Voi, tutto questo lo sapete, non è vero? Lo sapete anche se non avete letto le fiabe del drammaturgo veneziano; giacchè tutto il contenuto della sua opera è preso dalle tradizioni fiabesche di tutti i paesi, giacchè egli ha rivestito di scenario e di dialogo tutti i racconti che le balie, le vecchie zie, le nonne narrano ancora ai bimbi che non vogliono dormire. L'amore delle tre melarance e l'Augellin belverde, il Corvo e la Donna serpente, la Zobeide e il Re Cervo e infine quanto costituisce il teatro delle fiabe gozziane, risveglia le memorie delle stanze domestiche, dei focolari confortevoli, delle antiche voci un po' tremolanti che [117]il nostro cuore non sa dimenticare, delle ore estatiche trascorse a udire le istorie singolari, mentre già il sonno appesantiva le palpebre e il racconto diventava qual era, sogno. Io ritengo che questo sia uno dei grandi segreti del successo di queste fiabe, allora: e come esse potessero tener testa e persino, ahimè, soverchiare la novella arte goldoniana, presa alle sorgenti istesse della vita quotidiana e schietta. Il più austero uomo è stato un fanciullo e la più frivola e la più spensierata donna è stata una bimba: i ricordi risalgono, evocati, al fior dell'anima, e un senso di diletto, non scevro di una velata malinconia viene a molcere l'austerità e a fissare la spensieratezza, [118]mentre il medesimo uomo austero troverà sconveniente la rappresentazione dell'ordinaria esistenza e la medesima donnetta frivola s'irriterà di vedere dipinta così veracemente la sua leggerezza e la sua instabilità: e ambedue, è naturale, preferiranno Carlo Gozzi a Carlo Goldoni. Ognuno ha il suo tempo di fiaba nell'anima, tempo di semplicità, d'innocenza, di credulità e di sorriso che si può rievocare, più tardi, in modo fittizio e fugace, è vero, ma sempre efficacemente!
Accennare, qui, tutte le origini delle fiabe di Carlo Gozzi, sarebbe un po' lungo e un po' minuto; pure, probabilmente, abusando della vostra pazienza, lo farei: me ne trattiene il simpatico [119]ingegno così intuitivo, la coltura, la ricerca felice ed esauriente che ha fatto, su Carlo Gozzi e sul suo teatro, Ernesto Masi, per cui tutti quelli che si affaticano nell'arte e nelle lettere, umilmente come me, o altamente come altri, gli debbono una vivida ammirazione. Lo Cunto de li Cunte del nostro novellatore napoletano Basile, la Posilipeata di Masiello Reppone sotto cui si nasconde l'altro napoletano Pompeo Sarnelli, Le Mille e una notte, i Mille e un giorni, il Gabinetto delle Fate, tutte le antichissime leggende orientali hanno dato il loro contingente al fiabista veneziano: persuaso che come tout le monde aveva più spirito del signor di Voltaire, anche tout le monde avesse [120]più fantasia del conte Carlo Gozzi, egli ha interrogato tutte le fonti popolari. Vi è, persino, nel Sinadabbo della Zobeide il tipo di Barba Blù, il mangiatore di mogli: Sinadabbo se ne stanca dopo cinquanta giorni, come Hassan, l'eroe della Namouna di Alfredo de Musset se ne stanca dopo una settimana: vi è, persino, nel Re Cervo, una delle più forti, delle più vivaci fiabe del Gozzi, un caso di avatar, di scambio d'anime, leggenda orientale indiana che, più tardi, Théophile Gautier doveva narrare curiosamente nel suo lungo racconto Avatar. È quasi un repertorio, il contenuto delle tragedie fiabesche del conte veneziano: un repertorio che egli ha mescolato un po' [121]confusamente, ma che ha tutto espletato.