Già nella scelta del tema c'è un'ostentazione di spavalderia quasi provocatoria.
Contro chi? Direi che volevo combattere contemporaneamente su due fronti, lanciare
una sfida ai detrattori della Resistenza e nello stesso tempo ai sacerdoti d'una
Resistenza agiografia ed edulcorata.
Primo fronte: a poco più d'un anno dalla Liberazione già la ? rispettabilità ben
pensante ? era in piena riscossa, e approfittava d'ogni aspetto contingente di
quell'epoca - gli sbandamenti della gioventù postbellica, la recrudescenza della
delinquenza, la difficoltà di stabilire una nuova legalità -per esclamare: ? Ecco, noi
l'avevamo sempre detto, questi partigiani, tutti cosi, non ci vengano a parlare di
Resistenza, sappiamo bene che razza d'ideali... ? Fu in questo clima che io scrissi il
mio libro, con cui intendevo paradossalmente rispondere ai ben pensanti: *
D'accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani,
ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tatto composto
di tipi un po' storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza
un chiaro perché, ha agito un'elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha
resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali
voi non potrete mai sognarvi di essere! ? Il senso di questa polemica, di questa sfida è
ormai lontano: e anche allora, devo dire, il libro fu letto semplicemente come
romanzo, e non come elemento di discussione su di un giudizio storico. Eppure, se
ancora vi si sente frizzare quel tanto d'aria provocatoria, proviene dalla polemica
d'allora.
Dalla doppia polemica. Per quanto, anche la battaglia sul secondo fronte, quello
interno alla ? cultura di sinistra ?, ora pare lontana. Cominciava appena allora il
tentativo d'una ? direzione politica ? dell'attività letteraria: si chiedeva allo scrittore di
creare l'? eroe positivo ?, di dare immagini normative, pedagogiche di condotta
sociale, di milizia rivoluzionaria. Cominciava appena, ho detto: e devo aggiungere
che neppure in seguito, qui in Italia, simili pressioni ebbero molto peso e molto
seguito. Eppure, il pericolo che alla nuova letteratura fosse assegnata una funzione
celebrativa e didascalica, era nell'aria: quando scrissi questo libro l'avevo appena
avvertito, e già stavo a pelo ritto, a unghie sfoderate contro l'incombere d'una nuova
retorica. (Avevamo ancora intatta la nostra carica d'anticonformismo, allora: dote
difficile da conservare, ma che - se pur conobbe qualche parziale eclisse ?* ancora ci
sorregge, in quest'epoca tanto più facile, non meno pericolosa...) La mia reazione
d'allora potrebbe essere enunciata cosi: ? Ah, sì, volete " l'eroe socialista "? Volete il
" romanticismo rivoluzionario "? E io vi scrivo una storia di partigiani in cui nessuno
è eroe, nessuno ha coscienza di classe. Il mondo delle " Ungete ", vi rappresento, il
lunpen-proletariat! (Concetto nuovo, per me allora; e mi pareva una gran scoperta.
Non sapevo che era stato e avrebbe continuato a essere il terreno più facile per la
narrativa). E sarà l'opera più positiva, più rivoluzionaria di tutte! Che ce ne importa di
chi è già un eroe, di chi la coscienza ce l'ha già? ? il processo per arrivarci che si
deve rappresentare! Finché resterà un solo individuo al di qua della coscienza, il
nostro dovere sarà di occuparci di lui e solo di lui! ? Cosi ragionavo, e con questa
furia polemica mi buttavo a scrivere e scomponevo i tratti del viso e del carattere di
persone che avevo tenuto per carissimi compagni, con cui avevo per mesi e mesi
spartito la gavetta di castagne e il rischio della morte, per la cui sorte avevo trepidato,
di cui avevo ammirato la noncuranza nel tagliarsi i ponti dietro le spalle, y modo
di'vivere sciolto da egoismi, e ne facevo maschere Contratte da perpetue smorfie,
macchiette grottesche, addensavo torbidi chiaroscuri - quelli che nella mia giovanile
ingenuità immaginavo potessero essere torbidi chiaroscuri - ?sulle loro storie... Per
poi provarne un rimorso che mi tenne dietro per anni...