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XII. — IL PADRE ED IL FIGLIO.
日期:2021-06-28 17:16  点击:229
 Noirtier, poichè in fatto era egli stesso il sopraggiunto, seguì cogli occhi il domestico fino a che fu chiusa la porta; poi temendo senza dubbio che egli stasse ad ascoltare nell’anticamera, andò a riaprirla ed a guardare; la cautela non era stata [47] inutile, e la rapidità colla quale Germano si ritirò provava che egli non era esente dal peccato che perdette i nostri primi padri. Noirtier allora volle andare egli stesso a chiudere la porta dell’anticamera, richiuse quella in cui erano, e stese la mano a Villefort che aveva seguito tutti questi movimenti con una sorpresa da cui non si era peranco rimesso.
 
— A noi! sai tu mio caro Gherardo, disse egli al giovinotto, guardandolo con un sorriso di cui era difficile definire l’espressione, che tu non mi sembri molto contento di rivedermi?
 
— Al contrario, mio padre, io ne sono incantato; era soltanto così lontano, ve lo confesso, di attendere una vostra visita, che essa mi ha in qualche modo stordito.
 
— Ma, mio caro amico, rispose Noirtier sedendosi, mi sembra che io potrei dirvi altrettanto. Come! voi mi annunziate i vostri sponsali a Marsiglia per il giorno 28 Febbraio, e il 4 Marzo siete a Parigi?
 
— Se io vi sono, padre mio, disse Gherardo avvicinandosi a Noirtier, non ve ne lamentate; perchè è per voi che io sono qui venuto, e il mio viaggio forse vi salverà.
 
— Ah! davvero! disse Noirtier allungandosi con noncuranza sulla seggia su cui si era assiso; davvero! contatemi dunque com’è, signor magistrato, ciò dev’esser curioso.
 
— Padre mio, voi dovete certamente avere inteso parlare di un complotto bonapartista che tiene le sue riunioi nella strada S. Jacques?
 
— N. 35, sì; io ne sono il vice-presidente.
 
— Padre mio! la vostra pacatezza mi fa fremere.
 
— Che vuoi tu, mio caro, quand’uno è stato proscritto dai montanari, quando uno è uscito da Parigi in una carretta di fieno, quando uno è stato attorniato nelle lande di Bordeaux dagli sgherri di Robespierre, ha per sè buone ragioni di guerra. Ma continuate adunque. Ebbene? che è accaduto in questa riunioe della strada S. Jacques?
 
— È accaduto che vi si fece venire il generale d’Épinay, e che il generale Épinay uscito a nove ore di sera da casa sua, fu ritrovato il domani nella Senna.
 
— E chi vi ha raccontata questa bella storia?
 
— Il Re stesso, signore!
 
— Ebbene! in compenso della vostra storia vi darò una notizia.
 
— Padre mio, io credo di saper già ciò che volete dirmi!
 
— Ah! voi sapete lo sbarco di Sua Maestà l’Imperatore.
 
— Silenzio, padre mio, ve ne prego, prima per voi e poi per me; sì, io sapeva questa notizia, e la sapeva ancora prima di voi, poichè è da tre giorni che io volo su la strada da Marsiglia a Parigi, colla rabbia di non poter lanciare, a duecento leghe innanzi a me il pensiero che mi bruciava il cervello.
 
— Sono tre giorni! ma siete pazzo? tre giorni fa l’Imperatore non era ancora sbarcato.
 
— Non importa, io sapeva il suo disegno.
 
— E come?
 
— Per mezzo di una lettera che vi era stata indirizzata dall’isola d’Elba, e che io ho sorpresa nel portafoglio di un messaggiero. Se questa lettera fosse andata nelle mani di un altro, a quest’ora, padre mio, voi forse sareste moschettato.
 
Il padre di Villefort si mise a ridere.
 
— Andiamo, andiamo, diss’egli, sembra che la restaurazione abbia imparato dall’Impero il modo di spedire gli affari... moschettato! caro mio, e come potete crederlo? e questa lettera dov’è? Io vi conosco troppo per pensare che voi l’abbiate lasciata andare.
 
