Gli pareva impossibile che non fosse a Pavia; e se era a Pavia, doveva incontrarlo; e se l'incontrava, l'avrebbe indovinato! Ne era convinto.
Nell'atrio dell'università, uno studente di legge lo urtò in malo modo; e nel chiedergli scusa, parve a Fausto che sorridesse malignamente. Era colui forse!
Ah! se avesse potuto strappargli il suo segreto!...
Questo era avvenuto nella mattinata; man [180]mano che le ore avanzavano, il primo fuggevole sospetto diveniva certezza nell'animo del geloso.
Quasi senza saperlo entrò nella nota via; infilò il noto uscio; salì in due salti le scale e si precipitò nella galleria, dove la sua povera fidanzata stava lavorando.
Così stralunato e sconvolto le fece paura.
— Ah Fausto!.. sospirò.
— Devo parlarti. Devi rispondere francamente alle mie domande. L'ho visto!... Tu hai sempre mentito dicendomi che non era qui!... L'ho incontrato e.., l'ho indovinato nel ghigno beffardo!...
— Chi?.... — Si turbò e s'interruppe. Poi riprese: — Non è possibile!... Non oserà mai più, quel vigliacco!...
— Speravi forse che interrompesse gli studi? La fanciulla allibì.
— Di che studi parli!...
— Lo sai bene perdio! gli studi di legge!... [181]Non farò l'ipocrita! Sai bene che parlo del contino...
E abbassando la voce pronunziò il nome di un giovine conte molto alla moda.
Inconsapevolmente il viso di Argìa si rischiarò e un largo sospiro le sollevò il petto.
— T'inganni, Fausto!...
Ei le aveva prese le mani e la fissava con gli occhi ardenti.
— M'inganno!... Devo crederti, poichè il tuo viso non mi nasconde che tu sei lieta del mio errore.
Ghignò amaramente.
— Ebbene, se non è lui, è un altro: io voglio conoscerne il nome. Questa incertezza mi è insopportabile. Non voglio morire senza conoscerlo... Senza avergli rotta la testa! Parla: chi è?
— Che cosa t'importa, Fausto? Io morirò... E quell'uomo è lontano...
— Che cosa m'importa?!... Ah!.. Dimmi dov'è.
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Ella balbettò:
— È a Pietroburgo.
— M'inganni!..
— No, Fausto: è la verità.
— Dimmi il suo nome!...
— ... Ruggeri...
— Il violinista?!... Oh!... Come l'hai conosciuto?... Dove?...
— In villa... Lo condusse il babbo...
— Ah! Questo gli somiglia al tuo babbo!...
— Povero babbo!... Mi vedeva morire per il tuo abbandono... Voleva distrarmi...
— E tu eri contenta di distrarti, eh?.... Parla!... L'hai amato!... È stato un capriccio violento!... Parla!...
Ella non poteva parlare; scoteva il capo in segno di diniego.
— Ma dunque! Vuoi farmi credere che ti sei data, così, ad un uomo che vedevi forse per la prima volta; che, certamente, conoscevi appena... e ciò senza essere pazza di lui?... Vuoi dunque che io ti creda... una...
[183]
Un riso atroce gli stirò la bocca e una parola oscena uscì fischiando dalle sue labbra.
Egli stesso n'ebbe vergogna, e nell'ira subitanea ed inconscia di essersi abbassato a quel punto, afferrò la giovine alle spalle, e scuotendola brutalmente le gridò nella gola:
— Parla o ti ammazzo!... Inventa delle scuse. Menti, sii femmina! Ma racconta qualche cosa! Non vedi che impazzisco?
— Non posso! — sospirò Argìa. — Vorrei dirti tutto... Ti sembrerei meno... rea... Ma non posso... non so raccontare... È impossibile!.. E poi, tu non mi crederesti...
— Vuol dire ch'è tutto falsità quello che pensi di dirmi!
— Como vuoi: io non mi difendo.
— Mi sfidi?... Maledetta!...
Si voltò per afferrare una forbice lunga, affilata, che splendeva sul tavolino da lavoro; ma Argìa lo prevenne. Afferrata la forbice, prima ch'ei potesse raggiungerla, se l'appressò al collo.
[184]
Bastò tale atto per far cadere la collera di Fausto, che si gettò su lei per trattenerla, disperato, ansimante.
— Lasciami morire! — ripeteva Argìa con voce sorda. — E tu vivi, per amor mio! Tu devi vivere e io devo morire!...
Finalmente egli riuscì a disarmarla. Allora soltanto s'accorse che, nella lotta, Argìa si era ferita alla mano sinistra. Il sangue colava e le goccie si fermavano come perle di granato sul vestito di flanella celeste.
