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L. — PIRAMO E TISBE.
日期:2021-06-29 15:35  点击:345
 A due terzi del sobborgo Sant’Onorato, dietro una bella casa fra le notevoli abitazioni di questo quartiere si estende un vasto giardino di cui i marroni fronzuti sorpassano le enormi muraglie, alte come bastioni, e che lasciano al giunger della primavera cadere i loro fiori color bianco e rosa in due vasi di pietra scannellata, posti parallelamente sopra due pilastri quadrangolari, nei quali era incassato un cancello di ferro dei tempi di Luigi XIII.
 
Questo grandioso ingresso è condannato, ad onta dei magnifici giranei che vegetano nei due vasi, e che librano al vento le loro foglie marmorizzate ed i loro fiori di porpora dall’epoca in cui i proprietarii del casamento, e ciò da gran tempo, si sono ristretti a dividere la casa dal cortile piantato d’alberi che mette al sobborgo, dal giardino che chiude questo cancello, che altra volta metteva in un magnifico parco di frutti annesso alla proprietà. Ma da che il demone della speculazione tirò una linea, cioè una strada all’estremità di questo parco, e da che la strada prese un nome e anche prima d’esistere mercè una placca di vetro imbrunito, si pensò a vender questo parco per fabbricar sulla strada e far concorrenza a questa grande arteria di Parigi, che chiamasi sobborgo Sant’Onorato.
 
In materia di speculazioni però l’uomo propone e il danaro dispone: la strada battezzata morì in fasce, il comprator del parco dopo averlo interamente pagato, non potè trovare a rivenderlo per la somma che voleva; ed in aspettativa di un innalzamento di prezzo che da un giorno all’altro poteva rivalerlo delle perdite passate, e del suo capitale, si contentò d’appigionare questo recinto ad ortolani per 300 fr. annui. Era questo un danaro impiegato al mezzo per cento il che non è caro pei tempi che corrono; essendovi persone che lo impiegano al 30, e nondimeno lo trovano impiegato male. Intanto il cancello che altre volte metteva sul parco, è condannato, e la ruggine ne rode i gangheri: ma v’è ancor peggio, perchè gl’ignobili sguardi degli ortolani non avessero a lordare l’interno del recinto aristocratico, un tavolato fu applicato alle sbarre fino all’altezza di sei piedi. Vero è che le assi non son tanto ben connesse da non potervisi introdurre uno sguardo furtivo, ma questa casa ha costumi severi e non teme le indiscrezioni.
 
In quest’orto invece di cavoli o carote, di piselli o meloni, vegeta un alto trifoglio, che fa fede che ancor si pensa a questo luogo abbandonato. Una piccola porta bassa che apresi sulla strada in quistione dà ingresso a questo terreno circondato da mura, che i pigionali hanno abbandonato per cagione della sua sterilità, e che da otto giorni in vece di fruttare un mezzo per cento come per lo passato non frutta più niente affatto.
 
Dalla parte del casamento i marroni di [271] cui abbiamo parlato coronavano la muraglia, ciò però non impediva che altre piante di lusso stendessero i loro rami fioriti fra quelli avidi di aria. In un angolo ove il fogliame era talmente fitto che la luce appena poteva penetrarvi alcun poco, un largo banco di pietra ed alcune seggiole da giardino indicavano esser quello un luogo favorito, o di ritirata di qualcuno degli abitatori della casa situata a cento passi di distanza, e che appena si poteva scorgere fra i recinti di verdura che l’avviluppavano: finalmente la scelta di questo asilo misterioso era giustificata ad un tempo dall’assenza del sole, dalla continua freschezza anche nei giorni della più bruciante estate, dal cinguettio degli uccelli, e dall’allontanamento dalla casa e dalla strada, cioè dagli affari e dal rumore.
 
