Lasciamo Villefort sulla strada di Parigi, ove mercè il triplicar delle mance divorava la strada, e penetriamo attraverso i due o tre saloni che lo precedono nel piccolo gabinetto delle Tuglierie tanto ben conosciuto per essere stato il gabinetto favorito di Napoleone e di Luigi XVIII, e per essere oggi giorno quello del Re Luigi Filippo. Là, assiso davanti ad una tavola di nocciuolo, che era stata trasportata da Hartwell; e per uno di quei capricci familiari ai gran personaggi egli vi portava una particolare affezione, il Re Luigi XVIII ascoltava con poca attenzione un uomo dai 50 a 52 anni, coi capelli grigi, di viso nobile e severo, facendo delle postille sul margine di un volume di Orazio, di edizione del Gryphius, molto scorretta quantunque stimata, e che ben si adattava alle sagaci osservazioni filosofiche di sua Maestà. — Voi dicevate adunque signore? disse il re... — Che io sono talmente inquieto da non potersi più, sire. — Davvero! avete veduto in sogno sette vacche grasse, e sette magre? — No Sire, perchè ciò non ci annunzierebbe che sette anni di fertilità e sette anni di carestia, e con un re previdente come vostra Maestà la carestia non sarebbe stata a temersi. — Di qual altro flagello si tratta adunque, mio caro Blacas? — Sire, io temo qualche tentativo disperato. — E per parte di chi? — Di Bonaparte; o almeno dei suoi parteggiani. — Mio caro Blacas, disse il Re, coi vostri terrori m’impedite di lavorare. — Vostra Maestà mi ordina forse di non più insistere su questo argomento?
— No, caro conte. Ma allungate la mano, laggiù, a sinistra vi troverete il rapporto del ministro di polizia in data di ieri... Ma eccolo, egli stesso... N’è vero annunziate il ministro di polizia? interruppe Luigi XVIII volgendosi all’usciere. Entrate, barone, e raccontate al conte ciò che sapete, e di più recente, sul conto di Bonaparte. Non ci dissimulate niente della situazione per quanto essa sia grave. Sentiamo, l’isola d’Elba è forse un vulcano, e siamo noi per vederne uscire la guerra tutta fiammeggiante, bella, horrida bella?
— Vostra Maestà, disse il ministro, avrà consultato il rapporto di ieri.
— Sì, sì, ma dite al conte, che non ha potuto trovarlo, ciò che contiene questo rapporto; ditegli in minuti particolari ciò che fa l’usurpatore nella sua isola.
— Signore, disse il barone al conte, tutti i buoni servitori di Sua Maestà non hanno che a rallegrarsi delle recenti notizie che ci giungono dall’isola d’Elba. Bonaparte si annoia mortalmente; passa delle intere giornate a veder lavorare alle miniere di Portolongone. Vi è di più: noi siamo quasi sicuri che fra poco tempo l’Usurpatore diventerà pazzo. — Pazzo? — Pazzo da legare. La sua testa s’indebolisce. Ora egli piange a calde lagrime, ora ride a gola aperta; altre volte passa delle ore intere sulla riva a gettar sassi nell’acqua e quando il sasso ha fatto cinque o sei sbalzi, sembra così contento come se avesse guadagnato un altro Marengo o un nuovo Austerliz. Ne converrete, credo, esser questi segni di pazzia. — O di saggezza, signor barone, o di saggezza, disse ridendo Luigi XVIII. I grandi capitani dell’antichità si divertivano anch’essi a gettare dei sassi in mare; vedete Plutarco alla Vita di Scipione Affricano. Ebbene! Blacas che ne pensate voi? disse il Re sospendendo un istante di consultare il voluminoso libro scolastico che teneva aperto innanzi a sè. — Io dico, Sire, che o il ministro di polizia, o io ci sbagliamo. Ma siccome è impossibile che sia il ministro di polizia, poichè ha in guardia l’onore e la salute di V. M., è probabile che faccia errore io. Ciò nonostante, Sire, al posto di V. M. vorrei interrogar la persona cui ordinai d’invigilare il mezzogiorno, e che giunge per la posta per dirmi: «Un gran pericolo minaccia il re». Ecco perchè bramerei che Vostra Maestà gli facesse quest’onore. — Volentieri, conte; sotto i vostri auspici io riceverò chi vorrete; ma voglio riceverlo colle armi alla mano. Signor ministro, avete voi un rapporto più recente di questo? perchè questo è dato dal 20 febbraio, e noi siamo ai 4 di marzo. — No, Sire, ma io ne attendo uno da un’ora all’altra. Sono uscito da questa mattina e nella mia assenza può esser