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XXV. — LO SCONOSCIUTO.
日期:2021-06-29 15:27  点击:293
 Fecesi giorno: Dantès l’aspettava da lungo tempo ad occhi aperti. Ai primi albori si alzò; salì, come la sera, sulla roccia elevata dell’isola, per esplorarne i dintorni: ma tutto era deserto. Edmondo rimosse la pietra, discese, si riempì [110] le saccocce di pietre preziose, rimise il meglio che potè l’asse ed i ferramenti al coperchio del baule, lo ricoprì di terra, vi gettò sopra della sabbia per rendere il luogo smosso di fresco come il resto del suolo, uscì dalla grotta, rimise la pietra, ammassò su questa dei sassi di differente grossezza, ne riempì gl’intervalli con della terra, vi piantò dei mirti e dell’eriche, innaffiò queste piante novelle, affinchè sembrassero vecchie, cancellò le impronte dei suoi passi ripetuti intorno a questo luogo, e attese con impazienza il ritorno dei compagni. Difatto or non si trattava più di passare il tempo a guardare quest’oro e questi diamanti, e di restare a Monte-Cristo come un drago a sorvegliare il tesoro: bisognava ritornare alla vita, fra gli uomini, e prendere nella società il rango, l’influenza ed il potere che in questo mondo danno le ricchezze, prima e più grande delle forze di cui possa disporre la creatura umana.
 
I contrabbandieri ritornarono il sesto giorno. Dantès riconobbe da lontano l’andamento ed il moto della Giovane Amelia; si trascinò fino al porto come il Filotete ferito, ed allorquando i compagni approdarono, annunciò loro, lagnandosi ancora, di avere ottenuto un sensibile miglioramento; indi a sua volta ascoltò il racconto degli avventurieri. Essi erano riusciti, è vero; ma appena avevano deposto il carico, erano stati avvertiti che un brick di sorveglianza a Tolone, usciva dal porto e si dirigeva alla lor volta; allora erano fuggiti a tratto di freccia lagnandosi che Dantès, il quale sapeva dare una velocità maggiore al bastimento, non fosse stato là a dirigerlo. Infatto eransi avveduti ben presto del bastimento cacciatore che li inseguiva; ma coll’aiuto della notte, e passando la punta del capo Corso erano giunti a fuggire. In sostanza questo viaggio non era stato cattivo, e tutti, particolarmente Jacopo, erano dispiaciuti che Dantès non fosse stato con loro per ottenere la propria parte di utile da lor riportata, e che ammontava a 50 piastre.
 
Edmondo rimase impenetrabile, e non sorrise nemmeno alla enumerazione dei vantaggi di cui avrebbe potuto aver parte se avesse abbandonata l’isola; siccome la Giovane Amelia non era venuta a Monte-Cristo che per prenderlo, s’imbarcò subito la stessa sera, e seguì il suo padrone a Livorno; dove appena giunto, andò da un ebreo e vendè per 25 mila franchi ciascuno quattro dei suoi più piccoli diamanti. L’ebreo avrebbe potuto informarsi come un pescatore trovavasi possessore di simili oggetti, ma se ne guardò bene, perchè vi guadagnava mille franchi sopra ciascuno. La dimane Dantès comprò una barca nuova che regalò a Jacopo, aggiungendo a questo dono cento piastre per provvedersi dell’equipaggio; e ciò a condizione che Jacopo andrebbe a Marsiglia a chieder notizie di un vecchio chiamato Luigi Dantès, che abitava nei viali di Meillan, e di una giovinetta dimorante nel villaggio dei Catalani, che si chiamava Mercedès.
 
