Una questione privata (che ora si legge nel volume postumo di Fenoglio Un giorno
di fuoco) è costruito con la geometrica tensione d'un romanzo di follia amorosa e
cavallereschi inseguimenti come l'Orlando furioso, e nello stesso tempo c'è la
Resistenza proprio com'era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta,
serbata per tanti anni limpidamente dalla memoria fedele, e con tutti i valori morali,
tanto più forti quanto più impliciti, e la commozione, e la furia. Ed è un libro di
paesaggi, ed è un libro di figure rapide e tutte vive, ed è un libro di parole precise e
vere. Ed è un libro assurdo, misterioso, in cui ciò che si insegue, si insegue per
inseguire altro, e quest'altro per inseguire altro ancora e non si arriva al vero perché.
? al libro di Fenoglio che volevo fare la prefazione: non al mio.
Questo romanzo è il primo che ho scritto, quasi la prima cosa che ho scritto. Cosa
ne posso dire, oggi? Dirò questo: il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto.
Finché il primo libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può
usare una sola volta nella vita, il primo libro già ti definisce mentre tu in realtà sei
ancora lontano dall'esser definito; e questa definizione poi dovrai portartela dietro per
la vita, cercando di darne conferma o approfondimento o correzione o smentita, ma
mai più riuscendo a prescinderne.
E ancora: per coloro che da giovani cominciarono a scrivere dopo un'esperienza di
quelle con ? tante cose da raccontare ? (la guerra, in questo e in molti altri casi), il
primo libro diventa subito un diaframma tra te e l'esperienza, taglia i fili che ti legano
ai fatti, brucia il tesoro di memoria - quello che sarebbe diventato un tesoro se avessi
avuto la pazienza di custodirlo, se non avessi avuto tanta fretta di spenderlo, di
scialacquarlo, d'imporre una gerarchia arbitraria tra le immagini che avevi
immagazzinato, di separare le privilegiate, presunte depositarle d'una emozione
poetica, dalle altre, quelle che sembravano riguardarti troppo o troppo poco per
poterle rappresentare, insomma d'istituire di prepotenza un'altra memoria, una
memoria trasfigurata al posto della memoria globale coi suoi confini sfumati, con la
sua infinita possibilità di recuperi... Di questa violenza che le hai fatto scrivendo, la
memoria non si riavrà più: le immagini privilegiate resteranno bruciate dalla precoce
promozione a motivi letterari, mentre le immagini che hai voluto tenere in serbo,
magari con la segreta intenzione di servirtene in opere future, deperiranno, perché
tagliate fuori dall'integrità naturale della memoria fluida e vivente. La proiezione
letteraria dove tutto è solido e fissato una volta per tutte, ha ormai occupato il campo,
ha fatto sbiadire, ha schiacciato la vegetazione dei ricordi in cui la vita dell'albero e
quella del filo d'erba si condizionano a vicenda. La memoria - o meglio l'esperienza,
che è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in
te e che ti ha fatto diverso -, l'esperienza primo nutrimento anche dell'opera letteraria
(ma non solo di quella), ricchezza vera dello scrittore (ma non solo di lui), ecco che
appena ha dato forma a un'opera letteraria insecchisce, si distrugge. Lo scrittore si
ritrova ad essere il più povero degli uomini.