Ebbene, io dico che quest'odio, che questo disprezzo, erano sentimenti naturali e giustificati in Carlo Gozzi: dico che egli non poteva fare diversamente che detestare Goldoni e che egli [150]ha obbedito a una ispirazione alta e dolorosa, combattendo quella battaglia. Ricordiamoci chi era e che rappresentava Goldoni, a Venezia. Egli, modesto e tranquillo scrittore, era stato tocco da quel colpo di fulmine intellettuale che non ammazza, ma sconvolge, che non atterra, ma trasforma violentemente, egli aveva avuto un'idea: egli aveva compreso che la vita nelle sue forme veraci e umili ha una potenza di fascino che sorpassa tutte le meraviglie: aveva visto che l'amore qual è, il dolore qual è, il ridicolo qual è, e non già come la falsità leggiadra o pomposa di tutto il Settecento voleva rendere, possedessero maggior attrazione che qualunque declamazione rettorica o leziosa: aveva sentito quest'uomo piccolo destinato ad albergare quella grande cosa che è un'idea, aveva sentito l'irrompere della vita nella sua lealtà comica o drammatica. La gran voce delle persone o delle cose intorno, era giunta sino al suo spirito e lo aveva commosso: non la voce dei fantocci pronunzianti vuote frasi o inchinantisi ai vezzi frivoli di un amore che non può meritare questo nome. L'uomo nella sua carne e nel suo sangue, con le sue costumanze bislacche o patriarcali, con i suoi difetti curiosi e le sue qualità ammirabili, con i trasporti delle sue passioni e col giuoco delle sue astuzie, l'uomo vero, l'uomo uomo, era apparso a Carlo Goldoni: e costui aveva reso la verità, a teatro. La verità, nientemeno! La verità in quei tempi quando i più terribili soffii venivano dalla Francia, quando un timore generale faceva impallidire le vecchie dinastie, quando i filosofi e i carnefici si alternavano, causa ed effetto, nel centro dell'Europa! La verità, cioè il popolo ritratto, il popolo elevato da spettatore a protagonista, il popolo carezzato nelle sue buone tendenze, e spesso, il nobile vilipeso, come bugiardo, come poltrone, come giuocatore! La verità; cioè, gli antichi usi e le mode moderne dipinte magistralmente: cioè, i vizii di certe condizioni e di certe età, resi con indulgenza, è vero, ma non tanto da non vederne l'esatta riproduzione: cioè, le qualità più nobili ricercate anche in persone non preclare, e i sentimenti più alti del patriottismo, dell'onore, della dignità ritrovati nel mondo piccolo, borghese e popolare. La verità, in questa vecchia Venezia, già decaduta, già sfinita, smarrite le sue ricchezze, il suo potere, la sua forza, e che assisteva sgomenta a queste nuove cose che sorgevano, a queste idee, a queste forme, a questi fatti che disperdevano le ultime sue parvenze di grandezza!