In questo romanzo (è meglio che riprenda il filo; per mettersi a rifare l'apologia del
? neorealismo ? è troppo presto; analizzare i motivi di distacco corrisponde di più al
nostro stato d'animo, ancor oggi) i segni dell'epoca letteraria si confondono con quelli
della giovinezza dell'autore. L'esasperazione dei motivi della violenza e del sesso
finisce per apparire ingenua (oggi che il palato del lettore è abituato a trangugiare cibi
ben più bollenti) e voluta (che per l'autore questi fossero motivi esterni e provvisori,
lo prova il seguito della sua opera).
E altrettanto ingenua e voluta può apparire la smania di innestare la discussione
ideologica nel racconto, in un racconto come questo, impostato in tutt'altra chiave: di
rappresentazione immediata, oggettiva, come linguaggio e come immagini. Per
soddisfare la necessità dell'innesto ideologico, io ricorsi all'espediente di concentrare
le riflessioni teoriche in un capitolo che si distacca dal tono degli altri, il IX, quello
delle riflessioni del commissario Kim, quasi una prefazione inserita in mezzo al
romanzo. Espediente che tutti i miei primissimi lettori criticarono, consigliandomi un
taglio netto del capitolo; io, pur comprendendo che l'omogeneità del libro ne soffriva
(a quel tempo, l'unità stilistica era uno dei pochi cri-teri estetici sicuri; ancora non
erano tornati in onore gli accostamenti di stili e linguaggi diversi che oggi trionfano),
tenni duro: il libro era nato cosi, con quel tanto di composito e di spurio.