Jacopo credè di sognare. Ma Edmondo gli raccontò che erasi fatto marinaro per una bizzarria, e perchè la sua famiglia non gli voleva passare il danaro necessario per le spese minute, ma giungendo a Livorno era entrato in possesso della eredità di uno zio che lo aveva istituito erede universale. L’educazione elevata di Dantès dava a questa storia tale un’impronta di verità, che Jacopo non dubitò nemmen per poco che il suo antico compagno non gli dicesse il vero. D’altra parte, essendo terminato l’impegno di Edmondo col padrone della Giovane Amelia prese congedo dal vecchio marinaro, che dapprima tentò di ritenerlo, ma che intesa come Jacopo la storia dell’eredità, rinunciò perfino alla speranza di vincere la risoluzione del suo antico compagno. La dimane Jacopo mise alla vela per Marsiglia; egli doveva ritrovare Edmondo a Monte-Cristo. Lo stesso giorno Dantès partì senza dire ove andava, prendendo congedo dall’equipaggio della Giovane Amelia col dare una splendida gratificazione, e dal padrone col promettergli di fargli avere un giorno o l’altro sue notizie: e si recò a Genova.
 
Nel momento in cui arrivava veniva provato un piccolo yacht ordinato da un inglese, che, avendo inteso dire essere i Genovesi i migliori costruttori del Mediterraneo, aveva ordinato un yacht a Genova. L’inglese aveva convenuto il prezzo per 40 mila franchi, Dantès ne offrì 60 mila a condizione che il bastimento gli sarebbe stato consegnato lo stesso giorno.
 
L’inglese era andato a fare un giro in Isvizzera aspettando che il bastimento fosse terminato; non doveva ritornare che fra tre settimane od un mese, e il costruttore pensò che avrebbe avuto il tempo di rimetterne un altro sul cantiere. Dantès condusse il costruttore da un ebreo, passò con lui nello stanzino dietro la bottega, e l’ebreo contò 60 mila franchi al costruttore [111] che offerse a Dantès i suoi servigi per comporgli un equipaggio, ma questi lo ringraziò dicendogli che aveva l’abitudine di navigar solo, e che l’unica cosa che desiderava si era, che nel suo gabinetto a capo del letto vi fosse un armadio a segreti con tre divisioni pure a segreti: dette la misura dei compartimenti, che furono eseguiti la dimane.
 
Due ore dopo Dantès uscì dal porto di Genova, scortato dagli sguardi di una folla di curiosi che volevano vedere lo Spagnuolo che aveva l’abitudine di navigar solo. Dantès se ne cavò a meraviglia: coll’aiuto del solo timone, senza aver bisogno di lasciarlo, fece fare al bastimento tutte le evoluzioni necessarie; si sarebbe detto un essere intelligente pronto ad obbedire al più piccolo impulso, ed egli convenne seco stesso che i Genovesi meritavano la loro riputazione di primi costruttori navali del mondo. I curiosi seguirono con lo sguardo il piccolo bastimento, fino a che l’ebbero perduto di vista, ed allora cominciarono le discussioni per sapere ove era diretto: alcuni opinarono per la Corsica, altri per l’isola d’Elba; questi proposero scommesse che andava in Ispagna, altri sostennero che andava in Affrica, nessuno pensò a nominare l’isola di Monte-Cristo.
 
Dantès non pertanto colà si recava: e vi giunse sul finir del secondo giorno. Il naviglio era molto veliero, e avea percorsa la distanza in 35 ore. Dantès aveva perfettamente riconosciuto la situazione della costa, invece di approdare al consueto porto gettò l’ancora nel piccolo seno. L’isola era deserta; non appariva esservi approdato alcuno dopo la sua partenza, andò al tesoro; tutto era nello stesso stato in cui lo avea lasciato.
 
