Lui lo prese, lo aprì e lo lesse; poi lo ripiegò e se lo mise in tasca. Il suo volto, sul quale Sheila Reilly teneva fisso lo sguardo, non mutò d'espressione. Anche la signora Mercado lo osservava, e chiese con voce spezzata:
«Viene... dall'America?»
«No, madame» rispose Poirot. «Da Tunisi.»
Lei lo fissò per un momento, come se non capisse, poi con un profondo sospiro, si abbandonò contro la spalliera della poltrona.
«Padre Lavigny!» disse. «Dunque, avevo ragione. Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di strano in lui. Mi ha detto certe cose, una volta. Dev'esser pazzo.» Tacque un momento, poi proseguì: «Starò quieta. Ma devo andarmene di qui. Io e mio marito potremmo andare alla Rest House». «Un po' di pazienza, madame» fece Poirot. «Spiegherò ogni cosa.»
Il capitano Maitland lo guardò con curiosità.
«Volete dire che per voi il mistero è risolto?»
Poirot si inchinò. Fu un inchino piuttosto teatrale, e il capitano Maitland mi parve seccato.
«Be'» disse. «Fuori allora!»
Ma così non la intendeva Hercule Poirot. Compresi bemssimo che voleva far le cose con maggior pompa e formalità. Mi chiesi anche se conoscesse sul serio la verità o se volesse solo darsi delle arie.
Si girò verso il dottor Reilly.
«Dottore, volete avere la cortesia di chiamare qui anche gli altri?»
Reilly obbedì con molta premura e un paio di minuti dopo gli altri membri della spedizione cominciarono ad arrivare. Primi Reiter e Emmott. Poi Bill Coleman. In seguito Richard Carey. E finalmente il signor Mercado.
Poveracc10, sembrava un cencio. Certo temeva dl esser considerato responsabile di grave trascuratezza per aver lasciato a portata di mano sostanze chimiche pericolose.
Sedettero tutti intorno alla tavola, press'a poco come avevano fatto il giorno dell'arrivo del signor Poirot. Prima di sedere Emmott e Coleman esitarono, lanciando un'occhiata a Sheila Reilly che guardava fuori dalla finestra e volgeva loro le spalle.
«Una sedia, Sheila?» chiese Bill.
«Volete accomodarvi, signorina?» chiese Emmott con la sua bella voce profonda. Lei si girò e rimase un momento a guardarli. Ognuno dei due giovani le offriva una sedia, e io ero curiosa di vedere quale delle due avrebbe scelto lei.
Alla fine non ne accettò nessuna.
«Rimarrò qui» disse, sedendo sull'angolo di un tavolino vicino alla finestra. E subito soggiunse: «Beninteso, se il capitano Maitland consente a che io rimanga».
Non so che cosa avrebbe risposto il capitano. Ma Poirot lo prevenne:
«Certo mademoiselle, rimanete pure. Anzi la vostra presenza è necessaria.»
Sheila inarcò le sopracciglia:
«Necessaria?»
«Sì, ho proprio usato questa parola. Devo rivolgervi alcune domande.» Sheila fece di nuovo un viso stupito, ma non disse nulla. Si girò verso la finestra, quasi fosse decisa a ignorare quel che potesse accadere nella camera alle proprie spalle.
«E ora» disse il capitano Maitland «forse potremo conoscere la verità.» Parlava con una certa Impazienza. Era essenzialmente un uomo d'azione e certo, in quello stesso momento, smaniava di non poter fare qualcosa: dirigere le ricerche del cadavere di Padre Lavigny e magari, nello stesso tempo, dare disposizioni per il suo eventuale arresto. Mi parve che guardasse Poirot con scarsa simpatia, certo pensando: "Se questo accidente ha qualche cosa da dire, perché non si sbriga?"
Poirot ci guardò tutti, uno per uno, poi si alzò.
Non so che cosa mi aspettassi di udire, da lui; certo qualcosa di drammatico, dato il tipo. Però non mi sarei immaginata che cominciasse con una frase in arabo. Invece cominciò proprio così. Pronunciò le parole in modo lento, solenne... quasi religioso, se così posso dire:
«Bismillahi ar rahman ar rahim.»
E subito le tradusse:
«Nel nome di Allah, il Benigno, il Misericordioso.»