Devo ancora ricominciare da capo la prefazione. Non ci siamo. Da quel che ho
detto, parrebbe che scrivendo questo libro avessi tutto ben chiaro in testa: i motivi di
polemica, -gli avversari da battere, la poetica da sostenere... Invece, se tutto questo
c'era, era ancora in uno stadio confuso e senza contorni. In realtà il libro veniva fuori
come per caso, m'ero messo a scrivere senza avere in mente una trama precisa, partii
da quel personaggio di monello, cioè da un elemento d osservazione diretta della
realtà, un modo di muoversi, di parline, di tenere un rapporto con i grandi, e, per
dargli un sostegno romanzesco, inventai la storia della sorella, della pistola rubata al
tedesco; poi l'arrivo tra i partigiani si rivelò un trapasso difficile, il salto dal racconto
picaresco all'epopea collettiva minacciava di mandare tutto all'aria, dovevo avere
(un'invenzione che mi permettesse di continuare a tenere la ,storia tutta sul medesimo
gradino, e inventai il distaccamento del Dritto. Era il racconto che - come sempre
succede - imponeva soluzioni quasi obbligatorie. Ma in questo schema, in questo
disegno che si veniva formando quasi da solo, io travasavo la mia esperienza ancora
fresca, una folla di voci e volti (deformavo i volti, straziavo le persone come sempre
fa chi scrive, per cui la realtà diventa creta, strumento, e sa che solo cosi può scrivere,
eppure ne prova rimorso...), un fiume di discussioni e di letture che a quell'esperienza
s'intrecciavano.