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CHAPTER VIII

时间:2020-09-23来源:互联网  进入意大利语论坛
核心提示:Il Louvre e le Tuileries.Soluzione di continuit.Storia eroicomica.Una etimologia da lupi.L'architettura del Risorgimento
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 Il Louvre e le Tuileries.—Soluzione di continuità.—Storia eroicomica.—Una etimologia da lupi.—L'architettura del Risorgimento.—L'arte nostra al Louvre.—Regine, ministri, imperatori italiani.—Compre e rapine.
 
Un cortile immenso, tre volte più lungo che largo, in cui potrebbero esercitarsi comodamente cinque seimila soldati, e in cui s'entra e da cui si esce, per tre arcate da una banda, verso il centro di Parigi, per tre arcate dall'altra, verso la Senna; in mezzo al cortile, ma verso le estremità, due boschetti tondeggianti da un lato, rinchiusi entro cancelli di ferro, e un arco di trionfo dall'altro, che, con tutta la sua mole, sembra un giocattolo di bambino sull'orlo di una tavola da pranzo; intorno a quest'area, due file di fabbricati di vario stile, fusi oramai nella tinta grigia del tempo, in parte abbelliti dalla giunta di nobilissimi porticati con terrazze sovrapposte e grand'uomini di marmo che incoronano le balaustrate, e qua e là interrotti armonicamente da certi padiglioni, le cui facciate sporgono in fuori un pochino e i tetti si spingono in su, oltre la linea normale, co' loro cappelli di piombo; finalmente, a lontano riscontro, sui due lati minori dell'immenso parallelogrammo, due palazzi di gran lunga più rilevati, più ornati e più nobili; uno severo nella sua venerabile antichità, ma vivo ancora e sano, l'altro più gaio di linee, più giovine all'aspetto, ma morto, col cranio scoperchiato e le occhiaie vuote; eccovi il Louvre con le Tuileries, che gli sono…. cioè, diciamo meglio, che gli erano appiccicate da prima.
 
La soluzione di continuità rappresenta qui le tradizioni interrotte tra il passato monarchico della Francia e il suo presente repubblicano. In questi ultimi anni fu ricostrutto quel po' delle due ali che l'incendio della Comune aveva scamozzate; ma la saldatura tra le ali e il corpo delle Tuileries non è stata più fatta, quantunque governassero i Versagliesi, nè si farà certamente ora che accennano a voler governare i repubblicani conservatori. Si direbbe, al vedere così rispettata la sentenza di Erostrato, che la Francia abbia paura di rifare il nido alle aquile, o il covo alle vipere. Imperocchè dovete sapere, che alle Tuileries c'è stato un po' delle une e delle altre, senza contare gli animali di minor conto. E ciò sia detto per amore della metafora continuata, senza la menoma intenzione di far torto a chicchessia.
 
Come palazzo regio, le Tuileries erano cosa moderna. Le aveva ideate Caterina de' Medici, che, dopo la morte disgraziata di suo marito in una giostra, non voleva più saperne del palazzo delle Tournelles, e non amava ancora abbastanza il vecchio Louvre, in cui si era ridotta. Enrico IV prosegui l'opera incominciata da Caterina, ma non volle uscire dal Louvre. Maria de' Medici, sua moglie, andò, lui morto, ad abitare nel Lussemburgo, fabbricato da lei sul gusto del palazzo Pitti, suo nido natale. Nè Luigi XIII, nè il suo figliuol putativo abitarono le Tuileries; solamente, e per poco, Luigi XV, fin tanto che rimase sotto tutela. In quei tempi, la Corte dimorava a Versailles. Alle Tuileries fu impiantata l'Accademia reale di musica; poscia la Commedia francese, e Voltaire ci fu incoronato d'alloro. Fu la rivoluzione (vedete stranezza) che allogò nelle Tuileries i re di Francia, con un decreto dell'Assemblea costituente. È vero bensì che l'intenzione non era di lasciarceli a lungo. Infatti, essa li mandò ben presto alla prigione del Temple e di là al patibolo, con una doppia sentenza, in cui sì punivano nei figli le malefatte dei padri.
 
La Convenzione, diventata sovrana, andò lei ad alloggio nel palazzo destinato per burla all'ultimo dei Capeti. Colà il cittadino Chaumette, in un momento di georgica ispirazione, domandò che il bel giardino di Lenôtre fosse ridotto a coltivazione utile, piantato a ricino, a rabarbaro, ed altri medicinali, per uso degli infermi. Il rabarbaro non attecchì, e Robespierre potè in quel giardino salvato celebrare la sua festa idilliaca dell'Ente Supremo, in cui si degnò di proclamare l'immortalità dell'anima. Colgo l'occasione per dirvi che il giardino delle Tuileries è al di fuori del palazzo omonimo e non ha nulla a che fare con gli altri due accennati più sopra, piccole oasi moderne, con cui si è voluto correggere uno sconcio di prospettiva, entro la corte magna che si dilunga tra i due palazzi affrontati.
 
