FIGURIAMOCI tre piccole stazioni ferroviarie disposte nell'ordine seguente: X, Y, Z. Mi par già di sentirmi chiedere: o che[1] si tratta d'una equazione a tre incognite? No, l'algebra[Page 49] non c'entra per nulla, ma quelle tre lettere opache fanno benissimo al caso mio.
È una sera d'agosto soffocante, burrascosa. La luna, cinta di vapori sanguigni, scende la curva dell'orizzonte; in fondo, verso il nord, spessi lampi fendono in tutti i sensi grandi masse di nuvole accavallate l'una sull'altra come montagne gigantesche. Il tuono romba sinistramente.
Il signor Cesare Favari, capostazione di Y, in maniche di camicia, senza cravatta e col colletto slacciato siede nel suo ufficio, davanti all'apparecchio telegrafico. Fu una cattiva giornata pel signor Cesare, il quale dovette supplire il telegrafista indisposto e non ebbe un momento di riposo. Ora bisogna notare che il signor Cesare è un'ottima persona, ma è un po' facile a turbarsi, a confondersi, sopratutto quando la sua degna consorte, la signora Arpalice, scende dal suo primo piano e viene a intrattenersi con lui. E oggi, per esempio, la signora Arpalice fece un lunghissimo soggiorno in ufficio. Adesso però, grazie al cielo, la signora Arpalice è a letto, e il signor Cesare pensa che potrà raggiungerla, appena siano passati i due treni 44 (proveniente da X) e 105 (proveniente da Z). Ma il diavolo ci ha messo la coda.[2] Il treno 44 è in ritardo, ciocchè fa ritardare anche il treno 105 che suole scambiarsi col primo a Z. Sono le 11.
Finalmente la stazione di X dà segni di vita e annunzia telegraficamente la partenza del treno 44.
Quasi nel medesimo tempo giunge da Z un dispaccio di quel capostazione:
Se potete trattenere costì treno 44, spedisco treno 105.
Il signor Cesare si rende conto dell'impazienza dei viaggiatori del treno 105, e da quell'uomo[3] compiacente ch'egli è 30 ritelegrafa subito:
Tratterrò treno 44. Spedite treno 105.
E dalla stazione di Z capita senza indugio un secondo telegramma:[Page 50]
Treno 105 partito.
—Fra pochi minuti saremo in quiete,—osserva il signor Cesare stropicciandosi le mani. Indossa in fretta la giubba, si allaccia il colletto, si rasciuga il sudore ed esce all'aria aperta.
Altro che quiete! Minaccia un temporale indiavolato, di quelli che sveglierebbero anche i morti. E la signora Arpalice ha tanta paura del fulmine! Anzi il signor Cesare si meraviglia ch'ella non si sia ancora affacciata sul pianerottolo della scala e non abbia chiamato con la sua voce di pentola fessa:—Cesare! Cesare!
Bartolommeo, l'inserviente della stazione, passeggia su e giù lungo il marciapiede della strada, portando in mano la lanterna che proietta davanti a sè una lunga striscia di luce rossa. Però al guizzo dei lampi la luce rossa impallidisce, e spicca invece la colossale figura di Bartolommeo che par veramente un uomo troppo grande per una stazione così piccola.
—Corpo dei sette fratelli Maccabei![4]—brontola fra sè l'inserviente (è la sua esclamazione favorita).—Che tempo!
Infatti il tuono rumoreggia vicino, e il vento solleva turbini di polvere, investe fieramente gli alberi e arruffa i campi di biade. Non c'è in stazione nemmeno un viaggiatore. Chi deve moversi con una notte simile?
Il signor Cesare si accosta al suo subalterno, e gli dice:—I treni 44 e 105 si scambieranno qui.
—Come?—risponde Bartolommeo.—Ma il treno 44 non si ferma....
—Che un minuto, lo so. Vuol dire che stasera si fermerà fino all'arrivo del treno 105.
—Ma non si ferma affatto.
Bartolommeo è pazzo sicuramente, ciò che non impedisce al capostazione di sentir drizzarsi i capelli in testa.
—Imbecille!—grida quest'ultimo perdendo il sangue freddo tanto necessario.—Non s'è fermato anche iersera?[Page 51]
L'inserviente conserva la sua calma, ma sembra voglia adoperarla piuttosto a provar la verità delle sue asserzioni che a prevenire un disastro.—Fino a iersera si è fermato, ma oggi non si ferma più.
E riconducendo in stazione il signor Cesare inebetito, gli fa leggere un laconico avviso del seguente tenore: "A partire dal 5 agosto il treno 44 non si fermerà più alla stazione di Y. La Direzione."
