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V. — IL PRANZO DEGLI SPONSALI.
日期:2021-06-28 17:13  点击:314
 Il dì seguente fu un bel giorno. Il sole si alzò puro e rilucente, e i suoi primi raggi di un rosso purpureo screziavano di un bel color rubino le spumose cime delle onde. Il pranzo era stato preparato al primo piano di quella stessa Réserve col pergolato della quale abbiam di già fatto conoscenza. Era una gran sala illuminata da cinque o sei finestre al di sopra di ciascuna delle quali, (non si sa perchè) stava scritto il nome di una delle grandi città della Francia; una balaustrata di legno passava avanti e univa queste finestre. Quantunque il pranzo non fosse fissato che pel mezzogiorno, fin dall’undici del mattino questa balaustrata era sopraccaricata di persone che vi passeggiavano con impazienza. Erano i marinai privilegiati del Faraone e qualche soldato amico di Dantès. Tutti per fare onore al fidanzato erano vestiti dei loro migliori abiti. Correva voce fra i convitati che gli [17] armatori del Faraone avrebbero onorato di lor presenza gli sponsali del loro secondo. Ma questo, a loro pensare, era un onore sì grande accordato a Dantès che nessuno osava crederci. Ciò non ostante Danglars che giungeva in compagnia di Caderousse, confermò a sua volta la notizia. La mattina aveva veduto lo stesso sig. Morrel, e questi lo aveva assicurato che sarebbe venuto a pranzo alla Rèserve. Difatti pochi momenti dopo, il sig. Morrel fece il suo ingresso nella sala e fu salutato dai marinai del Faraone con un hourrah di unanimi applausi. La presenza dell’armatore era per essi una conferma della voce che già correva, che Dantès sarebbe nominato capitano; e siccome Dantès era molto amato dalla ciurma, così questa brava gente ringraziava in tal modo l’armatore, che, per caso, l’elezione del capo era una volta in armonia coi desideri dei subordinati. Appena entrato il signor Morrel, unanimamente furono incaricati Danglars e Caderousse di andare incontro ai fidanzati, prevenirli dell’arrivo del personaggio importante, la cui venuta aveva prodotto sì forte impressione, e dir loro che si sollecitassero. Danglars e Caderousse partirono a tutta corsa; ma non ebbero fatto cento passi che all’altezza del magazzino a polvere scorsero la piccola compagnia che veniva alla loro volta: essa componevasi di quattro giovinette amiche di Mercedès, catalane come essa, che accompagnavano la fidanzata cui Edmondo dava braccio. Vicino alla futura sposa camminava il vecchio Dantès, e dietro loro veniva con sinistro sogghigno Fernando; i poveri giovinotti erano così felici, che non vedevano che sè soli ed il bel cielo che li benediva. Danglars e Caderousse disimpegnarono la loro missione di ambasciatori: quindi dopo avere cambiata con Edmondo una stretta di mano ben vigorosa ed amichevole, Danglars prese posto vicino a Fernando, Caderousse si mise in fila accanto del padre di Dantès, centro dell’attenzione generale. Il vecchio era vestito del suo bell’abito di taffettà mischio, guernito di larghi bottoni di acciaio tagliati a faccette. Le sue gambe sottili, ma nerborute, erano ricoperte da un magnifico paio di calze di cotone frastagliato, puzzanti un poco di contrabbando inglese. Dal suo cappello a tre pizzi pendeva una fettuccia bianca e turchina: finalmente egli si appoggiava sur un bastone di legno tornito e ricurvo in alto come il pedum degli antichi. Si sarebbe detto uno di quei zerbinotti che facevano nel 1796 la loro parata, nei giardini nuovamente riaperti del Lussemburgo, e delle Tuglierie. Vicino a lui, come si è detto, si era introdotto Caderousse che la speranza di un buon pranzo aveva riconciliato con Dantès, Caderousse al quale restava nella mente una vaga memoria di ciò che era accaduto nel giorno innanzi, come quando allo svegliarsi il mattino si trova nel proprio spirito l’ombra del sonno che si è fatto la notte. Danglars nell’avvicinarsi a Fernando aveva gettato sull’amante spregiato uno sguardo profondo. Fernando camminava dietro ai fidanzati, completamente dimenticato da Mercedès la quale con quell’egoismo giovanile e caro dell’amore, non aveva occhi per altri che per Edmondo; Fernando era pallido, poi rosso a tratti istantanei, che scomparivano per dar posto ciascuna volta ad un pallore sempre più crescente. A quando a quando volgeva uno sguardo verso Marsiglia, ed allora un tremito nervoso ed involontario gli scorreva per tutte le membra. Fernando sembrava attendere o per lo meno prevedere un qualche grande avvenimento. Dantès era vestito con semplicità, appartenendo alla marina mercantile, aveva un abito che teneva il mezzo fra l’uniforme militare ed il costume borghese, e sotto questo abito il suo portamento che veniva riscaldato ancora dalla gioia e dalla bellezza della sua fidanzata era superbo. Mercedès era bella come una di quelle greche di Cipro o di Cèos dagli occhi d’ebano e dalle labbra di corallo. Essa camminava col passo franco e libero delle Andaluse. Una cittadina avrebbe forse cercato di nascondere la sua gioia sotto un velo o almeno sotto il velluto delle sue palpebre; ma Mercedès sorrideva e guardava tutto ciò che la circondava, e il suo sorriso ed il suo sguardo dicevano francamente quanto avrebbero potuto dire le sue parole: «Se voi siete amici rallegratevi meco, poichè in verità io sono molto felice». Dal momento che i fidanzati e coloro che gli accompagnavano furono alle viste della Rèserve, Morrel discese, e s’avanzò anch’egli verso di loro, seguito dai marinari e dai soldati coi quali era rimasto ed a cui aveva rinnovato la promessa, già fatta a Dantès, ch’egli sarebbe succeduto al Capitano Leclerc. Edmondo vedendolo venire lasciò il braccio della sua fidanzata e lo passò sotto a quello di Morrel. L’armatore e la giovinetta dettero allora l’esempio e salirono [18] pei primi la scala di legno che metteva alla camera ove era preparato il pranzo, che cigolò per cinque minuti sotto i pesanti passi dei convitati. — Padre mio, disse Mercedès, fermandosi alla metà della tavola, voi starete alla mia destra, alla sinistra vi porrò quello che fin qui mi ha fatto da fratello, e lo disse con dolcezza tale, che penetrò nel più profondo del cuore di Fernando a guisa di un colpo di pugnale.
 
