Ah parliamone un poco, di questo odio per cui il cuore del conte veneziano si è infiammato molto più che per qualunque amore di donna: parliamone, giacchè esso è l'avvenimento più importante della vita di Carlo Gozzi, giacchè, oh ironia, giusta e ingiusta insieme, del destino, adesso il drammaturgo di Turandot è rammentato solo perchè fu nemico acerrimo di Goldoni! Ebbene, sì, egli lo ha odiato molto e lo ha, sovra tutto, disprezzato, come si conviene a un uomo che sa odiare: chi riconosce qualche cosa di buono e di serio, nel suo avversario, già non odia più! Carlo Gozzi lo disprezzava palesemente e intimamente: il Goldoni gli pareva il più volgare, il più triviale, il più balordo e il più noioso fra gli scrittori teatrali. Egli lo ha tante volte dichiarato ed era in perfetta buona fede. Tutto ciò che formava la bontà e la beltà delle creazioni goldoniane gli faceva ribrezzo: e le parole più basse per esprimere la più bassa cosa non gli sembravano sufficienti. Le sue polemiche impetuose e ardenti, la sua lotta teatrale, tutta una città posta a soqquadro, indicano come tutto il calore dell'anima di Gozzi si era riversato contro questo dispregevole avversario. Questa battaglia è durata molto tempo ed è stata combattuta su tutti i campi: è stata folgorante d'ingiurie e di vituperii: è stata fornita a colpi di penna e a colpi di voci calunniose: ha avuto sussidii e contrasti nell'amore e nella politica. Il Goldoni è stato insidiato nella reputazione e nella fortuna: è stato minacciato nella felicità e nella vita ed ha dovuto, infine, lasciare il suo paese, esiliarsi, non vinto, forse, nell'anima, ma vinto nei fatti, non sconfitto nella sua arte, ma sconfitto come uomo e come cittadino. Più tardi, certo, anche la fittizia fortuna delle fiabe decadde e lo stesso Carlo Gozzi non volle farne più nessuna: ma più tardi, ma troppo tardi, quando niente e nessuno poteva più medicare le ferite dell'animo di Carlo Goldoni, quando tutte le amarezze avevano per sempre avvelenato il fondo del cuore del buon commediografo di Venezia.
E chiamiamolo addirittura il meraviglioso, il portato di Carlo Gozzi nel teatro italiano, poichè additeremo così questo bizzarro, sì, ma mite e innocente materiale di arte: il meraviglioso che sconquassa, ma porge la speranza e porge il rimedio, che infligge le torture, ma ha con sè il balsamo della consolazione. Senza di esso, i protagonisti di Carlo Gozzi sarebbero delle creature semplici e amorose, e la loro istoria non potrebbe interessare gli umani: un elemento estraneo entra in loro e li rende vittime ed eroi, insieme, ma vittime temporanee ed eroi di cinque, di dieci anni: l'elemento sparisce ed essi rientrano nel giro normale dell'esistenza, freschi, sani e felici. Questo meraviglioso ha l'aspetto truce e la sostanza tenera, ha l'apparenza della fatalità e non è la fatalità: è lo slanciarsi, per breve ora, fuori dei limiti del possibile, ma è il rientrarvi subito, quietamente. La fantasia, nella sua essenza, nella sua possanza, dà ben altri crucci, e il fantastico, talvolta, uccide. Fra coloro che mi ascoltano, io credo, che tutti preferirebbero di essere un personaggio di Carlo Gozzi che un personaggio di Edgardo Poe, e tutti, infine, preferiscono di essere i lettori dell'una e dell'altra opera. Infine, il Gozzi non era realmente un uomo d'immaginazione: quello che egli ha fatto, non lo ha fatto per una passione salda letteraria per il sorprendente nell'arte, ma lo ha fatto per una passione di uomo, molto più forte, molto più acerba, per il suo odio contro Carlo Goldoni.