giunto... — Andate alla prefettura, se ve n’è uno portatelo; e se non c’è... Ebbene! ebbene... continuò ridendo Luigi XVIII, se non c’è, fatene uno. Non è così che si pratica forse? — Oh! Sire, disse il ministro, grazie a Dio sotto questo rapporto non c’è bisogno d’inventar niente; ogni giorno i nostri uffici sono ingombrati da una quantità di denunzie particolareggiate che provengono da una folla di poveri diavoli che [42] sperano un poco di riconoscenza per i servigi che non rendono, ma che vorrebbero rendere. Essi giuocano alla ventura, e sperano che un giorno un qualche inatteso avvenimento venga a dare una specie di verità alle loro predizioni. — Va bene; andate, signore, disse Luigi XVIII, e pensate che vi aspetto. — Io non faccio che andare e tornare, Sire, e fra dieci minuti sono ai vostri comandi. — Ed io, Sire, disse Blacas, vado a cercare il mio messaggiero che ha fatto dugento venti leghe, e ciò appena in tre giorni. — Egli è bene un prendersi della fatica e dell’incomodo, mio caro conte, quando abbiamo i telegrafi che c’impiegano tre o quattro ore, e ciò senza che il proprio fiato ne soffra menomamente. — Ah! Sire, voi ricompensate molto male questo povero giovinotto che giunge così di lontano e con tanto ardore per recare un utile avviso a vostra Maestà! Non fosse che per il conte di Servieux che me lo raccomanda, io vi supplico di riceverlo bene. — De Servieux, il ciambellano di mio fratello? — Egli stesso. — Infatto ora trovasi a Marsiglia. — Ed è di là che mi scrive. — Vi parla egli pure di questa cospirazione? — No, ma egli mi raccomanda il sig. de Villefort e mi incarica di introdurlo presso vostra Maestà. — De Villefort! gridò il Re; e perchè non me lo avete detto subito? soggiunse lasciando scorgere sul viso un principio d’inquietudine. — Sire, io credeva che questo nome fosse sconosciuto a V. M.
— No, no, davvero, mio caro Blacas, egli è uno spirito serio, elevato, e soprattutto ambizioso; eh! per bacco! voi conoscerete di nome suo padre, Noirtier. — Noirtier, il girondino? Noirtier il senatore? — Precisamente. — E Vostra Maestà ha impiegato il figlio di un tal uomo? — Mio caro conte, vi ho di già detto che Villefort è ambizioso; e per inalzarsi, Villefort sacrificherà tutto, anche suo padre. — Allora, Sire debbo farlo entrare? — Sul momento, conte. Ov’è egli?
— Mi aspetta a basso nella mia carrozza.
Il conte uscì colla vivacità di un giovinotto, l’ardore sincero per la causa regia gli dava la sveltezza di vent’anni.
Luigi XVIII restò solo, riportando gli occhi sul suo Orazio mezz’aperto, mormorò: Justum et tenacem propositi virum.
Blacas risalì colla stessa velocità con cui era disceso; ma nell’anticamera fu costretto ad invocare l’autorità del Re; l’abito polveroso di Villefort, il suo costume niente conforme alla tenuta di corte, aveva eccitato gli scrupoli del maestro di cerimonie, che fu maravigliato di trovare in questo giovinotto la pretensione di presentarsi al Re vestito in quel modo; ma il conte tolse tutte le difficoltà colle semplici parole: Ordine di Sua Maestà; e ad onta delle osservazioni che continuò a fare il maestro di cerimonie per l’onore del principe, Villefort fu introdotto. Il Re era assiso nello stesso posto in cui lo aveva lasciato il conte. Aprendo la porta Villefort si trovò precisamente in faccia di lui; il primo movimento del giovine magistrato fu di sostare. — Entrate, sig. de Villefort, disse il Re, entrate. — Villefort salutò, fece qualche passo innanzi e aspettava che il Re lo interrogasse. — Signor de Villefort, continuò Luigi XVIII, ecco il conte di Blacas, che pretende abbiate qualche cosa d’importante da dirci. — Sire, il signor conte ha ragione, e spero che Vostra Maestà lo riconoscerà essa stessa. — Prima d’ogni altra cosa, il male è egli così grande, a vostro avviso, quanto mi si vuol far credere? — Sire, io lo credo urgente; ma mercè la diligenza che ho fatto, spero che non sia irreparabile. — Parlate quanto lungamente volete, disse il Re che cominciava a lasciarsi prendere dall’emozione che aveva alterato il viso del signor de Blacas e che alterava la voce di Villefort. Parlate e soprattutto cominciate dal principio; io amo l’ordine in tutte le cose.