— L’ho bruciata per timore che ne rimanesse un sol frammento; perchè questa lettera era la vostra condanna.
 
— E la perdita del vostro avvenire, rispose freddamente Noirtier. Sì, lo capisco; ma ora io non ho più nulla a temere, poichè voi mi proteggete. — Io faccio anche più di questo. Vi salvo. — Oh diavolo! ciò diventa più drammatico: spiegatevi. — Signore, ritorno sull’argomento delle riunioi di strada S. Jacques. — Sembra che queste riunioi stiano molto a cuore alla polizia; perchè non le hanno cercate meglio? le avrebbero ritrovate. — Non le hanno ritrovate, ma ne sono sulla traccia. — Questa è la parola d’uso, lo so bene: quando la polizia non sa niente, dice che ella ne è sulle tracce, ed il Governo aspetta tranquillamente il giorno in cui essa venga a dire colle orecchie basse, che queste tracce son perdute. — Sì, ma fu ritrovato un cadavere; il generale è stato ammazzato, e in tutti i paesi del mondo questo si chiama un assassinio. — Un assassinio, dite voi? Andiamo via, niente prova che il generale è stato vittima di un assassinio; tutti i giorni si ritrova gente nella Senna che vi [48] si getta per disperazione, o che vi si annega non sapendo nuotare. — Padre mio, voi sapete benissimo che il generale non si è annegato per disperazione, e che non si va a prendere un bagno nella Senna al mese di Gennaio. No! no! non vi illudete, questa morte è stata qualificata per un assassinio. — E chi l’ha qualificata in tal modo? — Il re stesso. — Il re! Volete voi sapere come sono andate le cose? Ebbene! ve lo dirò. Si credeva di poter contare sul generale Épinay, ci era stato raccomandato di laggiù: uno dei nostri va da lui, lo invita ad intervenire ad un’assemblea di amici nella contrada S. Jacques. Egli viene e là gli si spiega tutto il disegno: la partenza dall’isola d’Elba, lo sbarco meditato. Poi quando egli ha udito tutto, che non gli resta più niente a sapere, risponde che è realista. Allora ciascuno si mette in guardia, gli si fa dare giuramento; egli lo dà ma di cattiva grazia. Ebbene! ad onta di tutto ciò il generale uscì perfettamente libero. Egli non è ritornato a casa sua; che volete? mio caro, egli si allontanò da noi, avrà sbagliata la strada, ecco tutto. Un assassinio! In verità voi mi sorprendete, Villefort, voi Sostituto Procuratore del Re piantare un’accusa su prove così meschine! Ho io forse mai pensato a dire a voi, quando esercitavate il vostro mestiere di realista, e facevate tagliar la testa a uno dei miei: «figlio mio voi avete commesso un assassinio!» No, io ho detto: «benissimo! signore voi avete oggi combattuto vittoriosamente; a dimani la rivincita.» — Ma, padre mio, state in guardia, perchè questa rivincita sarà terribile quando la prenderemo noi. — Io non vi comprendo. — Voi contate sul ritorno dell’Usurpatore? — Lo confesso. — V’ingannate, padre mio, egli non farà dieci leghe nell’interno della Francia senza essere perseguitato, circondato, e preso come una bestia feroce. — Mio caro amico, l’Imperatore in questo momento è sulla strada di Grenoble. Il 10 o il 12 sarà a Lione, e il 20 o il 25 a Parigi. — Le popolazioni si solleveranno... — Per andare ad incontrarlo. — Egli non può aver seco che pochi uomini, e gli verranno inviati contro degli eserciti... — Che gli serviranno di scorta per entrare nella capitale. In verità mio caro Gherardo voi non siete ancora che un ragazzo. Voi vi credete bene informato perchè un telegrafo vi ha detto tre o quattro giorni dopo lo sbarco: «l’usurpatore è sbarcato a Cannes con pochi uomini: lo si sta perseguitando.» Ma dov’è, che fa? Voi non lo sapete. Si perseguita, ecco tutto ciò che sapete; ebbene! egli sarà in tal guisa perseguitato fino a Parigi senza bruciare una cartuccia. — Grenoble e Lione sono due città fedeli che gli opporranno una barriera insuperabile. — Grenoble gli aprirà le sue porte con entusiasmo, e la popolazione di Lione tutta intera uscirà per incontrarlo. Credetemi noi siamo tanto bene informati quanto voi, e la nostra polizia val molto più della vostra. Ne volete una prova? eccola: voi volevate nascondermi il vostro viaggio e io ho saputo il vostro arrivo mezz’ora dopo che avevate passata la barriera. Voi non avete dato il vostro indirizzo ad alcun altro che al vostro postiglione, ebbene! io ho conosciuto il vostro indirizzo e la prova è che giungo appunto al momento in cui vi mettete a tavola. Suonate adunque ed ordinate che portino un’altra posata, pranzeremo insieme. — Infatto, rispose Villefort, guardando suo padre con stupore; voi mi sembrate molto bene istruito. — Eh! mio Dio! la cosa è semplicissima: voi che siete in possesso del potere non avete che quei mezzi che può fornire il danaro; noi che lo aspettiamo, abbiamo quelli che somministra la devozione e l’attaccamento. — La devozione? disse Villefort ridendo. — Sì, la devozione; egli è in tal modo che con termini onesti viene chiamata un’ambizione che spera. — Il padre di Villefort stese da sè la mano sul cordone del campanello, per chiamare il domestico, Villefort gli trattenne il braccio. — Aspettate, padre mio, disse il giovine; una parola ancora... — Dite... — Per quanto sia mal regolata la polizia realista, ella però sa una cosa terribile. — Quale? — I connotati dell’uomo che, la mattina del giorno in cui disparve il generale Épinay, si era presentato in casa sua. — Ah! sa ciò questa buona polizia? e questi connotati quali sono? — Colorito bruno, capelli, barbette ed occhi neri; soprabito blu, abbottonato fino al mento; fettuccia d’uffiziale della Legion d’onore attaccata alla bottoniera, e canna d’India. — Ah! ah! ella sa ciò, disse Noirtier; e perchè dunque non ha messo la mano su questo uomo? — Perchè ieri o ieri l’altro lo ha perduto di vista presso l’angolo della strada Coq-Héron. — Diceva bene io quando diceva che la vostra polizia è stupida! — Io non ne dissento: ma da un momento all’altro può ritrovarlo. — Sì, disse Noirtier, gettando uno sguardo di noncuranza intorno a [49] lui; sì, se quest’uomo non fosse stato avvertito; ma egli lo è, e, continuò ridendo, cambierà di viso e di costume.
 
