita sempre, quando si è sempre fedele: vedere mille rivali trionfare e trionfare la gran rivale, sovra tutto, che è la poesia: andare alla morte, significa, camminare con lui! Ma, in cambio di questo assorbimento, di questo annichilimento, di questa morte, rivivere più pura, più bella, più splendida nelle opere del poeta: prendere un posto così luminoso che poche creature umane possono diversamente: salire a una gloria che durerà nel tempo, quando centinaia di primavere, già, abbiano sfrondato le loro rose sulla tomba della Musa. Meraviglioso premio che va alle più fortunate inspiratrici: premio stupendo a tutta una esistenza martirizzata! E neppure tutte le raggiungono, questa corona di luce, questa bella palma data al miglior sangue dal loro cuore versato: molte inspiratrici restano sconosciute, giacchè l'ingrato poeta dimenticò colei che fu l'origine della propria fortuna spirituale, o l'adombrò in modo che niuno potesse riconoscerla. E allora queste ispiratrici si appagano, tacitamente, di avere dato al poeta tutto quello che gli mancava, si consolano pensando che il tale libro, il tale poema, non esisterebbe, [78]se il loro amore non avesse circondato l'amato capo di un'aureola di serenità, credono di avere ottenuto il premio se colui che amarono fu grande, anche un poco per esse. Se madame de Beaumont è morta per l'egoista, per il disumano visconte di Chateaubriand, strappando a tutti le lagrime, salvo che al suo poeta, i critici non sanno ancora dire chi fu che inspirò all'olimpico Wolfango Goethe la Carlotta del suo Werther e la Margherita del suo Faust!