Verso la sera di una di quelle più calde giornate che la primavera possa accordare agli abitanti di Parigi v’era su questo banco di pietra un libro, un ombrellino, un cestello da lavoro, ed un fazzoletto di battista, di cui era cominciata l’orlatura, e non lungi da questo banco, vicino al cancello in piedi davanti all’assito, coll’occhio applicato ad una di quelle fenditure, che lasciavano vedere l’esterno, una giovinetta che fissava lo sguardo nel terreno deserto che noi conosciamo. Quasi nello stesso momento la piccola porta di quel terreno aprivasi senza far rumore e un giovine grande vigoroso vestito con una blouse di tela greggia, con un berretto di velluto nero, ma di cui i baffi, la barba, ed i capelli estremamente acconciati erano alcun poco in opposizione con questo vestito popolare, dopo un rapido sguardo girato intorno a sè per assicurarsi se era da alcuno spiato, passando da quella porta che richiudevasi dietro a lui, si diresse con passo precipitato verso il cancello. Alla vista di quegli che aspettava, probabilmente forse non in quel costume, la giovinetta dette addietro. Siccome a traverso la fessura della piccola porta il giovine con quello sguardo che non è proprio che degli amanti, aveva già veduto ondeggiare una veste bianca ed una larga cintura blu, si slanciò verso il recinto ed applicando la bocca ad una apertura:
 
— Non abbiate paura, Valentina, sono io.
 
La giovinetta si ravvicinò: — Oh! perchè dunque siete venuto così tardi quest’oggi? Sapete che quanto prima si va a pranzo, e che mi ha fatto d’uopo di molta politica e prontezza per ispacciarmi di mia matrigna che mi sorveglia, della cameriera che mi spioneggia, e di mio fratello che mi tormenta, per venire a lavorare qui a quest’orlatura, che ho ben paura non sarà finita per ora? Quando poi vi sarete scusato sul vostro ritardo, mi direte che significa questo nuovo costume che avete adottato, e che è stato quasi cagione che non vi abbia riconosciuto.
 
— Cara Valentina, voi siete troppo al di sopra del mio amore, perchè io osi parlarvene, e ciò non ostante tutte le volte che vi vedo, ho bisogno di dirvi che vi adoro perchè l’eco delle mie proprie parole mi accarezzi dolcemente il cuore, quando non vi vedo più. Ora vi ringrazio della vostra sgridata, essa è del tutto lusinghiera, perchè mi prova, non oso dire che mi aspettavate, ma che pensavate a me. Volevate sapere la causa del mio ritardo, ed il motivo del mio travestimento; ve lo dirò, e spero che vorrete scusarmi: ho fatto l’elezione di uno stato.
 
— Di uno stato!... che volete mai dire Massimiliano? E siamo dunque così felici perchè possiate parlare scherzando delle cose che ci riguardano?
 
— Oh! il cielo me ne guardi, disse il giovine, di scherzare con ciò che è la mia vita! ma stanco di essere un uomo che corre i campi e che scala le mura, seriamente spaventato dall’idea che mi faceste nascere l’altra sera che vostro padre un giorno o l’altro mi avrebbe fatto giudicare come un ladro, cosa che metterebbe a cimento l’onore di tutto l’esercito francese, non meno spaventato dalla possibilità che qualcuno si meravigli di vedermi continuamente ronzare intorno a questo terreno, ove non c’è la più piccola cittadella da assediare, o il più piccolo blockhaus da difendere, così da capitano dei spahis, mi sono fatto ortolano, ed ho adottato il vestiario della mia nuova professione.
 
— Buono quale follia!
 
— Ella è al contrario la cosa più saggia, che abbia fatto in vita mia, perchè essa ci garantisce ogni sicurezza; io sono stato a ritrovare il proprietario di questo recinto, la scritta coll’antico fittaiuolo era finita ed io l’ho preso di nuovo in fitto. Tutto questo trifoglio che vedete è mio, Valentina, nulla può impedirmi d’ora innanzi di far fabbricare una capanna fra questo fieno, e di vivere a venti passi lontano da voi. Oh! io non posso contenere la mia gioia e la mia fortuna. Concepite, Valentina che si possa giungere [272] a pagare tutto questo? È impossibile, n’è vero? Eppure tutta questa felicità, tutta questa fortuna, tutta questa gioia, per le quali avrei dato dieci anni della mia vita, mi costano, indovinate un poco?... 500 fr. l’anno pagabili per trimestre. Per tal modo d’ora innanzi non vi è più nulla da temere. Io sono qui in casa mia, posso mettere delle scale contro il mio muro e guardarvi per di sopra, ed ho il dritto, senza che una qualche pattuglia venga a disturbarmi, di dirvi che vi amo, fino a tanto che la vostra fierezza non si adonti di sentirsi dire questa parola dalla bocca di un povero giornaliero vestito con la blouse e coperto con un berretto. — Valentina mandò un piccolo grido di gioia, poi d’un subito: — Ahimè! Massimiliano, diss’ella tristamente, e come se una gelosa nube fosse d’improvviso venuta a velare i raggi del sole che illuminava il suo cuore; ora noi saremo troppo liberi, la nostra felicità ci farà tentare Dio; abuseremo della nostra sicurezza, e questa ci perderà.
 