Soltanto con Napoleone I le Tuileries incominciarono ad essere dimora stabile di monarchi. Seguirono, come sapete, due Borboni, un Orléans e un altro Napoleone: après quoi on a tiré l'échelle. Almeno, così dicono. E la reggia, abbruciata dai Comunisti, che poco mancò non incendiassero anche il Louvre, è stata conservata nella sua maestà di rovina solitaria. Essa non mi dispiace neanche così. È, dopo tutto, un brano di storia affumicata, che può servire ad ogni classe d'ignoranti. Gli uni guardano e temono; gli altri guardano e sperano; il tempo passa e canzona tutti quanti. Gran filosofo il tempo; assai più filosofo che galantuomo.
 
Andiamo via e voltiamoci al Louvre; casa nostra, come ebbi l'onore di dirvi. Era anticamente una torre, e Filippo Augusto ci teneva chiuse con molta gelosia le sue carte, i suoi sparagni e i suoi prigionieri di Stato. Come e perchè si chiamasse Louvre un luogo per solito così poco aperto, non so. Nel latino dei notai si disse Lupara, e il Dizionario di Trévoux pretende che il nome derivi appunto da serraglio di lupi. Per un dizionario stampato nel secolo XVIII, con approvazione e privilegio del re, non c'è male; che ne dite?
 
La torre di Filippo Augusto si moltiplicò in processo di tempo. Quando Carlo V ci venne ospite di Francesco I, il Louvre contava tredici torri, murate in cerchio, e coronate dalle loro banderuole di ferro. Si narra che, per la solenne occasione, Francesco I facesse indorare a nuovo le banderuole in discorso. Ma siccome non parve a lui che ciò bastasse ad abbellire la dimora dei re di Francia, pensò bene di abbattere ogni cosa e di far sorgere ex novo un palazzo degno di lui e di madonna Diana di Poitiers, favorita di due generazioni, le cui iniziali e le lune falcate dello stemma dovevano poscia vedersi scolpite sulla fronte dell'edifizio, immaginate voi con che gusto di due legittime mogli.
 
Il vecchio Louvre è un vero miracolo dell'arte del Risorgimento in Francia. Gli architetti erano Francesi; il gusto italiano. Francesco II fu il primo ad abitarvi con tutta la sua corte. Enrico IV edificò il braccio lungo Senna, per congiungere la sua reggia alle Tuileries edificate da Caterina de' Medici. Luigi XIII, Maria de' Medici, Anna d'Austria, condussero a compimento la corte quadrata e decorarono gli appartamenti. Luigi XIV non fu da meno di loro, quantunque non ci abitasse mai. Pel re Sole era quella una reggia borghese, troppo in mezzo alla bordaglia dei sudditi; e il re Sole edificava Versailles.
 
Ma di questo più tardi. Debbo strigarmi dalla storia del Louvre, narrando che Luigi XIV destinò una parte del palazzo all'Accademia francese, a quella delle scienze, e ad altre consimili, magnificamente istituite da lui; un'altra parte alla stamperia reale, alla zecca delle medaglie, agli archivii e via discorrendo. Così ebbe principio la nuova vita del Louvre, non più dimora di re, ma santuario delle scienze e delle arti. La Rivoluzione compì l'opera; il Consolato e l'Impero l'arricchirono in modo straordinario. E si capisce; Napoleone, gran cacciatore d'uomini, ma altresì di quadri e statue al cospetto di Dio, doveva essere pel Louvre un provveditore eccellente.
 
Tutta la roba nostra, o almeno un due terzi della roba nostra in materia di pittura, è qui dentro. Mettete insieme le gallerie Vaticane di Roma, Pitti e gli Uffizi di Firenze, il Museo Nazionale di Napoli e cinque o sei pinacoteche delle corti minori della penisola; tutti i capolavori nostrani, raccolti in questi santuarii del bello, non raggiungono la metà dei quadri italiani del Louvre. Se poi si lasci in disparte il numero e non si badi che al pregio maggiore o minore delle opere, la proporzione riesce ancora più notevole a vantaggio del grande museo parigino. Il quale, se possedesse ancora, come gli avvenne in un periodo di epiche ruberie, la Trasfigurazione di Raffaello, la Comunioe del Domenichino, la Madonna di San Gerolamo del Correggio, ed altri due o tre quadri consimili, sparsi ora nelle gallerie d'Europa, potrebbe vantarsi senz'altro di aver tutto il meglio delle scuole italiane.
 
Certo, un sottile accorgimento ha presieduto, per molte generazioni di re e di ministri, all'incremento della sterminata raccolta. Ministri e re dovevano aver di continuo i loro segugi e bracchi in giro per le nostre città, a fiutare la selvaggina e levarla, dovunque ella fosse. Poi, due figlie dei Medici non andarono impunemente a sedersi sul trono di Francia, nè un Mazzarino sullo scanno di Richelieu. Tutti quegli Italiani portavano la loro arte con sè, vecchia e nuova, senza misericordia, senza carità per la patria. E tele rapite all'Italia, e tele dipinte in Francia da artisti chiamati dall'Italia, andarono di mano in mano arricchendo le collezioni del Louvre. Lupara; serraglio di lupi! Ma che lupi raffinati, Dio buono! E come fiutavano il genio!
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