Le sue labbra s’incresparono e sotto la tinta livida del suo viso maschile, si potè ancora vedere una volta il sangue ritirarsi a poco a poco, per affluire al cuore. Durante questo tempo Dantès aveva eseguita la stessa manovra; alla sua destra avea posto Morrel, alla sua sinistra Danglars; quindi aveva fatto segno colla mano che ciascuno prendesse posto a suo piacere. Di già circolavano intorno alla tavola i salami di Arles colle carni brune e affumicate, le raguste ricoperte della loro rosea corazza, i ricci di mare che sembravano castagne circondate dalla loro scorza spinosa, le cappe, che hanno l’orgoglio di rimpiazzare con superiorità, presso i ghiottoni del mezzo giorno, le ostriche del nord; finalmente tutti quei crostacei, che i flutti gettano sulla riva sabbiosa e che i pescatori riconoscenti designano col nome generico di frutti di mare.
 
— Bel silenzio! disse il vecchio assaggiando un bicchiere di vino giallo come il topazio, che il papà Panfilo in persona aveva portato avanti a Mercedès; si direbbe che qui vi sono trenta persone che non desiderano altro che di ridere?
 
— Eh! un marito non è sempre allegro, disse Caderousse.
 
— Il fatto si è, disse Dantès, che io sono troppo felice in questo momento. Se egli è così che voi lo intendete, o vicino, voi avete ragione: la gioia qualche volta fa un effetto strano; essa opprime come il dolore.
 
Danglars osservò Fernando la cui natura sensitiva riceveva ed espandeva ciascuna emozione. — Andiamo adunque, diss’egli, avreste forse paura di qualche cosa? mi sembra al contrario che vada tutto a seconda dei vostri desideri.
 
— Ed è precisamente questo che mi spaventa, disse Dantès; mi sembra che l’uomo non sia fatto per essere così facilmente felice. La felicità è come quei palazzi dell’isole incantate, le porte dei quali sono guardate dai Draghi; bisogna combattere per acquistarli, ed io per dir la verità non so con qual merito mi abbia la felicità di essere marito a Mercedès.
 
