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CAPITOLO XIX. L’ASSALTO FORTUNATO.
日期:2021-08-09 14:53  点击:378
 Datemi l’arme, all’insidioso acume
Delle volpi di corte, i miti accenti,
A me l’acciaro! dell’oppresse genti
Dal furor dei tiranni è questo il nume.
(Palmi d’Arezzo).
Dopo alcune scaramuccie coi Borbonici a Renne, i Mille impresero quella famosa marcia di notte verso Parco, che li mise in facili comunicazioni coll’interno, e la parte orientale dell’Isola—marcia che io non ricordo d’aver veduto simile, e tanto ardua, nemmeno nelle vergini foreste dell’America.—Marcia che, senza la cooperazione di quei magnifici picciotti delle squadre siciliane, sarebbe stato impossibile di eseguire, o almeno di trasportare i pochi cannoni nostri e le munizioni.
 
L’alba del 22 maggio trovava i Mille a Parco, grondanti d’acqua piovana—e molli di fango dalla più disastrosa delle marcie di fianco—e se avessero avuto da fare con un nemico più diligente, quel giorno poteva essere funesto ai nostri Argonauti.
 
I cannoni erano smontati, e forse i loro affusti trovavansi a varie miglia di distanza. I cattivissimi moschetti infangati, e molti fuori di servizio, e la spossatezza della gente, avrebbero agevolato ai Borbonici la distruzione dell’egregia schiera.
 
Il 22 però passò senza novità.—I Mille ebbero tempo di rinfrancarsi, asciugar le loro scarse vestimenta, metter in ordine le loro armi, e prepararsi a qualunque avvenimento.
 
Solo il 23 mossero da Palermo i nemici, in due colonne: l’una direttamente al Parco per attaccarci di fronte; l’altra girando il nostro fianco sinistro, tentava di impadronirsi delle alture, e minacciava la nostra retroguardia e linea di comunicazione.
 
Il movimento combinato dal nemico non poteva esser migliore per esso, e mise i Mille nella necessità di abbandonare la posizione di Parco, e ritirarsi per lo stradale verso Piano dei Greci—ciocchè dovettero celeremente eseguire, dovendo fare un circuito assai grande—mentre la colonna nemica di cacciatori, sulla nostra sinistra, senza artiglieria, marciava per i monti, direttamente alla nostra linea di ritirata.
 
I Carabinieri Genovesi mandati sulla sinistra, per disturbare il progresso di tale colonna, vi pugnarono colla solita bravura, e perdettero alcuni dei loro prodi, tra cui Mosto—uno fra i migliori—fratello del Maggiore dello stesso nome, valoroso milite di cento combattimenti, ed uno dei martiri di Monterotondo.—Mosto ferito gravemente a Monterotondo, fu men felice di Uziel—il prodissimo della colonna Genovese—che vi morì da forte ed ebbe quindi la fortuna di non sorvivere alla sventura di Mentana.
 
Un distaccamento dei Mille con passo celere avendo preceduto la colonna sullo stradale, guidato dai patriotti della Piana, s’impossessò delle forti posizioni che dominano quel paese, e fermò la colonna dei cacciatori nemici la quale, credendo di soperchiare i Mille e disordinarli, ne fu invece soperchiata e resa incapace di avanzare un passo.
 
Quella sera s’accampò nelle vicinanze della Piana e s’inviò il generale Orsini sulla via di Corleone, coll’artiglieria, bagagli ed infermi—disposizione che principiata al crepuscolo, ingannò i nemici sulla direzione della colonna principale.
 
La notte stessa si lasciò il campo della Piana, e c’innoltrammo colla colonna senza impedimento nel bosco Cianeto che divide detto paese da Marineo.
 
Il 24 di maggio il nemico vedendo che tutta la forza dei Mille si ritirava verso Corleone, la perseguiva con circa cinque mila uomini delle migliori sue truppe, ed ebbe nelle vicinanze di quel paese un impegno col generale Orsini, in cui quest’ultimo si comportò egregiamente, sebbene con numero molto inferiore di uomini.
 
Qui mi è grato il ripetere: che solo in Sicilia potevasi effettuare un movimento coperto come quello che eseguirono i Mille dalla Piana a Palermo all’insaputa del nemico, il quale aveva il suo quartier generale a poche miglia di distanza.
 
Il 24 i Mille accampavano a Marineo.
 
Il 25 a Missilmeri—e tutte queste coraggiose popolazioni acclamavano l’arrivo dei fratelli, come se certi della vittoria.
 
E veramente il popolare entusiasmo ne era ben il precursore.
 
Quando si pensa che tutte queste belle popolazioni dell’Italia sono oggi così depresse ed umiliate—25 milioni d’individui che hanno i ladri in casa—senza aver nemmeno il coraggio di lamentarsene!—Vergogna!
 
E si millanta valore italiano—capi guerrieri, prodi eserciti.—Via! via! nascondete quella fronte macchiata dagli sputi stranieri!
 
Il 26, noi raggiungemmo il campo del generale La Masa a Gibilrossa, ove s’erano riunite alcune migliaia d’uomini delle squadre Siciliane. Ed a Gibilrossa si decise di assaltar Palermo nella notte.
 

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