— Sire, disse Villefort, farò a V. M. un rapporto fedele, ma io la prego frattanto di volermi scusare, se per la confusione in cui mi trovo dovessi mettere qualche oscurità nelle parole. — Un’occhiata gettata dal Re dopo questo esordio insinuante rassicurò Villefort della benevolenza del suo augusto uditore, e continuò: — Sire, io sono giunto il più rapidamente possibile a Parigi per annunziare a Vostra Maestà che ho scoperto coi mezzi delle mie funzioni non già uno di quei complotti volgari e senza conseguenza, come se ne tramano ogni giorno nel popolo e nell’esercito, ma una vera cospirazione, una tempesta che non minaccia niente meno che il Trono di Vostra Maestà; Sire, l’usurpatore arma tre vascelli, egli medita qualche disegno, forse insensato, ma fors’anche terribile per quanto sia insensato. A quest’ora egli dev’essere partito dall’isola d’Elba per andare [43] ove, io non lo so, ma a colpo sicuro per tentare una discesa a Napoli o sulle coste della Toscana, od anche della stessa Francia. Vostra Maestà non ignora che il sovrano dell’isola d’Elba ha conservato delle corrispondenze con l’Italia e con la Francia. — Sì, signore io lo so, disse il Re, molto turbato; e ultimamente ancora si ebbero degli avvisi che si tenevano delle riunioi bonapartiste nella strada S. Jacques. Ma continuate, vi prego: come avete avuto questi particolari?
— Sire, essi risultano dall’interrogatorio che ho fatto subire ad un uomo di Marsiglia che da molto tempo io faceva invigilare e che ho fatto arrestare il giorno della mia partenza, Quest’uomo, marinaro turbolento e d’un bonapartismo che mi era sospetto, è stato segretamente all’isola d’Elba. Egli ha veduto il gran Maresciallo, che gli ha dati ordini verbali per un bonapartista di cui non mi è riuscito fargli dire il nome; ma questa missione era di preparare gli spiriti ad un ritorno, noti Vostra Maestà che è l’interrogatorio che parla, ad un ritorno che non può mancare di essere vicino. — E dov’è quest’uomo? disse Luigi XVIII. — In prigione, Sire. — E la cosa vi è sembrata grave? — Tanto grave, Sire, che questo avvenimento avendomi sorpreso in mezzo ad una festa di famiglia, il giorno stesso de’ miei sponsali, io ho lasciato, fidanzata e amici, tutto differito ad altro tempo, per venire a depositare ai piedi di Vostra Maestà e i timori da cui ero compreso e le assicurazioni della mia devozione. — È vero, disse Luigi XVIII, non v’era trattato di matrimonio tra voi e madamigella di S. Méran? — La figlia di uno dei più fedeli servitori di Vostra Maestà. — Sì, sì, ma torniamo al complotto. — Sire, io ho timore che non sia più un complotto, ma una cospirazione. — Una cospirazione di questi tempi, disse Luigi XVIII sorridendo, è cosa facile a meditarsi, ma ben difficile a condursi a termine; perciocchè, ristabilito da ieri sul trono dei nostri antenati, noi abbiamo gli occhi aperti ad un tempo sul passato, sul presente e sull’avvenire. Da dieci mesi i miei ministri raddoppiano di vigilanza perchè il littorale del Mediterraneo sia ben guardato; se Bonaparte discende a Napoli, la coalizione tutta intera sarà in piedi prima solo che egli giunga a Piombino; se egli discende in Toscana, metterà il piede in un paese nemico, se discende in Francia lo farà con un pugno d’uomini, e noi ne verremo più facilmente a termine, esecrato come egli è dalla popolazione. Rassicuratevi adunque, o signore, ma non contate meno sulla nostra reale riconoscenza. — Ah! ecco qui il ministro di polizia, gridò il conte di Blacas. In questo momento infatti il ministro di polizia apparve sulla soglia della porta pallido, tremante, e coll’occhio vacillante come se fosse stato colpito da vivissima luce. Villefort fece un passo per ritirarsi, ma de Blacas lo trattenne per la mano.