— Il marito! il marito! disse Caderousse ridendo, non ancora caro capitano; provati un poco di fare da marito e tu vedrai come sarai ricevuto. Mercedès arrossì. Fernando si agitava sulla sua sedia, rabbrividiva al più piccolo rumore e di tempo in tempo asciugava delle grosse gocce di sudore che gli colavano dalla fronte come le prime gocce della pioggia di un oragano. — In fede mia, disse Dantès, vicino Caderousse, non val la pena di darmi una mentita per così poco. Mercedès non è ancora mia moglie, è vero, cavando l’orologio, ma fra un’ora e mezzo ella lo sarà. Ciascuno fece un grido di sorpresa eccetto il padre di Dantès, il cui largo riso mostrava dei denti sempre belli. Mercedès sorrise e non arrossì più. Fernando afferrò convulsamente il manico del coltello. — Fra un’ora disse Danglars, impallidendo anch’egli, e come ciò? — Sì, amici miei, rispose Dantès, grazie al credito del Sig. Morrel, l’uomo al quale dopo mio padre io debbo il più a questo mondo, tutte le difficoltà furono appianate; noi abbiamo pagate le pubblicazioni; e a due ore e mezzo il Maire di Marsiglia ci aspetta al palazzo di città. Ora essendo un’ora e un quarto, credo di non essermi sbagliato di molto dicendo che tra un’ora e trenta minuti Mercedès si chiamerà Madama Dantès.
 
Fernando chiuse gli occhi; una nube di fuoco gli bruciò le palpebre, si appoggiò alla tavola per non cadere in deliquio, e ad onta di tutti gli sforzi non potè ritenere un sordo gemito che si perdè fra il rumore delle risa e delle felicitazioni dell’assemblea. — È un bel fare eh! disse il padre di Dantès, vi sembra che questo si chiami perder tempo? arrivato ieri mattina, maritato oggi a tre ore; parlatemi di marinari per andar dritti alla meta. — Ma le altre formalità? osservò timidamente Danglars, il contratto, la scritta? — Il contratto! disse Dantès ridendo, il contratto è fatto; Mercedès non ha niente ed io del pari, noi ci maritiamo sotto il regime della comunioe, e ciò non è lungo a scrivere e non sarà costoso a pagare. Questa facezia eccitò una nuova esplosione di gioia e di evviva.
 
— Per tal modo quel che noi crediamo un pranzo di sponsali, disse Danglars, è un pranzo di nozze? — No, disse Dantès, state tranquilli; non vi perderete niente. Domani mattina parto per Parigi; [19] cinque giorni per andare, cinque per tornare, un giorno per eseguire coscienziosamente la commissione di cui sono incaricato, e il 12 marzo sono di ritorno. Pel 12 marzo adunque vi aspetto al vero pranzo di nozze!
 
La prospettiva di un nuovo festino, raddoppiò l’ilarità al punto che Dantès padre, che al principio del pranzo si lamentava del silenzio, faceva ora in mezzo della conversazione generale vani sforzi per fare sentire il suo voto di prosperità in favore dei promessi sposi. Dantès indovinò i pensieri del padre e vi rispose con un sorriso pieno di amore. Mercedès cominciò a guardare l’ora sul pendolo della sala e fece un piccolo segno ad Edmondo. Regnava intorno alla tavola quella gioia fragorosa, quella libertà individuale, propria della fine dei pranzi della bassa classe. Quegli che erano malcontenti del loro posto si erano alzati di tavola, ed erano andati a cercare altri vicini. Tutti cominciavano a parlare in una volta e nessuno si occupava di rispondere a ciò che il suo interlocutore gli diceva, ma soltanto alle proprie idee. Il pallore di Fernando era quasi passato sulle guance di Danglars; Fernando stesso più non viveva; sembrava un dannato in un lago di fuoco; si era alzato dei primi e passeggiava in lungo e in largo nella sala, cercando d’isolare il suo orecchio dal rumore delle canzoni e dal toccarsi dei bicchieri. Caderousse si avvicinò a lui nel momento in cui Danglars, che egli sembrava fuggire, lo raggiungeva in un angolo della sala. — In verità, disse Caderousse, a cui le buone maniere di Dantès, e più ancora il vino di papà Panfilo, avevan tolto i resti di quell’odio di cui l’inattesa fortuna di Dantès aveva gettato i germi nel suo animo; in verità Dantès è un gentil giovinotto, e quando lo vedo seduto presso la sua fidanzata, dico a me stesso che sarebbe stato veramente male di fargli quella cattiva burla che gli tramavate ieri.
 
