NON posso pensare a Firenze, senza ricordarmi della mia buona padrona di casa di via dei ——, la quale m'insegnò in sei mesi più lingua italiana di quanto io n'abbia imparata in dieci anni da tutti i miei professori di letteratura, nati, come diceva l'Alfieri,[1] là dove Italia boreal diventa.
Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interprete di albergo, buona come il pane, fiorentina fin nel bianco degli occhi, operosa, assestata e pulita come un'Olandese. Viveva[Page 95] d'una piccola rendita e di quel po' che guadagnava tenendo dozzina.[2] Leggicchiava, giocava al lotto, faceva qualche visita, e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago, in un cantuccio della sua piccola camera ingombra di mobili vecchi, vicino a una finestra, dalla quale si vedeva, di là dai tetti di molte case, la cima del campanile di Giotto.[3]
Che cos'è questo benedetto parlare toscano! Era una povera donna, non aveva cultura, sapeva appena leggere e scrivere; ma parlava da far rimanere a bocca aperta. E non il fiorentino volgare, perchè non ho mai inteso dalla sua bocca una parola o una frase che una signora non potesse ripetere in conversazione. Il suo parlare era tutto frasi efficacissime, immagini, proverbi, diminutivi graziosi, vezzi e fiori di lingua, che venivan via facili e fitti ad ogni proposito, come nei novellieri trecentisti, senza che le sfuggisse mai neppure un lampo di quel sorriso leggerissimo che per il solito tradisce la compiacenza intima di chi sa di parlar bene.
Ogni momento gliene sentivo dire una nuova.
Stentavo un po' a infilare il soprabito: essa mi diceva: Ma perchè non se lo fa allargare che le è stretto assaettato?
Entravo nella sua camera:—Badi,—mi diceva,—di non inciampare, perchè è buio come in gola.
Veniva un amico a chiedermi dei denari; essa capiva, e mi domandava:—Le è venuto a dare una frecciata, non è vero?
Diceva che il suo predicatore aveva la parola facile e ornata; che il lattaio aveva la voce come uno di questi cani incimurriti e fiochi che non posson più abbaiare; che erano tre giorni che non vedeva più l'effige dello spazzaturaio che pure le aveva promesso di venire; che il bambino della vicina aveva rotto un vetro, e suo padre non se ne era anche accorto, ma il poverino stava già rannicchiato dietro l'uscio ad aspettare il lampo e la saetta; che il mio maestro di spagnuolo aveva[Page 96] un vestito che gli piangeva addosso; che con tutte queste guerre che si fanno dopo che Pio IX[4] ha date le su' riforme bisogna sempre stare palpitando per i nostri cari; che un tale ch'era caduto dal secondo piano, e non era morto, aveva il sopravvivolo come i gatti; che un certo quadro pareva fatto coll'alito; che a una certa sua amica, in una certa congiuntura, essa aveva parlato come al cospetto di Dio, da cuore a cuore; e altre espressioni gentili ed argute, che a scriverle tutte, ci sarebbe da fare un vocabolario.
Però, quando s'accorgeva ch'io mi divertiva a farla parlare, taceva tutt'a un tratto e mi guardava con aria di diffidenza. Temeva che io la volessi canzonare. Anzi, qualche volta, quando mi lasciavo sfuggire un'esclamazione di meraviglia, quasi s'indispettiva.
—Oh insomma,—mi disse un giorno,—io parlo come so. Se dico degli spropositi, m'insegni lei a parlar meglio. Io non ho mai preteso di parlar bene.