— Potete voi dir questo, amica mia, a me, che da quando vi conobbi, ogni giorno vi do prove che ho subordinati i miei pensieri e la mia vita alla vostra vita ed ai vostri pensieri? Chi vi ha ispirato confidenza in me? il mio onore n’è vero? Quando mi avete detto che un vago istinto v’assicurava che correvate un gran pericolo, io ho messo i miei affetti ai vostri ordini, senza chiedervi altra ricompensa che la felicità di servirvi. Da quel tempo vi ho io dato con una parola, con un gesto, il motivo di pentirvi di avermi distinto fra quelli che avrebbero dato la loro vita per voi? Voi mi avete detto, povera fanciulla, che eravate stata fidanzata al sig. d’Épinay, che vostro padre aveva stabilito questo matrimonio, vale a dire ch’esso era certo, perchè tutto ciò che vuole il sig. de Villefort accade infallibilmente. Ebbene io sono rimasto fra le ombre aspettando tutto, non dalla mia volontà, non dalla vostra, ma dagli avvenimenti, dalla provvidenza, da Dio, e frattanto voi mi amate, voi avete avuto pietà di me, Valentina, me lo avete detto; ed io vi ringrazio di questa dolce parola, che vi prego di ripetermi di tempo in tempo, e che mi farà dimenticare tutto.
 
— Ed ecco ciò che vi ha dato ardimento, Massimiliano, ecco ciò che rende la mia vita dolce ad un tempo ed infelice al punto, che spesso domando a me stessa, se sia meglio per me il dispiacere che mi causava altre volte il rigore di mia matrigna e la sua cieca preferenza per suo figlio, o la felicità piena di pericoli che provo nel vedervi.
 
— Di pericoli! gridò Massimiliano; potete dire una parola sì aspra e sì ingiusta! avete mai veduto uno schiavo più sottomesso di me? Voi mi avete permesso di dirigervi qualche volta la parola, Valentina, ma mi avete proibito di seguirvi, ed io ho ubbidito. Da che ho ritrovato il mezzo di penetrare in questo recinto, di parlare con voi a traverso questa porta, di essere sì vicino a voi senza vedervi, ditelo, ho io mai domandato di toccare l’estremità del vostro vestito a traverso questo cancello? ho io mai fatto un passo per superare queste mura, ridicolo ostacolo per la mia forza e la mia giovinezza? Mai un rimprovero sul vostro rigore, mai un desiderio espresso chiaramente: sono stato ligio alla mia parola, come un cavaliere dei tempi antichi, confessatelo almeno, perchè io non vi abbia a credere ingiusta.
 
— È vero, disse Valentina passando fra due assi l’apice di uno de’ suoi diti affilati, sul quale Massimiliano posò le labbra, è vero, voi siete, un onesto amico. Ma finalmente non avete operato che col sentimento del vostro interesse, mio caro Massimiliano; ben sapevate che nel giorno in cui lo schiavo fosse divenuto esigente, avrebbe tutto perduto. Voi avete promesso l’amicizia di un fratello a me, che non ho amici, che sono dimenticata dal padre, perseguitata dalla matrigna, che non ho per consolazione che un vecchio immobile, muto, agghiacciato, la cui mano non può stringere la mia, il cui occhio soltanto può parlarmi, di cui il cuore batte senza dubbio per me di un residuo di calore. Derisione amara della sorte che fu nemica a me, vittima di tutti coloro che sono più forti di me, e che mi danno un cadavere per appoggio, e per amico. Oh! veramente Massimiliano, ve lo ripeto, son ben infelice, e voi avete ragione di amarmi per me e non per voi.
 