—E oggi è il 5,—dice Bartolommeo.
Il capostazione se l'era dimenticato! Adesso egli comprende di che sbaglio si sia reso colpevole nel rispondere al suo collega di Z prima di assicurarsi s'era in tempo di fermare il treno 44; adesso vede tutto l'orrore della situazione, vede la catastrofe imminente, terribile.
—Ai segnali allora, ai segnali!—egli grida con voce troncata dalla commozione.—Ai segnali per arrestare il convoglio 44 che deve ormai esser vicino. Ma presto, per Dio!
E corse di nuovo sulla strada spingendo davanti a sè Bartolommeo che borbotta fra i denti:—Che brutta faccenda! Che brutta faccenda! Corpo dei sette fratelli Maccabei!
Proprio in quel momento un fischio acutissimo fende l'aria e il treno 44 passa davanti alla stazione con la rapidità di una freccia.
—Ferma! Ferma!—urlano il signor Cesare e Bartolommeo, come se la loro voce potesse giungere fino al macchinista, occupato soltanto dall'idea di riguadagnare il tempo perduto.
Il signor Cesare e Bartolommeo si guardano esterrefatti. È sogno? È realtà?
Il treno 44 e il treno 105, venendosi incontro sullo stesso binario con una velocità di oltre a 30 chilometri all'ora, non possono tardare a dar di cozzo l'uno nell'altro. Ancora due minuti, un minuto forse, e le due locomotive si urteranno, s'impenneranno, ansando, muggendo, sbuffando, e i due convogli,[Page 52] simili a due serpi immani abbracciati in un amplesso mortale, si stritoleranno a vicenda nelle spire poderose. Lo schianto del legno, il cigolio delle catene, lo scroscio dei vetri ridotti in frantumi, il gemito del vapore sprigionantesi da mille parti si mesceranno al grido d'angoscia che uscirà da cento petti, alle imprecazioni dei feriti, agli estremi aneliti dei moribondi.
E non si può far nulla, nulla!
Davanti a queste catastrofi repentine manca all'ingegno umano l'elemento ond'egli abbisogna per far valere le sue forze; gli manca il tempo. La fortuna ama coglierlo all'improvviso per soddisfare i suoi capricci spietati.
Sono scomparse l'ultime stelle, cominciano a cader grossi goccioloni di pioggia, il vento raddoppia di violenza, i lampi rischiarano di una luce rossa, sinistra, le due faccie livide, istupidite del capostazione e di Bartolommeo.
Quest'ultimo rientra in ufficio col capo basso, con le braccia penzoloni, agitando indolentemente la lanterna cieca che tiene in mano.
Dal pianerottolo si fa sentir la voce della signora Arpalice che sbigottita dal tempo cattivo chiama:—Cesare! Cesare!
Ma Cesare non risponde.
Egli s'è messo a correre all'impazzata nella direzione di Z. A che pro? Lo sa forse? Ha un'idea netta di ciò che fa?
La pioggia cade a torrenti, il rimbombo del tuono scuote la terra, l'impeto del vento schianta gli alberi, rovescia i pali del telegrafo, ma il signor Cesare non sente nulla, non si cura di nulla. Al guizzo dei lampi la lunga strada s'illumina d'una luce bianca, le guide di ferro scintillano, le pozze d'acqua mandano un barbaglio, le poche abitazioni sparse nella campagna emergono fuggevolmente dalle tenebre, mentre si vedono le alte cime dei pioppi chinarsi fin quasi al suolo e le masse dei carpini agitarsi disordinate.[Page 53]
Il signor Cesare corre, senza arrestarsi mai. Egli procede lungo le rotaie con la vaga speranza che un convoglio straordinario sopraggiunga, lo schiacci, lo annienti. Oh la morte, la suprema liberatrice! Vi sono istanti in cui anche i più codardi l'invocano. Sol ch'ella sapesse risolversi ad arrivare in tempo!
Dei dieci chilometri che dividono la stazione di Y da quella di Z il signor Cesare ne ha già percorso una terza parte. È strano. Ancora non si scorge nessuna traccia del disastro. Eppure, considerate tutte le circostanze di spazio o di tempo, lo scontro avrebbe dovuto succedere a meno di 3 chilometri da Y. Che il signor Cesare fosse vittima di un'illusione, che lo scambio dei telegrammi, che il passaggio del treno non fosse stato che un sogno di fantasia malata? No, no pur troppo. Quei telegrammi egli li ha davanti a sè in caratteri di fuoco, ha sempre negli occhi la visione di quel treno precipitoso, inesorabile, sordo alla sua voce, lugubremente deciso a perire.
