Una mia bella antenata aveva ricevuto in dono da certo galante cacciatore uno straordinario usignolo che cantava più di mille canzoni. Tutta tremante di felicità, essa rinchiuse tosto l'usignolo in una gabbietta d'argento, ben riguardato all'aria perchè non s'avesse a infreddare, e lì dal mattino alla sera si mise a rimpinzarlo di biscotti e a fargli mille moine perchè cantasse sempre rivolto a lei; e soleva mostrarlo nei ricevimenti come cosa unica nell'universo.
E l'usignolo cantava sempre, più e meglio che poteva e con graziose movenze si rivolgeva sempre alla sua bella padrona, per mostrar palesemente che intendeva, cantando, di lodar lei sopra tutte le cose belle del mondo. Ma un triste giorno, poichè vide a fianco della mia bella progenitrice, una donna che gli parve assai più bella di lei, senz'altro rivolse a questa ogni sua grazia e ogni sua canzone.
L'antenata sorrise, poichè aveva denti bellissimi.
Ma venuta la notte, e tutti usciti, e ogni lume spento, quando il povero usignolo si preparava a ficcar la testolina sotto l'ala, due bianche mani note, splendenti ancora di diamanti, si avvicinarono alla gabbietta, [116]l'aprirono, e mentre una l'afferrò rabbiosa e lo trasse fuori, l'altra, con una spilla d'oro, gli bucò le pupille e l'accecò.
Quando una mia decrepita bisononna mi raccontò la prima volta questa storiella di famiglia, io pensai subito: Ecco un bell'esempio di Mecenatismo antico!