— Tu hai veduto, disse Danglars, che la cosa non ha avuto alcuna conseguenza; questo povero Fernando era così sconvolto che mi aveva sulle prime fatto pena; ma dal momento che egli ha preso la sua risoluzione al punto di farsi il primo testimonio delle nozze del suo rivale, non v’è più nulla a dire. — Caderousse guardò Fernando, egli era livido.
 
— Il sacrificio è tanto più grande, continuava Danglars, in quanto che la giovinetta è molto bella. Che furbo felice è il mio futuro Capitano! vorrei chiamarmi Dantès, per dodici ore soltanto.
 
— Partiamo? domandò la dolce voce di Mercedès; suonano le due, e siamo aspettati a due ore e un quarto.
 
— Sì, sì, partiamo, disse vivamente Dantès.
 
— Partiamo, ripeterono in coro, tutti i convitati.
 
Nel medesimo istante Danglars che non perdeva di vista Fernando assiso sul parapetto della finestra, lo vide aprire due occhi spaventati, alzarsi come per un movimento convulsivo e ricadere assiso al suo posto. Quasi nel medesimo momento un sordo rumore ritronò nelle scale, un fragor di passi ed un mormorio di voci, confuso all’urtarsi di armi, coprì le esclamazioni dei convitati per fragorose che fossero, ed attirò l’attenzione generale, che si manifestò ad un tratto con un silenzio. Il rumore si avvicinò, tre colpi percossero la porta; ciascuno guardò il suo vicino con sorpresa.
 
— In nome della legge! gridò una voce, cui nessuno rispose. Tosto la porta si aprì, ed un commissario, cinto della sua sciarpa, entrò nella sala seguito da quattro soldati armati, condotti da un caporale. L’inquietudine diede luogo al terrore. — Che c’è? domandò l’armatore facendosi avanti al commissario cui conosceva; qui v’è sbaglio certamente?
 
— Se vi è sbaglio, sig. Morrel, rispose il commissario, state sicuro che sarà tosto riparato. Frattanto io sono portatore di un mandato di arresto, e quantunque, esegua la mia commissione con dispiacere, pur non ostante m’è forza l’eseguirla. Chi di voi, è Edmondo Dantès? — Tutti gli sguardi si diressero verso il giovinotto, che, commosso ma conservando la sua dignità, fece un passo in avanti e disse: — Son io signore.
 
— Edmondo Dantès, riprese il commissario, in nome della legge, io vi arresto.
 
— Voi mi arrestate! disse Edmondo con un leggiero pallore; e perchè?
 
— L’ignoro, ma voi lo conoscerete certamente nel vostro primo interrogatorio. Morrel capì che non vi era nulla a farsi contro la riflessione; un commissario cinto di sciarpa non è più un uomo, egli è la statua della legge fredda, sorda, muta. Il vecchio al contrario si precipitò verso l’uffiziale; vi sono cose che il cuore di un padre o di una madre non capiranno mai. Egli pregò e supplicò, lagrime e preghiere non ebbero alcun potere: e frattanto la sua disperazione era sì grande che il commissario [20] ne fu commosso. — Signore, diss’egli, calmatevi, forse vostro figlio avrà trascurato qualche formalità di dogana o di sanità, e secondo tutte le probabilità, allorchè si saranno ricevuti da lui gli schiarimenti che si desiderano, sarà messo in libertà.
 
— Che significa tutto ciò? domandò Caderousse aggrottando le sopracciglia, a Danglars che fingeva sorpresa.
 
— Lo so io forse? disse Danglars; io sono come te, guardo ciò che accade, mi confondo, e non ci capisco niente: Caderousse cercò con gli occhi Fernando, egli era disparso.
 
Tutta la scena del giorno avanti si presentò allora a Caderousse con una spaventevole chiarezza. Si sarebbe detto che la catastrofe alzava il velo che l’ubriachezza del giorno innanzi aveva posto fra lui e la sua memoria.
 
— Oh! oh! diss’egli con voce rauca, sarebbe questa la conseguenza dello scherzo di cui parlavate ieri, Danglars? In questo caso guai a chi l’avesse fatto, perchè è ben triste!
 