A queste parole, egli si alza, si leva il soprabito e la cravatta, va verso la tavola sulla quale erano preparate tutte le cose necessarie alla toletta di suo figlio, prende un rasoio, s’insapona il viso e con un polso perfettamente fermo fa cadere le barbette che lo mettevano a rischio, dando alla polizia un documento così prezioso. Villefort lo guardava con un terrore che non era esente da ammirazione. Tagliate quelle, Noirtier dà un’altra piega ai suoi capelli, prende, in vece della sua cravatta nera, la prima cravatta di colore che trova nel baule aperto di suo figlio, indossa, in vece del suo soprabito blu e abbottonato, un abito di suo figlio, color marrone e di taglio aperto; si prova avanti allo specchio il cappello ad ale ristrette del giovine, e pare soddisfatto del modo come gli sta, lascia la canna d’India nel canto del caminetto ove l’avea deposta, e fa sibilare nella sua mano nervosa una mazza di sambuco colla quale l’elegante sostituto dava al suo modo di camminare la disinvoltura che era una delle principali sue qualità. — Ebbene! diss’egli, volgendosi verso suo figlio stupefatto, subitochè questo cambiamento quasi a vista fu compito; ebbene, credi tu che la tua polizia potrà ora riconoscermi? — No padre mio, balbettò Villefort, o almeno lo spero. — Ora, mio caro Gherardo, continuò Noirtier, rimetto alla tua prudenza il far disparire tutti gli oggetti che lascio alla tua custodia. — Oh! siate tranquillo, padre mio, disse Villefort. — Sì, sì, ora io credo che tu abbia ragione, e che tu possa dire di avermi effettivamente salvata la vita. Ma sta tranquillo, io ti renderò questo servizio quanto prima.
 
