Per evitare che lo scontro precipitasse, nel 2008 Ratzinger aveva creato una commissione formata da tre cardinali per dirimere la querelle. Tutto inutile: la situazione si era ulteriormente complicata quando il vescovo di Pola aveva deciso di vendere parte dei terreni a una società intenzionata a realizzare un golf club. A quel punto la commissione aveva deciso di imporre la restituzione dei beni (e un risarcimento) a favore dei benedettini padovani: valore totale dell’operazione stimato in oltre venti milioni di euro. Per tutta risposta il vescovo di Pola aveva respinto la soluzione perché, a suo dire, avrebbe portato la sua diocesi sull’orlo della bancarotta. E Benedetto XVI ha quindi sospeso il presule per il tempo necessario a far firmare l’accordo a un commissario appositamente nominato. Lo scontro negli ultimi giorni era arrivato a coinvolgere perfino i politici croati, con il presidente della regione istriana, Ivan Jakovcic, per cui «alcuni ambienti politici ed ecclesiastici italiani usano l’autorità del Santo Padre». Non solo, il Vaticano avrebbe «agito in modo unilaterale, violando di fatto i Concordati tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia». Nella nota diffusa dal Vaticano, si spiega che «le proprietà immobiliari» devono essere trasferite all’Abbazia di Praglia «ripristinando così la condizione determinata dalla volontà testamentaria del donatore originario ». La Santa Sede assicura che «le ragioni della Diocesi sono state sempre tenute in debita considerazione. Duole pertanto che la decisione venga contestata come se fosse di parte, o addirittura non avesse adeguato fondamento». Ma in Croazia assicurano: la battaglia non è chiusa.