Le mani del medico tremavano così forte, ch'ei non riesciva a fasciarla.
E aveva voluto ucciderla!...
— O Argìa! Argìa!... Amore santo, amore mio unico!... Perdonami; perdona al tuo povero Fausto che ti ha insultata, ferita... Non togliermi il tuo amore, non rifiutarmi la suprema consolazione di morire con te!...
Piangeva come un fanciullo, vinto da un impeto nuovo di tenerezza.
[185]
Ma Argìa aveva ritrovata la tetra calma, stato abituale dell'animo suo in quei giorni; e con parole dolci e disperate, piene di un profondo convincimento, gli andava spiegando le ragioni per cui egli doveva vivere e abbandonare lei al suo destino.
— Per amor mio devi farlo!... — insisteva la misera, stringendolo fra le sue braccia — per amor mio! Se tu muori con me, la mia agonia sarà amareggiata dai rimorsi. Morirò disperata. Se tu mi lasci morire sola, ti benedirò.
L'arrivo di Amelia troncò la disputa dolorosa.
Poco dopo Fausto si ritirò, e il suo ultimo sguardo, la sua ultima stretta di mano ripeterono ancora alla fidanzata della morte, che egli non poteva lasciarla, perchè non poteva vivere senza di lei.
La mattina seguente, egli così le scriveva:
«Non tormentarti, mia povera Argìa, con [186]vani rimorsi: non turbare con inutili torture questi supremi istanti.
«E perdona a me di averti tormentata con le mie insistenze. Perdona al mio amore, alla mia intensa passione. Ora è finito: ho vinto...
«Quello che so, basta. E che mi gioverebbe sapere di più?... Intendo quale tormento sarebbe per te ritornare su quei fatti; ricercarne i particolari nella memoria, e ripeterli a me: intendo lo spasimo della tua anima, l'angoscia del tuo pudore...
«Ed io stesso, quale soddisfazione ne avrei?... Una morbosa soddisfazione che mi avvilirebbe ai tuoi occhi ed ai miei.
«Più in alto! Più in alto!...
«Ti ricordi quel che ti ho detto sul bastione l'ultima sera? Noi dobbiamo librarci nell'infinito con l'anima serena, il cuore ebbro di un amore rinnovato e purificato. Lungi da noi le miserie della vita comune, le stupide [187]convenzioni, le meschine idee ricevute. Tu non sei niente più colpevole di me, Argìa! Lo sa la mia coscienza. Quando ti accuso sono ingiusto: sono un povero essere debole e geloso. Tu devi compatirmi, perdonarmi: non darmi ragione però: non mai avvilirti.
«E se tu avessi ceduto al mio barbaro intento di farti narrare ciò che tanto ti affligge, ti saresti avvilita. Ti ringrazio, o mia Argìa, di non averlo fatto!... Io ti amo tanto, appunto per questo tuo orgoglio. No, tu non sei più colpevole di me. Se io non ti avessi abbandonata, tu non saresti caduta; e se io fossi stato veramente forte, se non avessi titubato di fronte alla suggestione della famiglia e del pregiudizio, non ti avrei lasciata così, sei lunghi mesi; nutrendo la sciocca pretesa che tu non disperassi di me, mentre io mi dibattevo con le mie debolezze.
«Alza la testa stanca ed oppressa, dolce fanciulla mia! Ma non disdegnare il tuo povero [188]compagno. Non dirmi che vuoi morire sola. So che nel tuo pensiero intendi di pronunciare la tua condanna e la mia assoluzione: ma io, che per indole scruto la logica fatale delle idee e dei sentimenti, io so quello che tu non sospetti: so che il pensiero di morire sola ti viene da un oscuro disprezzo della mia debolezza: so che a tua insaputa nel tuo cuore s'insinua un inesprimibile disgusto di questo misero che muore d'amore per te, e non ha mai saputo, e non sa neppure ora amarti come vorrebbe.
«Non protestare, Argìa, non protestare: se tu avessi cuore di scrutarti, vedresti che ho ragione io.
«Ma tu sei donna e detesti le amare indagini. Ebbene, sii generosa: aprimi il paradiso del tuo amore e lasciami precipitare con te nell'eterna notte — una notte d'amore che non finirà mai.
«E se alla tua femminea generosità ripugna [189]il crederti superiore: ebbene, ammetti pure che siamo tutti e due egualmente deboli; due povere creature sospinte e risospinte dalle correnti contradditorie della vita intima e della vita esteriore: due povere anime umane innamorate, che cercano fuori del mondo un asilo intangibile all'ideale del loro amore.
«Addio Argìa, a domani.
«Fausto.»