Si ricorderanno i nostri lettori quali erano le recenti, o per meglio dire le antiche conoscenze del conte di Monte-Cristo, che abitavano in via Meslay: Massimiliano, Giulia, ed Emmanuele. La speranza di questa buona visita che voleva fare, quei pochi momenti che avrebbe passati, da questa luce di paradiso sdrucciolando nell’inferno in che si era volontariamente posto, avevano sparsa la più graziosa serenità sul viso del conte, dal momento che Villefort era partito, e che Alì, il quale era accorso al noto tocco, erasi ritirato sulla punta dei piedi. Era mezzo giorno, il conte si era riserbata un’ora per salire da Haydée.
La giovane greca era, come abbiamo detto, in un appartamento interamente separato da quello del conte, per intero ammobiliato all’uso orientale; vale a dire i pavimenti coperti di fitti tappeti di Turchia, stoffe di broccato cadevano lungo i muri, ed in ciascuna camera un largo divano girava intorno con pile di cuscini che si spostavano a volontà di quelli che se ne servivano. Haydée aveva tre donne francesi ed una greca. Le tre francesi stavano nella prima camera, pronte ad accorrere al suono di un piccolo campanello d’oro, e ad obbedire agli ordini della schiava greca, la quale sapeva abbastanza il francese per trasmettere la volontà della sua padrona alle tre cameriere, cui Monte-Cristo aveva raccomandato di avere per Haydée i riguardi che si sarebbero potuti avere per una regina. Ella era nella camera più remota del suo appartamento, cioè in una specie di gabinetto rotondo, che prendeva lume soltanto dall’alto, e la luce passava per cristalli colorati in rosa: seduta per terra sopra cuscini di seta blu broccata in argento, circondando la testa col braccio destro mollemente rotondeggiante, mentre che il sinistro teneva fisso alle labbra il tubo di corallo al quale era incassata la canna flessibile di una pipa turca, che non lasciava giungere alla bocca il vapore, se non dopo di essere stato profumato dall’acqua di benzoino a traverso la quale la sua dolce inspirazione lo sforzava di passare. Quanto al vestito era quello delle donne dell’Epiro, cioè, calzoni di seta bianca ricamati a fiori di rose, che lasciavano scoperti due piedi da fanciullo che si sarebber creduti di marmo di Paros, se non si fossero veduti agitare due piccoli zandali colla punta ricurva, orlati d’oro e di perle; una veste a lunghe righe blu e bianche, con larghe maniche aperte per le braccia con ricami d’argento, e bottoni di perle; finalmente una specie di corsaletto che si allacciava al di sotto del seno con tre bottoni di diamanti. Quanto alla parte inferiore del corsaletto, e superiore dei calzoni, essa era perduta in una di quelle cinture, a vivi colori e a larghe frange, che in oggi formano l’ambizione delle nostre eleganti parigine. La testa era acconciata con una piccola calotta d’oro, orlata di perle, inclinata sopra un lato, e al disotto della callotta, dalla parte su cui era inclinata, una bella rosa naturale color porpora, spiccava intrecciata a capelli così neri che sembravano blu.
In quanto alla bellezza del viso, era la [265] bella greca in tutta la purezza del suo tipo, coi grandi occhi neri vellutati, la fronte di marmo, il naso dritto, le labbra di corallo, e i denti di perle. E su questo grazioso insieme, il fiore della gioventù era sparso con tutto il suo splendore e profumo.
Haydée poteva avere 19, o 20 anni.
Monte-Cristo chiamò la sua schiava greca, e fece domandare ad Haydée il permesso di entrare da lei. Per sola risposta, Haydée fece segno alla schiava di rimuovere la portiera. Monte-Cristo s’avanzò. Ella si sollevò sul gomito del braccio che teneva la pipa, e stendendo al conte la mano, lo accolse con un sorriso. — Perchè, diss’ella nella lingua sonora delle figlie di Sparta e d’Atene, perchè mi fai tu domandare il permesso d’entrare da me? Non sei più il mio padrone? non son più la tua schiava?
Monte-Cristo sorrise a sua volta: — Haydée, non sapete?...
— Perchè non mi dici tu, come d’ordinario? interruppe la giovane greca; ho dunque commesso qualche mancanza? in questo caso bisogna punirmi, ma non dirmi voi.
— Haydée, disse il conte, tu sai che siamo in Francia, e per conseguenza che sei libera?
— Libera di far che? domandò la giovane.
— Libera di lasciarmi. — Di lasciarti!... e perchè dovrei lasciarti? — Che so io?... vedremo gente...
— Non voglio vedere nessuno. — E se in mezzo ai bei giovani che incontrerai, qualcuno ti piacesse, non sarò tanto ingiusto... — Non ho veduto altri, che mio padre e te.
— Povera fanciulla, disse Monte-Cristo; ti ricordi di tuo padre, Haydée? — La giovane sorrise: — Egli è qua, è qua, diss’ella mettendo la mano sul cuore e sugli occhi.
— Ora, Haydée, tu sai che sei libera, che sei padrona, regina; puoi conservare il tuo costume, o lasciarlo a tuo capriccio; resterai qui quanto vuoi restarvi, uscirai quando il vuoi; vi sarà sempre una carrozza attaccata per te; Alì e Myrtho t’accompagneranno ovunque, e saranno ai tuoi ordini. Soltanto di una sola cosa ti prego; conserva il segreto della tua nascita, non dire una parola del tuo passato; non pronunziare in alcuna occasione il nome dell’illustre tuo padre, nè quello della tua povera madre.
— Te l’ho già detto, non voglio vedere nessuno.
— Ascolta, Haydée, questa reclusione del tutto orientale forse sarà impossibile a Parigi; continua ad apprendere il genere di vita dei nostri paesi del Nord, come lo hai fatto a Roma, a Firenze, a Milano, e a Madrid; ciò ti servirà sempre, tanto se continui a vivere qui, come se ritorni in Oriente. — La giovane alzò gli occhi sul conte, e rispose:
— E che ritorniam forse in Oriente, n’è vero, mio signore?
— Sì, disse Monte-Cristo. Ma credi tu che ti abituerai qui? — Ebbene! che mi domandi, signore? — Temo che tu non ti annoi.
— No, signore, perchè quando sono sola ho grandi ricordi, rivedo immensi quadri, mi si presentano grandi orizzonti col Pindo e coll’Olimpo in lontananza. Poi ho nel cuore tre sentimenti coi quali uno non si annoia mai: la malinconia, l’amore, e la riconoscenza.
— Sei una degna figlia dell’Epiro; Haydée, graziosa e poetica, si vede che discendi da quella famiglia di dee che è nata nel tuo paese. Sii dunque tranquilla.
Il conte disposto in tal modo alla visita che voleva fare a Morrel ed alla sua famiglia, partì mormorando alcuni versi di Pindaro.
Secondo i suoi ordini, la carrozza era preparata, vi salì, e questa come sempre, partì al galoppo.