La domani sera, l’immensa sua fortuna era stata trasportata a bordo del yacht, e racchiusa nell’armadio a compartimenti e segreti. Dantès aspettò ancora otto giorni: durante i quali fe’ manovrare il suo yacht attorno l’isola, provandolo come uno scudiero prova un cavallo: e ne conobbe tutte le qualità ed i difetti; si promise di aumentare le une e di rimediare agli altri. L’ottavo giorno vide un piccolo bastimento che veniva alla sua volta a vele gonfie e riconobbe la barca di Jacopo: fe’ un segnale a cui Jacopo rispose, e due ore dopo la barca era vicina al yacht. Egli aveva una trista risposta a ciascuna delle due domande fatte da Edmondo: il vecchio Dantès era morto; Mercedès era disparsa.
 
Edmondo ascoltò queste due notizie con viso tranquillo; ma discese subito a terra proibendo che alcuno lo seguisse. Due ore dopo ritornò; due uomini della barca di Jacopo passarono sul suo yacht per aiutarlo a manovrare e ordinò di metter capo su Marsiglia. Egli prevedeva la morte di suo padre; ma di Mercedès che n’era avvenuto?
 
Senza divulgare il suo segreto, Edmondo non poteva dare istruzioni sufficienti ad un messo; d’altra parte ei voleva prendere altre informazioni, per le quali non poteva fidarsi che di sè stesso. Il suo specchio lo aveva rassicurato a Livorno che non correva alcun pericolo di essere riconosciuto, tanto più che ora aveva a sua disposizione tutti i mezzi per contraffarsi. Una mattina adunque, il yacht seguito dalla piccola barca, entrò bravamente nel porto di Marsiglia, e si fermò appunto dirimpetto al luogo di fatale rimembranza, ove venne imbarcato Dantès quella sera che lo trasportarono nel castello d’If. Non fu certamente senza una specie di fremito che vide nella lancia della Sanità venire alla sua volta un gendarme. Ma Dantès con quella perfetta sicurezza di sè che aveva acquistata, gli presentò un passaporto inglese di cui si era provveduto a Livorno, e mediante il lascia-passare straniero, molto più rispettato in Francia di quello dei nazionali, discese senza difficoltà a terra. La prima cosa che scoperse mettendo il piede sulla Cannebière, fu uno degli antichi marinari del Faraone. Quest’uomo avea servito sotto i suoi ordini, e si trovava là come un mezzo per assicurare Dantès sui cambiamenti che si erano operati in lui. Andò difilato da quest’uomo, e gli fe’ molte interrogazioni alle quali questi rispondeva senza neppure lasciar supporre, nè dalle parole, nè dalla fisonomia, ricordarsi di aver mai veduto quello che gl’indirizzava la parola. Dantès gli fe’ dono d’una moneta per ringraziarlo delle sue informazioni, un momento dopo sentì il brav’uomo che gli correva dietro, ei si volse.
 
— Perdono, signore, disse il marinaro, vi siete certamente sbagliato, avete creduto di darmi una moneta da 40 soldi, e mi avete dato un napoleone doppio.
 
— Infatto, amico mio, disse Dantès, io mi era sbagliato, ma siccome la vostra onestà merita una ricompensa, così eccovene un altro che vi prego di accettare per bere alla mia salute coi vostri compagni. — Questo fu talmente stordito dal regalo, [112] che non pensò nemmeno a ringraziare colui che glielo faceva, lo guardò e si allontanò dicendo:
 
— Questi è un qualche nababbo che viene dalle Indie.
 
Dantès continuò la sua strada; ciascun passo che faceva gli opprimeva il cuore con una nuova emozione; tutti i suoi ricordi d’infanzia, ricordi indelebili, eternamente presenti al suo pensiero erano là che sorgevano su ciascuna piazza, su ciascun angolo di strada, su ciascun crocicchio di via. Giungendo all’estremità della strada di Noailles, nel vedere i viali di Meillan sentì le ginocchia piegarglisi, e poco mancò non cadesse sotto le ruote di una carrozza, finalmente giunse alla casa già abitata da suo padre. I nasturzi e le clematidi erano disparse dalla pergola, ove altra volta la mano tremante del vecchio le trapiantava con cura. Dantès si appoggiò contro un albero, e per qualche tempo restò pensieroso riguardando gli ultimi piani di quell’umile e povera casa; finalmente si avanzò verso la porta, ne superò il limitare, e domandò se vi fosse un alloggio vuoto, e tanto insistè per visitare il quinto piano, che quantunque questo fosse occupato, il portinaro salì e domandò per parte di uno straniero alle persone che lo abitavano il permesso di vedere le due camere di cui si componeva.
 