— Valentina, disse il giovine con una profonda emozione, non dirò che amo soltanto voi a questo mondo, perchè amo ancora mia sorella e mio cognato, ma per loro provo un amore dolce e tranquillo, che non rassomiglia in nulla a quello con cui amo voi: quando penso a voi il sangue mi bolle, il petto si gonfia, il cuore irrompe, ma questa forza, quest’ardore, questa potenza sovrumana io l’impegnerò ad amar voi soltanto fino al giorno che mi direte d’impiegarli per servirvi. [273] Il sig. Franz d’Épinay starà assente ancora un anno, si dice; in un anno quante eventualità favorevoli possono accadere! Dunque speriamo sempre; è cosa tanto buona, tanto dolce lo sperare! Ma aspettando, voi Valentina, voi che mi rimproverate il mio egoismo che cosa siete stata per me? la bella e fredda statua della Venere pudica. In contraccambio di questo affetto, di questa obbedienza, di questa riserva, che mi avete voi promesso? nulla; che mi avete voi accordato? ben poca cosa. Voi mi parlate del sig. d’Épinay, vostro fidanzato, e sospirate all’idea d’essere un giorno sua. Vediamo, Valentina, è forse soltanto questo quello che avete nell’anima? Che? io v’impegno la mia vita, vi do tutto me stesso, vi consacro fino al più insignificante battito del mio cuore, e quando sono tutto vostro, quando vi dico in segreto che morrò se vi perdo, voi non vi spaventate alla sola idea di dover divenire di un altro. Oh! Valentina, Valentina! se io fossi ciò che voi siete! se io mi sapessi amato, come voi siete sicura che io vi amo, io già avrei passato la mano fra le sbarre di questo cancello, ed avrei stretta quella del povero Massimiliano, dicendogli: «A voi, a voi solo, Massimiliano, in questo mondo e nell’altro.»
 
Valentina non rispose, ma il giovine l’intese sospirare e piangere.
 
La reazione fu sollecita su Massimiliano: — Oh gridò egli, Valentina, Valentina! dimenticate le mie parole, se in esse vi è qualche cosa che possa offendervi!
 
— No, diss’ella, voi avete ragione: ma non vedete che io sono una povera creatura abbandonata in una casa straniera; e la cui volontà è stata annullata da dieci anni, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto dalla volontà di ferro dei padroni che gravitano su di me? Nessuno sa quello che io soffro, ed io non l’ho detto ad altri che a voi. In apparenza, ed agli occhi di tutto il mondo, tutti sono buoni con me, tutti affettuosi, ed in realtà tutti mi sono nemici. Il mondo dice: «Il sig. de Villefort è troppo grave e troppo severo per essere molto tenero con sua figlia, ma ella ha avuto almeno la felicità di ritrovare nella sig.ª de Villefort una seconda madre.» Ebbene il mondo s’inganna, mio padre m’abbandona con indifferenza, e mia matrigna mi odia con un accanimento tanto più terribile, in quanto che è velato da un eterno sorriso.
 
— Odiarvi! Valentina! e come mai può farsi?
 
— Ahimè, amico mio, sono forzata a confessarvi che quest’odio per me, viene da un sentimento quasi naturale. Ella adora suo figlio, mio fratello Edoardo. — Ebbene?
 
— Ebbene! mi sembra strano immischiare a quel che dicevamo una quistione di denaro; ebbene! amico mio credo almeno che il mio odio venga di là. Siccome ella non ha beni di sua parte, ed io sono già ricca anche dal solo lato di mia madre, fortuna che mi verrà un giorno raddoppiata da quella del sig. e della sig.ª di Saint-Méran, che deve ricadere su me, ebbene! credo ch’ella sia invidiosa. Oh! mio Dio! se io potessi regalarle la metà di questa fortuna e ritrovarmi presso il sig. de Villefort come una figlia nella casa di suo padre, lo farei in questo medesimo punto.
 
— Povera Valentina!
 