— Niente affatto, rispose Danglars, tu sai bene che al contrario io ho lacerato il foglio.
 
— Tu non l’hai lacerato, gridò Caderousse, l’hai maltrattato e gettato in un angolo, ecco tutto.
 
— Taci, tu non hai veduto nulla, eri ubbriaco.
 
— Ov’è Fernando? domandò Caderousse.
 
— E che so io! rispose Danglars, sarà pei fatti suoi probabilmente. Ma invece di occuparci di ciò, andiamo piuttosto a portare qualche consolazione a questi poveri afflitti.
 
Infatti, durante questa conversazione Dantès, aveva stretta la mano sorridendo ai suoi amici, e si era costituito prigioniero dicendo: — Siate tranquilli, ben presto si spiegherà l’errore, e probabilmente non andrò neppur fino alla prigione.
 
— Oh! sì certamente, io ne risponderei, disse Danglars che in questo momento si avvicinava, come abbiam detto, al gruppo principale.
 
Dantès discese la scala preceduto dal commissario di polizia, e circondato dai soldati. Una carrozza il cui sportello era aperto aspettava alla porta: egli vi salì, due soldati ed il commissario di polizia salirono dopo di lui. Lo sportello si chiuse, e la carrozza riprese la strada di Marsiglia.
 
— Addio Dantès! addio Edmondo, gridava Mercedès spingendosi fuori della ringhiera. Il prigioniero intese quest’ultimo grido uscito come un singhiozzo dal cuore lacerato della fidanzata, cacciò la testa dalla portiera gridando: a rivederci Mercedès! e disparve dietro uno degli angoli del forte S. Nicola.
 
— Aspettatemi qui, disse l’armatore; prendo la prima carrozza che incontro, corro a Marsiglia, e vi riporterò sue notizie.
 
— Andate, gridarono tutte le voci: andate e tornate presto. Dopo questa duplice partenza vi fu un momento di stupore terribile, che invase tutti coloro che erano rimasti, il vecchio e Mercedès restarono qualche tempo appartati, ciascuno nel proprio dolore. Ma finalmente i loro occhi s’incontrarono, essi si riconobbero come due vittime d’uno stesso colpo, e di un subito si gettarono nelle braccia l’uno dell’altra. In questo mentre Fernando rientrò, versò un bicchier d’acqua che bevve e andò ad assidersi ad una sedia. Il caso volle che Mercedès uscendo dalle braccia del vecchio venisse a cadere in una sedia vicina. Fernando rabbrividì e con un movimento affatto istintivo dette addietro con la sua.
 
— È lui, disse Caderousse a Danglars che non aveva perduto di vista un momento il Catalano. — Nol credo, rispose Danglars, egli è troppo stupido. In ogni caso, il colpo ricada sulla testa di chi lo vibrò! — Tu non parli di colui che lo ha consigliato, disse Caderousse. — Affè, disse Danglars, se si dovesse mallevar tutto quello che si manda in aria. — Sì, allorchè ciò che si manda in aria, ricade per la punta.
 
Durante questo tempo gli altri convitati riunitisi in gruppi commentavano l’arresto ciascuno secondo la sua opinione.
 
— E voi Danglars, disse una voce, che pensate di questo accaduto? — Io disse Danglars, credo che abbia portato qualche balla di merce proibita. — In questo caso, voi avreste dovuto saperlo; siete lo scrivano. — Sì è vero, ma lo scrivano non conosce che le balle che gli vengono dichiarate. Io so che noi abbiamo un carico di cotone, ed ecco tutto; che abbiamo preso il carico in Alessandria dal sig. Pastret, e a Smyrne dal sig. Paschal; non mi domandate altro.
 
— Oh! mi ricordo or bene, mormorò il povero padre, egli mi ha detto ieri che aveva per me una cassa di caffè ed una di tabacco. — Vedete dunque! disse Danglars è questo; nella nostra assenza la dogana [21] avrà fatta una visita a bordo del Faraone, e vi avrà scoperto il contrabbando. — Mercedès non credeva niente di tutto ciò: per il che compresso il dolore fino a quel momento, scoppiò di repente in singulti.
 
— Coraggio, coraggio, speriamo! disse il padre di Dantès senza troppo sapere ciò che si diceva. — Speriamo! ripetè Danglars. — Speriamo, tentò di mormorare Fernando: ma questa parola lo soffocava, le sue labbra si agitarono, e non ne uscì alcun suono. — Amici, gridò uno dei convitati che era rimasto in vedetta sulla ringhiera, amici, una carrozza... Ah! è il signor Morrel! coraggio! senza dubbio egli ci porta qualche buona notizia.
 
