—Sia ringraziato il cielo—disse fra sè il buon calligrafo come sollevato da un gran peso.—Sia ringraziato il cielo! Adesso hanno preso l'aire[16] tutti quanti. Già, bisogna confessarlo, son bravi ragazzi.
Al signor Antonino pareva che, se gli studenti cominciavano a scrivere, l'esito dell'esame fosse assicurato. Scrivessero poi bene o male, poco importava.
Sentendosi un po' le gambe intorpidite egli scese dalla cattedra e si mise a passeggiar su e giù per la classe.
Delle varie file di panche non ne erano occupate che due, cosa del resto naturalissima, inquantochè quella era l'aula destinata al secondo corso e gli esaminandi appartenevano all'ultimo, sempre meno numeroso.
Il professore Antonino dopo aver passeggiato alcun tempo a capo basso e con le mani intrecciate dietro la schiena lungo la corsia che movendo dalla cattedra percorreva longitudinalmente la classe, si fermò prima davanti a una finestra, poi stette alcun poco in contemplazione delle mosche che gironzavano intorno ai vetri, poi cominciò a gettar l'occhio sulle panche vuote e a passar, quasi senz'accorgersene, da una panca all'altra contemplandovi i rabeschi e le iscrizioni che le adornavano.
Le panche della scuola! Chi di noi non se ne rammenta? Chi su quei disadorni sedili non si è, alla fin dei conti, trovato[Page 74] meglio che nelle poltrone a molle ove sdraiammo più tardi la svigorita persona? Senza dubbio le nostre tribolazioni le abbiamo avute anche lì. Quando, interrogati dal professore, non abbiamo saputo rispondere verbo, ed egli, con un sorriso glaciale, ci accennò di sedere e intanto con voluttà crudele disegnò una bella croce nella colonna delle classificazioni di fronte al nostro nome e cognome; o quando, colti in fallo nel meglio di qualche furfanteria, ci sentimmo dire dallo stesso signor professore—Benissimo, scriverò alla famiglia—oh allora il nostro povero corpicino ci stette pure a disagio sulle panche della scuola! E ci siamo messi a piangere, e ci siamo augurati la morte, e abbiamo fatto ridere i nostri condiscepoli da cui non potevamo restar divisi e che pure erano tanto crudeli. Ma erano bufere d'estate. Il più delle volte dopo essere andati a scuola a malincuore, vi ci trovavamo così bene! Se avevamo un professore simpatico, che possedesse una bella voce, un accento caloroso, noi lì tutt'orecchi a sentirlo, si credeva di esser sollevati insieme alla panca chi sa a quali altezze, e i nostri cuori battevano per un palpito nuovo. Era forse sete di gloria, era bisogno indistinto d'amore, chi lo sa? E dove mettiamo gli accurati lavori col temperino che abbiam fatto sulla nostra panca? La scultura in legno deve sicuramente essere stata inventata sulle panche della scuola. Là iniziali che si confondono, geroglifici che s'intrecciano, tentativi di profili impossibili, saggi d'ornato bizzarri, studi di storia naturale audacissimi, solchi che in parte seguono le venature del legno, in parte tengono una direzione opposta e formano una linea tremula come corda di lira pizzicata, cavità profonde e paurose, come se lo studente avesse voluto fare un piccolo pozzo artesiano, un guazzabuglio insomma quale può uscire da cento testoline bizzarre e da cento mani l'una più inquieta dell'altra.