Amo la notte ascoltar
il grido della sentinella.
Amo la luna al suo passar
quando illumina la mia cella.
Pin proprio in prigione non è mai stato: quella volta che volevano portarlo
ai
discoli,
è scappato. Ogni tanto lo acchiappano le guardie municipali, per
qualche scorribanda per le tettoie del mercato della verdura, ma lui fa
impazzire tutto il corpo di guardia dagli strilli e dai pianti finché non lo
liberano. Ma nella guardina dei vigili un po' c'è stato rinchiuso, e sa cosa
vuoi dire, e perciò canta bene, con sentimento.
Pin sa tutte quelle vecchie canzoni che gli uomini dell'osteria gli hanno
insegnato, canzoni che raccontano fatti di sangue; quella che fa:
Torna
Caserio...
e quella di Peppino che uccide il tenente. Poi, a un tratto,
quando tutti sono tristi e guardano nel viola dei bicchieri e scatarrano, Pin
fa una piroetta in mezzo al fumo dell'osteria, e intona a squarciagola:
- E le toccai i capelli - e lei disse non son quelli -vai più giù che son più
belli, - amor se mi vuoi bene - più giù devi toccar.
Allora gli uomini danno pugni sullo zinco e la serva mette in salvo i
bicchieri, e gridano ? hiuù ? e battono il tempo con le mani. E le donne che
sono nell'osteria, vecchie ubriacone con la faccia rossa, come la
Bersagliera, ballonzolano accennando un passo di danza. E Pin, col sangue
alla testa, e una rabbia che gli fa stringere i denti, si sgola nella
canzonacela fino a lasciarci l'anima:
- E le toccai il nasino - e lei disse brutto cretino -vai più giù che c'è un
giardino.