Mercedès ed il vecchio padre corsero verso l’armatore, che incontrarono sulla porta: il sig. Morrel era pallidissimo. — Ebbene!... gridarono tutti ad una voce... — Ebbene, amici miei, rispose l’armatore scuotendo la testa, l’affare è più grave di quello che noi non possiamo pensare. — Oh! Signore, gridò Mercedès, egli è innocente. — Lo credo, rispose Morrel; ma è accusato. — Di che dunque? Domandò il vecchio Dantès.
 
— Di essere un messo bonapartista.
 
Quegli dei miei lettori che han vivuto ai tempi di cui tratta questa storia si ricorderanno qual terribile accusa era allora quella che fu indicata da Morrel. Mercedès gettò un grido; il vecchio si lasciò cadere sulla sedia.
 
— Ah! mormorò Caderousse, voi mi avete ingannato, Danglars, quello che voi chiamate scherzo, fu fatto. Ma io non voglio lasciar morire di dolore questo vecchio e questa giovinetta, vado a spiegar loro ogni cosa. — Taci, disgraziato! gridò Danglars afferrando la mano di Caderousse, o io non rispondo della tua vita. Chi ti dice che Dantès non sia veramente colpevole? il bastimento si è fermato all’isola d’Elba, egli è disceso; è rimasto un giorno intero a Porto Ferrajo. Se si è ritrovata qualche lettera che lo metta in rischio, verrebbero dichiarati suoi complici coloro che volessero proteggerlo.
 
Caderousse aveva l’istinto rapido dell’egoismo, e capì tutta la solidità di questo ragionamento. Egli guardò Danglars con occhi fatti ebeti dal timore e dal dolore e per un passo che aveva fatto in avanti, ne fece due in dietro; ed: — Aspettiamo allora, mormorò — Aspettiamo, disse Danglars: se è innocente sarà messo in libertà, se è reo è inutile mettersi a rischio, per un cospiratore. — Allora partiamo, io non posso più lungamente restar qui. — Sì, vieni, disse Danglars, contento di trovare un compagno nella ritirata: vieni, e lasciamoli tirarsi d’impaccio come potranno. — Essi partirono. Fernando divenuto il sostegno della giovinetta, prese Mercedès per mano, e la ricondusse ai Catalani. Dalla loro parte gli amici di Dantès ricondussero il vecchio quasi svenuto ai viali di Meillan. Ben presto il rumore che Dantès era stato arrestato come un messo bonapartista, si sparse per tutta la città. — Avreste voi creduto ciò, caro Danglars? disse Morrel raggiungendo il suo computista e Caderousse; poichè egli stesso rientrava con tutta fretta in città per avere qualche notizia diretta di Edmondo dal sostituto del procuratore del Re, il sig. Villefort, che conosceva un poco. Avreste mai creduto ciò? — Diamine, signore, rispose Danglars, io vi aveva detto che Dantès non si sarebbe fermato senza un motivo all’isola d’Elba, e tal sosta, voi lo sapete, mi era paruta sospetta. — Ma avete voi fatto parte ad alcuno, fuori che a me di questo vostro sospetto? — Me ne sarei ben guardato, soggiunse a bassa voce Danglars; sapete bene che a cagione di vostro zio il signor Policar Morrel, che ha servito sotto l’altro e che non nasconde il suo pensiero, voi siete sospetti di amare Napoleone, e avrei avuto paura di far torto ad Edmondo non meno che a voi. Vi sono delle cose, che è un dovere del subordinato di dire al suo armatore, e di tenere severamente celate agli altri. — Bene! Danglars, bene! disse Morrel, voi siete un bravo uomo, così io aveva pensato a voi nel caso in cui questo povero Dantès fosse divenuto capitano del Faraone. — Come signore? — Sì, io aveva già domandato a Dantès ciò che pensava di voi; e se egli avesse avuto repugnanza a conservarvi il vostro posto; mentre non so perchè mi era sembrato scorgere qualche ripugnanza fra voi due. — E che vi ha egli risposto? — Che credeva infatto avere avuto, in una congiuntura che non mi ha detto, qualche torto con voi, ma che chiunque avesse avuta la confidenza dell’armatore, avrebbe pur anche avuta la sua. — L’ipocrita, mormorò Danglars. — Povero ragazzo, disse Caderousse; è un fatto che egli era un eccellente giovinotto. — Sì, ma frattanto, disse Morrel, ecco il Faraone senza capitano. — Oh! bisogna sperare, poichè noi non possiamo ripartire che fra tre mesi, che di qui allora Dantès sia messo in libertà. — Senza dubbio; ma fino allora! — Ebbene fino allora eccomi qua, [22] sig. Morrel, disse Danglars. Sapete che io conosco il modo di menare un bastimento quanto un capitano venuto da un lungo viaggio. Ciò vi offre nello stesso tempo un vantaggio di servirvi di me; mentre allora quando Edmondo uscirà di prigione voi non avrete a licenziare alcuno, egli riprenderà il suo posto, ed io il mio.
 