— Sì, mi sento incatenata, e nello stesso tempo sono così debole, che mi sembra che questi ceppi mi sostengano, ed ho paura a romperli. D’altra parte mio padre non è quel tal uomo di cui si possano infrangere impunemente gli ordini; egli è possente contro di me, e lo sarebbe ancora contro di voi, lo sarebbe contro il re stesso coperto come egli è da un irreprensibile passato, e da una posizione quasi inattaccabile. Oh! Massimiliano, ve lo giuro, non combatto perchè temo d’infranger voi al pari di me in questa lotta.
 
— Ma finalmente, Valentina, riprese Massimiliano, perchè disperarvi così, e vedere l’avvenire sempre tetro?
 
— Oh! amico mio, perchè lo giudico dal passato.
 
— Ciò nonostante vediamo, se io non sia un partito illustre sotto il punto di vista della nobiltà, però sono unito per più di un motivo alla società nella quale vivete; il tempo in cui vi erano due Francie nella Francia, più non v’è; le più elevate famiglie della monarchia si sono fuse in quelle dell’impero; l’aristocrazia della lancia ha sposato la nobiltà del cannone. Ebbene! io appartengo a quest’ultima; ho una bella carriera innanzi a me nell’esercito, ho una fortuna limitata; la memoria infine di mio padre è onorata nel nostro paese, come quella di uno dei più onesti negozianti che abbiano mai esistito. Dico nel nostro paese, Valentina, perchè voi siete quasi di Marsiglia.
 
— Non mi parlate di Marsiglia, Massimiliano, questa sola parola mi ricorda la mia buona madre, quell’angelo che fu compianto da tutti, e che, dopo di avere [274] vegliato sulla sua figlia durante il breve soggiorno in questa terra, veglia ancora su lei, almeno lo spero, dall’alto del suo soggiorno nel cielo. Oh! se la mia povera madre vivesse! Massimiliano, non avrei più nulla a temere; le direi che vi amo, ed ella ci proteggerebbe.
 
— Ahimè, Valentina, disse Massimiliano, s’ella vivesse, io certamente non vi conoscerei, perchè voi lo avete detto, s’ella vivesse voi sareste felice, e Valentina felice mi avrebbe guardato con isdegno dall’alto della sua grandezza.
 
— Ah! amico mio, gridò Valentina, questa volta siete voi l’ingiusto... ma ditemi... — Che volete che vi dica? riprese Massimiliano, vedendo ch’essa esitava.
 
— Ditemi, continuò la giovinetta, in Marsiglia nei tempi passati vi fu mai qualche cagione di dissensioni fra la vostra famiglia e mio padre?
 
— No, che io sappia, rispose Massimiliano, se non è che vostro padre era un parteggiano zelante dei Borboni, ed il mio un uomo affezionato all’imperatore. Ciò è, a quanto presumo, la sola causa di cattiva intelligenza fra loro. Ma perchè mi fate questa domanda, Valentina?
 
— Ve lo dirò, riprese la giovinetta, perchè voi dovete sapere tutto. Ebbene era il giorno in cui fu pubblicata nei giornali la vostra nomina di ufficiale della legione d’onore. Noi eravamo tutti nella camera di mio nonno, il sig. Noirtier, e di più vi era ancora il sig. Danglars, quel banchiere i cui cavalli per poco non hanno ucciso mia madre e mio fratello. Io leggeva ad alta voce il giornale a mio nonno, mentre gli altri signori discorrevano fra di loro sul probabile matrimonio fra il Sig. de Morcerf, e la signorina Danglars, allorquando, come diceva, io giunsi al paragrafo che vi concerneva; io era ben felice... ma altrettanto tremante di dover pronunciare ad alta voce il vostro nome, e lo avrei fors’anche omesso, senza il timore che fosse stato male interpretato il mio silenzio; io dunque riunii tutto il mio coraggio e lessi.
 
— Cara Valentina!
 
— Ebbene tosto che risuonò il vostro nome, mio padre volse la testa, io era così persuasa, vedete come sono folle! che tutti sarebbero stati colpiti da questo nome come da un fulmine, che credetti di vedere fremere mio padre, ed anche il sig. Danglars, quantunque però sia sicura che fu una mia illusione.
 
«— Morrel! disse mio padre, fermatevi, ed aggrottò il sopracciglio. Sarebbe mai uno di quei Morrel di Marsiglia, uno di quegli arrabbiati bonapartisti che ci hanno procurato tanto male nel 1815?
 