E allora? Sarà più in là,[5] sarà dopo quella casa cantoniera[6] dove la strada fa una svolta a sinistra.
Avanti, avanti! Il disgraziato capostazione s'affretta ancora, raggiunge la casa cantoniera, supera la svolta della strada. Nulla. Nulla, fuorchè il bagliore dei lampi che rischiara per un lungo tratto di via il binario deserto.
Ma il signor Cesare non ne trae argomento a sperare. Nello stato d'animo in cui si trova, lo turba, lo irrita quasi di non aver la prova materiale della catastrofe che deve essere accaduta, che non può non essere accaduta.
E gli sembra che la sorte sia doppiamente crudele nel prolungare le sue incertezze.
Lo assale un altro dubbio. Se, nel moversi da Y avesse preso la direzione opposta a quella che voleva prendere? No, nemmen questo è possibile. Egli conosce la via, e i numeri delle case cantoniere gli provano che non s'è sbagliato.[Page 54]
Potrebbe bussare ad un uscio, ma non osa. Una forza irresistibile lo spinge avanti. E poi quelle case sono ermeticamente chiuse, hanno l'aspetto di tombe. O tutti i cantonieri sono accorsi sul luogo del disastro, o nel terrore di quella notte d'inferno hanno dimenticato che deve passare ancora un treno, il treno 105.
Da quanto tempo sia in cammino, il signor Cesare non lo sa. Sa che non può arrestarsi quantunque le vesti inzuppate d'acqua inceppino i suoi movimenti, quantunque i suoi piedi indolenziti si sprofondino nel fango, e senta un formicolio per tutte le membra, e il cuore gli batta con violenza come se volesse frangerglisi in petto.
È incespicato due volte, e s'è rialzato, ha perduto il berretto e non s'è dato il pensiero di raccoglierlo. Procede a testa scoperta coi capelli incollati sulle tempie, con le orecchie tese, con gli occhi intenti nel buio. Infatti i lampi vanno via facendosi più radi. Anche la pioggia è meno dirotta, anche il vento è meno impetuoso.
L'idea d'essere in preda ad un'allucinazione torna ad affacciarsi alla mente del nostro Cesare. Però questa idea gliene suscita un'altra che gli gela il sangue. Sarebbe egli impazzito?
Ah!... Non è inganno questa volta. In fondo tremola qualche lume, si agita qualche ombra. Ancora pochi passi, e chi sa quale scena d'orrore!
Dalla stessa parte ove brillano i lumi si innalza un segnale.—La strada è libera? chiede il segnale nel suo muto linguaggio.
Di lì a poco, nella direzione di Y, un altro segnale risponde.—È libera.
Allora si sente un fischio, e due occhi di fuoco[7] sboccano dalle tenebre, e la terra oscilla sotto il peso d'un convoglio che viene.[Page 55]
In quel momento l'istinto della vita riprende il disopra nell'animo dell'infelice che poco prima anelava di morire. Egli esce dalle rotaie: poi le forze gli mancano ed egli cade privo di sensi sul margine della strada. Il treno gli passa rasente.
*
* *
La mattina dopo, il signor Cesare si sveglia nel letto del capostazione di Z, che gli spiega per quale miracolo si sia evitata una catastrofe.
Il treno 105 era realmente partito, ma la bufera che imperversava sgomentò il macchinista, il quale credette opportuno di retrocedere e ripararsi sotto la tettoia. Vi si trovava da pochi minuti quando con maraviglia universale giunse il treno 44. Non accadde uno scontro nella stazione perchè il convoglio 105 si trovava sul binario di scambio. Il macchinista del 44 dichiarò di non aver veduto nessun segnale che gli ordinasse di fermarsi. Ciò fece sorgere il dubbio di qualche disordine alla stazione di Y. Si corse al telegrafo, ma il temporale aveva rotto i fili. E d'altra parte l'impeto del vento non consentì per due buone ore di alzare nessun segnale. Appena fu possibile di assicurarsi in questo modo che la strada era sgombra, il treno 105 si mosse. Ed era appunto il treno 105 quello che aveva quasi investito il signor Cesare. In quanto a lui, lo si era raccolto svenuto a mezzo chilometro dalla stazione di Z.
Una febbre violenta tenne per qualche giorno sospeso il povero uomo tra la vita e la morte. Si riebbe alla fine, ma il ricordo di quella notte infernale non gli permise più di continuare il suo servizio. Chiese la sua pensione e si ritirò in un poderetto di sua moglie, lontano dalla linea ferroviaria. E in istrada ferrata non viaggia mai, e non vuol sentirne a parlare, e la vista di due rotaie basta a turbarlo per una settimana.