Una allegra scimmia che era stata al servizio di molti ciarlatani, un bel giorno, stanca di pigliar busse, pensò di tornare a vivere nella foresta dove era nata.
Colse un buon momento, scaraventò giù dal carro insonagliato l'ultimo padrone, prese in mano redini e frusta, e via difilato dentro la foresta squassata dal tramontano.
Se non che, un po' per l'abitudine acquistata d'aver paura di tutto, un po' perchè veramente gli abitanti della foresta non erano più quelli di un tempo, la povera scimmia fu molto ma molto preoccupata di certi strani e feroci animali che si fecero, curiosamente, attorno al suo carro tentennante. C'era per esempio un vecchio leone ben pettinato, col monocolo, e con la punta del naso rossa; c'era un orso bianco occupato a mangiarsi una dozzina di figliuoli e a grattarsi a tratti la testa per il troppo daffare; c'era un dignitoso somarello andaluso che prendeva a calci tutte le farfalle che passavano; c'era un gran gallo pericolosissimo a toccarsi; c'era un panciuto e metodico serpente munito di un piccolo corno puntuto e dorato nel mezzo della testa durissima e di molte corone [123]regie e granducali che portava infilate alla coda a mo' di sonagli; c'era poi un vero e proprio fenomeno vivente, una tacchina carnivora con due teste, e le due teste non si guardavano mai come un marito e una moglie dopo una cena di cipolle; tra le gambe di queste bestie s'intrufolavano, s'accucciavano, giocarellavano, si rincorrevano, s'acciuffavano non so quante piccole bestie libere e inutili.
La scimmia, che aveva molto bene imparato per lunga e dura esperienza l'arte di divertire anche i più restii, prese a.... quattro mani il coraggio della paura, scese dal carro tutta vestita da buffone di corte, bilanciando sulla destra con disinvolta abilità lo stesso bastoncino col quale il padrone soleva bastonarla, e incominciò a cavar giù dal carro un monte di sudice cianfrusaglie maneggiandole con ciarlatanesca venerazione.
Finito questo lavoro, tra la maraviglia di tutte le bestie, si fece avanti e principiò a presentare il proprio vestito così:
— Illustri cavalieri e nobili dame, voi ammirate senza dubbio e con ragione questo mio smagliante vestito: ora io vi dirò perchè questi piccoli campanelli brillino tanto e suonino così armoniosi: essi sono stati fabbricati nelle celeberrime fabbriche di Essen! (Il leone brontolò, ma il serpente sorrise leccandosi rapidamente il corno con la doppia lingua).... Questa stoffa di così bizzarri colori non si stinge mai; sapete perchè? Perchè è vero tessuto inglese! (Il serpente ingoiò veleno, ma il leone fece le fusa).... Queste scarpette così eleganti sono di capriolo russo! (E l'orso si asciugò la bocca col dorso della zampa e si mise a ballare).... e questa lama è autentica lama di Spagna! (E l'asino si grattò la schiena in terra per la contentezza).... [124]e questa piuma che ho al cappello è stata acconciata con quest'arte sopraffina nella bella Parigi, capitale del mondo!! (Il gallo si rizzò tutto più che potè, rivoltando la coda spalancata alla faccia del serpente).
Assicuratasi così la simpatia delle bestie più pericolose, la scimmia prese un liuto e, accompagnandosi con arpeggi e sgambetti, cantò, sollevando subito uno stonato coro di «oh!» ammirativi, poi un altro coro ancora più strambo di babelici aggettivi, e alla fine un entusiasmo fantastico, spasmodico, che invasò quegli strani animali, i quali si strinsero attorno a lei leccandole le scarpe e gettando tesori nel suo piattino. La scimmia, pur essendo persuasa di meritare quell'ammirazione, si studiava con opportuna servilità di rendere meno invidiabile la sua posizione. Ora raccoglieva la caramella caduta al leone, ora cacciava un moscone dal corno del serpente, ora offriva le sue reni alla tacchina perchè vi ci arrotasse i suoi becchi, ora toglieva con molta grazia qualche rozza pagliuzza di tra le penne bruno lucenti del gallo, ora aiutava l'orso a grattarsi la testa.