Villefort scosse la testa. — Non ne sei tu convinto? — Spero almeno che v’inganniate. — Rivedrai tu il re? — Forse. — Vuoi tu passare ai suoi occhi per un profeta? — I profeti delle disgrazie sono sempre malveduti alla corte. — Sì, ma un giorno o l’altro gli vien resa giustizia: supponi una seconda restaurazione, allora passerai per un uomo ben più grande di Talleyrand del quale noi leggiamo tutte le lettere, e che non scrive che lettere. — Infine che dovrei io dire al Re? — Digli questo; «Sire, voi siete ingannato sulle disposizioni della Francia, sull’opinione delle città, sullo spirito dell’esercito. Quello che voi chiamate a Parigi il lupo della Corsica, che si chiama ancora l’usurpatore a Nevers, si chiama già Bonaparte a Lione e l’Imperatore a Grenoble. Voi lo credete circondato, perseguitato, in fuga; egli cammina rapido come l’aquila che porta; i suoi soldati, che voi credete morti di fame, stanchi dalla fatica e vicini a disertare, si aumentano come gli atomi di neve intorno al globo che si precipita. Sire, partite, abbandonate la Francia al suo vero padrone, a quello che l’ha conquistata; partite, Sire, non che voi corriate alcun pericolo: il vostro rivale è abbastanza forte per farvi grazia, ma perchè è umiliante per un nipote di S. Luigi il dovere la vita all’Eroe d’Arcole, di Marengo e d’Austerlitz.» Digli tutto ciò Gherardo o piuttosto, va, non dirgli niente, dissimula il tuo viaggio, non ti vantare di ciò che sei venuto a fare a Parigi; riprendi la posta; se tu hai volato su la strada per venire, divora lo spazio per ritornare; rientra a Marsiglia di notte, penetra in casa tua dalla porta di dietro e là resta ben tranquillo, ben umile, ben segreto, e soprattutto bene inoffensivo; perchè questa volta, te lo giuro, noi opereremo da persone rigorose e che conoscono i loro nemici; andate figlio mio, andate caro Gherardo, e mediante questa obbedienza agli ordini paterni, ovvero, se credete meglio, questa deferenza per i consigli di un amico, noi vi lasceremo nel vostro posto. Ciò sarà, soggiunse Noirtier sorridendo, un mezzo per voi di potermi salvare una seconda volta, se la bilancia politica un giorno rimetterà voi in alto, e me in basso. Addio mio caro Gherardo, al vostro prossimo ritorno discendete a casa mia. — E Noirtier uscì colla tranquillità che non lo aveva abbandonato un momento durante questa difficile conversazione. — Villefort, pallido e agitato, corse alla finestra, ne alzò la tenda, e lo vide passare in calma ed impassibile nel mezzo di due o tre uomini di cattivo aspetto imboscati agli angoli delle strade, che erano forse là per arrestare l’uomo dalle barbette nere, dal soprabito blu e dal cappello a larghe falde. Villefort restò così in piedi ed anelante fino a che suo padre disparve al crocivio di Bussy. Allora egli si slanciò sugli oggetti da lui lasciati; mise nel fondo del suo baule la cravatta nera, e il soprabito blu, contorse il cappello che cacciò sotto un armadio, ruppe la canna d’India in tre parti che gettò sul fuoco, si mise una berretta da viaggio, chiamò il suo cameriere, [50] con uno sguardo gli proibì le mille interrogazioni che avrebbe avuto volontà di fargli, saltò nella carrozza che l’aspettava, seppe a Lione che Bonaparte era entrato a Grenoble; e in mezzo all’agitazione che regnava lungo l’intera strada giunse a Marsiglia, in preda a tutti i terrori che entrano nel cuore dell’uomo coll’ambizione e coi primi onori.

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