— Grazie, Danglars, disse l’armatore: ecco infatto il modo di conciliar tutto. Prendete dunque il comando, io ve ne do facoltà e vigilate lo sbarco; non bisogna mai che per la disgrazia di un individuo ne soffrano le faccende.
 
— Siate tranquillo, o signore... si potrà poi almeno vederlo il buon Edmondo? — Vi risponderò in breve. Vado a cercare di parlare col sig. de Villefort ed intercederne il favore a pro del prigioniere. Io so bene che egli è di parte regia, ma che diavolo, quantunque regio e Procuratore del Re, è ciò non pertanto un uomo e io non lo credo cattivo. — No, disse Danglars, ma ho inteso dire che è ambizioso; e malvagio ed ambizioso si assomigliano molto.
 
— Infine poi, disse Morrel con un sospiro, staremo a vedere; andate a bordo, vi raggiungo in breve; ed abbandonò i due amici per prendere la strada del palazzo di Giustizia.
 
— Vedi, disse Danglars a Caderousse, il giro che prende la cosa: hai ancora l’intenzione di andare a difendere Dantès? — No certamente; ciò nonostante è assai terribile che uno scherzo abbia conseguenze sì triste. — Diamine! e chi lo ha fatto? non siamo stati nè tu nè io, non è vero? fu Fernando. Tu sai bene che in quanto a me ho gettato il foglio in un canto: ed anzi credevo di averlo lacerato. — No, no, disse Caderousse! in quanto a ciò ne sono sicuro, io lo vedo ancora là nell’angolo del pergolato tutto maltrattato, tutto avvolto, e vorrei anzi che fosse ancora là ove mi sembra di vederlo. — E che vuoi farci? Fernando lo avrà raccolto, Fernando lo avrà copiato o fatto copiare, o forse non avrà avuto neppur questo fastidio. Or che ci penso, mio Dio! egli avrà forse mandata la mia propria lettera. Fortunatamente che io aveva cambiato il mio carattere. — Ma tu sapevi dunque che Dantès cospirava? — Io non sapevo niente affatto. Come ti dissi, ho creduto di fare uno scherzo e niente altro. Sembra che scherzando, come fa Arlecchino, io abbia detta la verità. — Tant’è, soggiunse Caderousse, io pagherei qualche cosa di bello perchè la burla non fosse accaduta, o almeno per non essermene mischiato: tu vedrai che quest’affare ci cagionerà qualche disgrazia.
 
— Se deve portar disgrazia a qualcuno, sarà al vero colpevole, che è Fernando e non noi. Qual disgrazia vuoi tu che accada? noi non abbiamo che a starci cheti, e a non dire una parola su quanto è avvenuto, e il temporale passerà senza che cada il fulmine. — Amen! disse Caderousse facendo un saluto di addio a Danglars e dirigendosi verso i viali di Meillan scuotendo la testa e brontolando seco stesso, come è solito di fare chi è molto preoccupato.
 
— Buono! disse Danglars, le cose prendono quell’avviamento che io aveva preveduto; eccomi Capitano provvisorio, e se questo imbecille di Caderousse può tacere, ben presto capitano effettivo. Non vi sarebbe dunque altro caso che la giustizia rilasciasse Dantès... Oh! ma, aggiunse con un sorriso, la giustizia è giustizia ed io mi rimetto ad essa. Ciò dicendo saltò in una barca dando ordine al battelliere di portarlo a bordo del Faraone ove l’armatore gli aveva dato posta.

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