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LVIII. LA REALTÀ
日期:2024-07-31 15:41  点击:302
Ancora, nelle nostre montagne, in mezzo ai campi di grano veglia una croce fatta con due legni legati.
 
Ma, nella notte qualcuno batte alle sbilenche vetratelle del contadino. Paiono dita di regina cariche di brillanti. E di sirena par la voce che dice: — Dormi in pace, buon villano, chè domani non avrai da mietere! La buona fata io sono di cui ti narrarono quand'eri fanciullo che in un'ora sola, di tre campi, trasse mille sacchi di fior di farina e drizzò sette pagliai. Meno meco tant'opre per quante son le paglie del tuo grano. Senti cantare le mie segatrici?... Ecco già le urlate de' battitori!.. Han battuto.... Ora si sventola e si strameggia laggiù la terra, mentr'io qua, su questo grano d'oro chiamo dal cielo le buone stellucce mie sorelle a macinarlo! È morbida e bianca la farina, che sembra nevicato!... Ho fatto. È tempo che ti desti!
 
E il contadino si desta. Un certo ventaccio fischia sì tra i tegoli malfermi, ma il mareggiar delle spiche non s'ode più.
 
Che sia vero della fata?! Che quel biancore che si scorge appena là sia farina!
 
Fa le scale come briaco, tira il paletto, spalanca la porta, si stropiccia gli occhi, li rifissa su quel biancore, e grida: — La tempesta! La tempesta! Non c'è più una spica dritta! non c'è più niente per me nel mondo!
 
Ma no! contadino. Guarda meglio. Qualcosa è rimasto in piedi in mezzo al campo.
 
Tu credi che solo le fate sian sogno. No anche il tuo grano è sogno; anche il tuo pane è sogno. Solo quella è realtà vera.
 
Va. Inginocchiati. Sentirai che ti dirà: — Vivi e risemina.
 

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