Occupavano questo piccolo appartamento un giovine ed una giovane maritati da otto giorni soltanto. Vedendo questi giovani sposi Dantès mandò un profondo sospiro. Del rimanente però nulla più v’era che gli richiamasse alla memoria l’appartamento di suo padre: non v’era più la stessa carta sulle pareti, non più quei vecchi mobili, quegli amici dell’infanzia d’Edmondo, vivi al suo pensiero nei loro più piccoli particolari, tutto era cambiato. Non v’erano che le muraglie che fossero le stesse. Dantès si volse dalla parte del letto, che era nello stesso posto in cui lo teneva l’antico pigionale; suo malgrado gli occhi gli si bagnarono di lagrime: in questo posto il vecchio doveva aver reso l’ultimo sospiro nominando suo figlio. I due giovani guardavano con meraviglia quest’uomo dalla fronte severa, sulle guance del quale scorrevano due grosse lagrime senza che il viso si movesse. Ma come ogni dolore porta seco la sua religione, i giovani non fecero alcuna domanda allo sconosciuto; solo si ritirarono addietro per lasciarlo piangere a tutt’agio, e quando uscì, lo accompagnarono, dicendogli che poteva ritornare quando voleva, e che la loro povera casa gli sarebbe sempre stata ospitaliera.
 
Passando dal piano di sotto, Edmondo si fermò avanti un’altra porta, e domandò se abitava sempre lì un sartore chiamato Caderousse, ma il portinaro gli rispose che l’uomo di cui parlava avendo fatti cattivi affari, era andato ad abitare sulla strada da Bellegarde a Beaucaire, ove conduceva l’albergo del Ponte di Gard.
 
Dantès discese, domandò l’indirizzo del proprietario della casa sui viali di Meillan, andò da lui, fecesi annunziare sotto il nome di lord Wilmor (nome e titolo che stavano scritti sul passaporto) e comprò quella piccola casa per la somma di 25mila fr. il che era almeno 10mila fr. più di quel che valeva, ma Dantès, se gli avessero chiesto mezzo milione, lo avrebbe pagato. Lo stesso giorno i giovani che abitavano il quinto piano furono prevenuti dal notaro che aveva stipulato il contratto, che il nuovo proprietario concedeva loro la scelta di un altro appartamento in tutta la casa, senza aumentare in verun modo di pigione, a condizione che cedessero le due camere che occupavano. Questo strano avvenimento fu materia di discorsi per più di otto giorni a quanti erano soliti di frequentare i viali di Meillan, e fece fare mille congetture, di cui neppur una fu esatta. Ma ciò che più di tutto imbrogliò i cervelli, e turbò tutti gli spiriti, fu di vedere nella stessa sera quel medesimo uomo, che la mattina era stato veduto entrare nella casa dei viali di Meillan, passeggiare nel piccolo villaggio dei Catalani, ed entrare in una povera casa di pescatori, ove restò più di due ore a domandar notizie d’individui parte morti, parte da più anni disparsi. La dimane le persone, presso le quali egli era entrato per fare tutte queste domande, ricevettero in dono una nuovissima barca catalana, guernita di due scorticarie e di altre reti da pescare; questa brava gente avrebbe voluto ringraziare il generoso interrogatore, ma avevano veduto, che dopo avere egli dato alcuni ordini ad un marinaio, era montato a cavallo ed uscito da Marsiglia per la porta di Aix.

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