Finalmente posò il liuto, riprese la bacchetta e incominciò con piacevolissima solennità la grande spiegazione di tutto il sudiciume di stracci e di rottami che aveva esposto.
Mandòle, timpani, clarinetti, corone d'alloro, tutti i vestiti di tutte le maschere resi più umoristici dagli strappi e anche da qualche foro bruciacchiato sul petto, due tegole che avevano coperto il Senato Romano, una reliquia portata al collo dal brigante Tiburzi, un fazzoletto che aveva asciugato il sudore della Patti, la penna d'oca con cui il grande poeta Dante Alighieri aveva scritto il verso «Piangi che [125]n'hai ben donde, Italia mia», un interessantissimo quadro rappresentante la grande manifestazione umanitaria che corse l'Italia al grido di «Viva Menelik!» nel 1896, il campanile di Pisa in alabastro, la muffa della prigione di Beatrice Cenci, un pelo della barba del famosissimo capo della terribile camorra napoletana (pelo rimasto in mano ad una guardia venuta con lui a diverbio per questione d'amore), uno dei molti fogli strappati da Pier Capponi fiorentino, la coda della lupa che aveva allattato Romolo e Remo, e più di diecimila altre curiosità purtroppo autentiche.
La scimmia, infaticabile, batteva sopra tutte queste meraviglie con la sua bacchetta, man mano che le spiegava al pubblico intento; anzi, solleticata dal successo, volle anche cavar fuori una certa aquila che il padrone aveva chiuso a chiave in un armadio, e mostrandola dritta sopra una gruccia come una civetta, e dandole una buona bacchettata sulla groppa polverosa, gridò:
— Ecco, signori, la famosa aquila che mangiava a tavola col grande imperatore Giulio Cesare, il padrone del mondo!!!
— Ooooh! — fecero in coro tutte le bestie estatiche.
— Ah! è lei! — esclamò melodrammaticamente il gallo: — Io la riconosco! È stata mia amante: l'ho abbandonata, ed essa ne è morta di dolore!
— Mooolto interessante! — ruggì il leone guardandola attentamente col suo monocolo, come se la volesse comprare.
— Aquila imperialis, storia antica! — definì il serpente chiudendo gli occhi con molta gravità.
— Impagliata? — domandò con garbo il leone.
— Impagliata! Impagliata — Diavolo mai! — si [126]affrettò ad assicurare la scimmia dando un'altra bacchettata sulla schiena dell'aquila. — Impagliata a maraviglia!
— Veramente straordinariamente interessante! — esclamò entusiasmato il leone avvicinandosi e esaminandola meglio.
— Pauvre fille! — piagnucolò il gallo con aria di gran rubacori commosso.
Tutti si fecero più avanti. Il somaro l'annusò, il serpente la misurò bene bene, l'orso cercò di consolare il gallo tirandogli famigliarmente il bargiglione, la tacchina canterellò un valzer in falsetto, mentre la scimmia batteva ancora e strillava a più non posso.
A un tratto, tutti, compresa la scimmia rimasero di stucco.
L'aquila pian piano stirò una zampa, poi stirò quell'altra, poi stese l'ali quant'eran larghe, poi si riaccomodò come prima.
— Siete un furfante! Ci avete ingannati! — ruggì il leone, e se n'andò corrucciato; e tutte le altre bestie lo seguirono trovandosi ora perfettamente d'accordo nel dire peste e corna della tanto lodata scimmia.
Questa, pur non potendone più dal ridere per il caso inaspettato, cercò di dire qualche parola di scusa:
— Signori! Miei cari signori! Non sarà stata impagliata bene; non è colpa mia! Credano.... Io mi figuravo.... in buona fede.... che dopo tanti secoli!...
Ma era fiato sprecato, perchè tutte le bestie se ne andavano prese da santo sdegno, senza voltarsi indietro, salvo il gallo che, per non mancare alla doverosa galanteria, andandosene si voltò a dire all'aquila:
— Adieu, ma cherie! quand tu voudras revenir chez moi tu me trouveras toujours prêt!