(Racconto d'una sorella).
Me ne ricordo: glie lo aveva ricamato la mamma nelle lunghe sere d'inverno, quando il babbo era in convalescenza di quella lunga, disperata bronchite. Il pover'uomo, tutto rinvoltato nel suo mantello bigio, leggeva lentamente, spiegandocele, alcune delle più divertenti favolette del Clasio, e io colla mia storia sacra sotto gli occhi, un po' mi commovevo sui casi pietosi delle pecorine, un po' riflettevo all'ingordigia di quel bighellone d'Esaù, che per un piatto di lenti aveva venduto il diritto di primogenitura.
Lui, il biondino, al quale era destinato il vestito bianco, se ne stava seduto comodamente sul seggiolotto e si divertiva a far fare il mulinello a un gross{122}o bottone, infilato in una gugliata di refe. Gira, gira e gira, il bottone finiva sempre collo schizzargli nel naso e allora erano pianti, guai, disperazioni.
Il babbo, indispettito buttava in un canto il Clasio, la mamma pigliava in collo il bambino, e io profittava sempre di quella confusione, per chiuder la storia sacra e riponerla nel cantuccio più buio del salotto.
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Lo rinnovò per il Corpus-Domini, per il Corpus-Domini di prima, quando le strade erano seminate di lauro, le finestre inondate dal sole di maggio e le campane di Santa Croce annunziavano la festa del Signore. Lo vedo sempre, esile, grazioso, elegante, coi piedini irrequieti, calzati da due microscopiche scarpette di pelle lustra, col cappellino di paglia di Firenze, dalla tesa rialzata, dai bianchi nastri svolazzanti.
E la mamma! Come se ne teneva di quella creaturina! Quando qualcuno si soffermava a guardarla, la povera donna diventava rossa come una viola e sorrideva. Avrebbe sorriso a tutti, anche a un malfattore.{123}
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Sono passati tanti, tanti anni! Il babbo non legge più il Clasio e il posto di Guido è vuoto. Per un tacito accordo, il suo nome non è mai pronunziato.
Spesso la mamma interrompe il suo eterno lavoro a maglia e dice:
—Dovresti divagarti, Gemma... andare al teatro...
—Il mio posto è accanto a te, rispondo e li.—Parliamo pochissimo, ma c'intendiamo sempre.
Una sera, la pigionale del secondo piano venne a raccontarci il fatto d'un giovinetto discolo che sedotto da perfidi amici, aveva lasciato la casa paterna e, come Guido, se n'era fuggito lontano lontano, al di là dei monti.
La mamma faceva sforzi inauditi per non piangere e ci riuscì. Ma quando la pigionale ci ebbe lasciate, si alzò e andò in camera. Io le corsi dietro. Sapevo pur troppo quel che andava a fare. Aprì l'armadio e da un involto che sapeva di tanfo, tirò fuori un vestitino bianco, ingiallito dal tempo. Io nascosi il viso tra le mani e la mamma balbettò, piangendo dirottamente:
—Oh Guido, Guidino, perchè non sei morto?{124}
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