«— Sì, rispose il sig. Danglars, credo anzi che sia il figlio dell’antico armatore.
 
— Davvero, disse Massimiliano, e che rispose vostro padre?
 
— Una cosa orribile che non ho il coraggio di ridirvi.
 
— Dite pure, riprese sorridendo Massimiliano.
 
«— Il loro imperatore, continuò egli con uno sguardo truce, sapeva mettere tutti questi fanatici al loro posto, ei li chiamava carne da cannone, ed era il solo nome che meritassero. Vedo però con gioia che il nuovo governo rimette in vigore questo salutare principio. Se per questo soltanto vuol conservare l’Algeria, farei le mie felicitazioni al governo, quantunque ci costi un poco troppo cara».
 
— Difatto questa è una politica un po’ brutale, disse Massimiliano, ma non arrossite, amica mia, di ciò che può aver detto il sig. de Villefort; mio padre non la cedeva al vostro su questo argomento, e ripeteva continuamente: «perchè dunque l’imperatore che fa tante belle cose, non fa un reggimento di giudici ed avvocati, e non li manda sempre al primo fuoco?» Lo vedete, amica cara, che i partiti si corrispondono pel pittoresco della espressione, e per la dolcezza del pensiero. Ma il sig. Danglars che ha detto di questa uscita del procuratore del re?
 
— Oh! egli si mise a ridere di quel sorriso sardonico che gli è particolare, e che io trovo feroce; poi si alzarono, e momenti dopo partirono. M’accorsi allora soltanto che il mio buon nonno era molto agitato. Bisogna che sappiate, Massimiliano, che io sola indovino le agitazioni di questo povero paralitico, e d’altra parte già dubitavo che la conversazione, che aveva avuto luogo, dovesse averlo molto agitato, perchè non usando più alcun riguardo nel parlare, presente questo povero vecchio, avevano detto male dell’imperatore, e a quanto sembrami, egli deve essere stato fanatico dell’imperatore.
 
— E di fatto è uno dei nomi più conosciuti dell’impero; è stato senatore ed ha preso parte, come saprete, a tutte le cospirazioni bonapartiste che hanno avuto luogo sotto la restaurazione.
 
— Sì, sento qualche volta dire a bassa voce alcune cose consimili, che mi sembrano strane; il nonno bonapartista, il [275] padre regio, che volete che ne capisca?...
 
«Io mi voltai dunque verso di lui, egli m’indicò collo sguardo il giornale. — Che avete mio nonno? gli diss’io, siete contento? — Egli fece segno di sì. — Di ciò che ha detto mio padre? chiesi io. — Fece segno di no. — Di ciò che ha detto il sig. Danglars? — Fece ancora segno di no.
 
«— È dunque perchè il sig. Morrel (non osai dire Massimiliano), ha avuto la nomina di ufficiale della legione d’onore.? — Fe’ segno di sì. Lo credereste, Massimiliano? Era contento perchè eravate stato nominato ufficiale della legion d’onore, egli che non vi conosce; questa è forse una follia da sua parte, perchè dicono che ritorna fanciullo, ma l’amo ancora di più per questo sì.
 
— La cosa è bizzarra, pensò Massimiliano; vostro padre mi odierebbe dunque, mentre vostro nonno al contrario... oh! quale stranezza son questi amori e questi odii di partito!
 
— Zitto, gridò d’improvviso Valentina, nascondetevi, salvatevi, vien gente. — Massimiliano corse ad una zappa, e si mise a zappare il trifoglio senza pietà. — Madamigella, madamigella, gridò una voce dietro gli alberi, la sig.ª de Villefort vi cerca, e vi chiama da per tutto. Vi è una visita in salotto. — Una visita! disse Valentina agitata, e chi è che ci fa questa visita? — Un gran signore, un principe a quanto dicono, il conte di Monte-Cristo.
 
— Vengo, disse ad alta voce Valentina. — Questa parola fece tremare dall’altra parte del cancello, colui al quale la parola vengo di Valentina serviva di addio.
 
— Oh! disse a sè stesso Massimiliano appoggiandosi pensieroso alla zappa, come mai il conte di Monte-Cristo conosce il sig. de Villefort?...
 

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