«Devo parlare col professore, circa la mia partenza» dissi. «Ma credo che sia opportuno rimandare la cosa a dopo i funerali.»
Poirot annuì.
«Frattanto» aggiunse «non cercate di scoprir troppe cose. Non desidero, capite, che voi vi dimostriate troppo acuta.» Sorrise, e osservò: «Voi dovete limitarvi a tener pronti i ferri mentre io faccio l'operazione».
Strano che dicesse proprio così!
Poi aggiunse, senza nesso apparente:
«Un tipo interessante, quel Padre Lavigny.»
«Un monaco che fa l'archeologo mi suona strano» dissi.
«Ah, voi siete protestante. Io sono un buon cattolico. Ne so qualcosa di preti e di monaci.»
Poirot aggrottò le sopracciglia e mi diede questo avvertimento: «State attenta, perché è abbastanza furbo da rigirarvi come gli pare e piace».
Se con questo voleva mettermi in guardia contro eventuali pettegolezzi da parte mia, avrebbe proprio potuto risparmiare il fiato.
Lui se ne andò in macchina e io ritornai attraverso il cortile verso casa, meditando su parecchie cose: i segni delle punture ipodermiche sul braccio del signor Mercado; l'orribile maschera, il fatto strano che Poirot e la signorina Johnson non avessero udito, quella mattina, il mio grido in soggiorno, mentre tutti avevamo udito, quel pomeriggio, il grido di Poirot nella sala da pranzo. Eppure la camera di Padre Lavigny e quella della signora Leidner erano, rispettivamente alla medesima distanza dalla sala da pranzo e dal soggiorno.