Ci vorrebbe un volume, non che una o due lettere, a prender nota di tutte le cose memorabili di Versaglia, e dei ricordi che destano. Se avessi il tempo e la voglia di fare il volume, mi riuscirebbe un catalogo, che nessuno di voi si sentirebbe la voglia, o avrebbe il tempo di leggere. Un'occhiata al complesso, dunque! Ma come si fa? Son centinaia e centinaia di sale, migliaia e migliaia di quadri; memorie di tutti i regni, di tutte le dinastie, di tutte le grandezze e di tutte le miserie. Altro che occhiate al complesso! L'unica cosa che si possa fare è una scorribanda capricciosa, con tre quattro fermate, per ricogliere il fiato.
Incomincio da una fermata. La merita davvero, quantunque il fumo delle candele mi dia al naso, la merita davvero quella graziosa chiesetta del Mansart, costrutta sotto il regno della Maintenon, sulle rovine di una elegantissima grotta di Teti, che era stata decorata dal Girardon e cantata dal Lafontaine. Non vi parlo dei matrimonii principeschi e regali che vi furono celebrati; penso alla burletta del Brissac e non resisto alla tentazione di raccontarvela.
Luigi XIV, diventando vecchio, s'era fatto eremita; ogni giovedì ed ogni domenica andava in cappella, anche di sera, e voleva che tutti ci andassero. Le dame della Corte non se lo fecero dire due volte; dov'era il re si trovavano loro, e, per farsi meglio scorgere dal re, tenevano tanti torchietti accesi sui davanzali delle tribune, col pretesto di vederci chiaro nella stampa dei loro uffiziuoli. Il re, indisposto, faceva sapere che non andava in cappella? La divozione delle dame sbolliva issoffatto; non c'era caso di vederne più una al suo posto. Ora sentite che cosa facesse il Brissac, maggiore delle guardie del corpo, uno schietto soldato, a cui tutte quelle beghinerie urtavano i nervi. Una sera, sull'ora della benedizione, tutti i torchietti erano accesi nelle tribune; le dame, inginocchiate, aspettavano il re. Brissac si affaccia alla tribuna reale, alza il suo bastone di comando e grida: «Guardie del re, ritiratevi; il re questa sera non viene.» Indovinate il resto; le guardie se ne vanno, i torchietti si spengono, le dame spulezzano.
Partite loro, il Brissac fa ritornare le guardie al posto. Sopraggiunge il re, si guarda intorno, e non tace la sua meraviglia, non vedendo nessuna delle dame di corte. Ma, finita la benedizione, il maggiore Brissac racconta arditamente al re la prova diabolica a cui aveva sottoposta la devozione delle signore. Luigi XIV, che ama il Brissac, finisce col ridere; ridono i signori del seguito, e ride, a farla breve, tutta la corte. Non le dame, intendiamoci. Il Brissac, con tutta la sua prodezza, non ardì più, dopo quella burletta, passar troppo vicino alle dame di corte. Sfidava le palle, il bravo maggiore; ma non si fidava delle unghie.
Andiamo avanti per una galleria di scoltura. Ci sono cento e più, tra statue, busti e monumenti funebri, con figure marmoree, in mezzo alle quali si vedono quasi tutte le più celebri dames de beauté della Francia. Nelle sale delle crociate, che vengono dopo, si hanno i Goffredi Buglioni, i Filippi Augusti e i San Luigi a tutte le salse. Notevoli in queste camere alcune reliquie storiche dei cavalieri di Rodi, mandate in regalo a Luigi Filippo dal sultano Mahmud; tra esse il mortaio di bronzo, che serviva di campana ai valorosi ospedalieri. Avanti ancora, e troveremo la sala dei sovrani di Francia, tutti effigiati sulla tela, dal solito Clodoveo fino a Napoleone III. C'è poco da ammirare, come arte; non c'è che l'interesse storico, e non per tutti, trattandosi di figure dipinte la più parte secoli e secoli dopo la sparizione degli originali dalla faccia della terra. Io ho cercato tra gli altri Filippo il Bello, e l'ho trovato…. brutto.
Vi ho già detto delle sale degli ammiragli, dei contestabili e dei marescialli di Francia, tutte piene zeppe di ritratti. Di marescialli antichi mi ha colpito il conte Rantzau, bel giovinotto, a cavallo, con un occhio di meno e una gamba di legno. È quel Rantzau, sulla cui tomba fu scolpito questo grazioso epitaffio:
Du corps du grand Rantzau tu n'as qu'une des parts,
L'autre moitié resta dans les plaines de Mars;
Il dispersa partout ses membres et sa gloire,
Tout abattu qu'il fut, il demeura vainqueur;
Son sang fut en tous lieux le prix de sa victoire,
Et Mars ne lui laissa rien d'entier que le coeur.
L'ultimo dei marescialli effigiati è il Niel, una nostra simpatica conoscenza di Solferino. Cito lui che chiude la serie, per ora; ma non mi fermo a nominarvi i più notevoli, perchè sarebbero troppi. In quattordici sale, che hanno tutte una storia, poichè servirono d'abitazione a principi e principesse della maison de France, ci sono tutti i generali che giunsero ad afferrare quel tal bastone, portato nel proprio zaino (secondo la notissima frase) da ogni semplice soldato. In altre sale attigue ci sono i guerrieri celebri, che morirono senza avere il bastone: Jean Bart, Duguay Trouin, il balì di Suffren, Hoche, Kléber, Desaix, Lafayette. Quanti nomi, quante glorie purissime! Che cosa ne avrebbe pensato, di questi ospiti nuovi, la signora di Pompadour, che proprio in questo sale ebbe il suo appartamento?
Salite al primo piano; si passa in mezzo a due file di busti, tra i quali noto un Rabelais e un Descartes, due grandi filosofi, ma di scuola diversa. Avanti ancora, e c'è un visibilio di ritratti, dei quali uno mi ruba un quarto d'ora. Confesso la mia debolezza, ma ho dedicato un quarto d'ora a Madama Récamier, l'Egeria della Restaurazione, la più bella donna di Francia e Navarra, l'amica di Chateaubriand e del filosofo Ballanche. Questa perdita di tempo mi ha fatto stringere il passo nella grande, immensa galleria delle battaglie, dove di battaglie ne avete a bizzeffe, da quella di Tolbiac, vinta da Clodoveo, a quella di Wagram, vinta da Napoleone. Più lunge, ho veduto la camera da letto della signora di Maintenon, ma non ho più trovata la nicchia di damasco rosso e la poltrona di Luigi XIV, il quale assisteva ogni sera alla cena della marchesa, e alla sua andata a letto, per andarsene poi a cena e a letto anche lui, cinque o sei camere più in là.
Uscite dall'anticamera della Maintenon, ed eccovi la sala du Sacre, così detta pel celeberrimo quadro di David, vastissima composizione che rappresenta l'incoronazione di Napoleone I e di Giuseppina. C'è anche la battaglia d'Abukir e il Giuramento dell'esercito nel Campo di Marte, quel giuramento, con distribuzione d'aquile imperiali, che seguì di tre giorni l'incoronazione suddetta. Nel mezzo della sala è il Napoleone morente del Vela; un marmo che parla, e non occorre dir altro. Ancora due sale e i ricordi cangiano…. di dinastia. Siamo nella sala del biliardo di Luigi XVI; ma non c'è più il biliardo su cui Luigi metteva la sua posta di cinque lire, rispondendo ad un certo duca che si meravigliava della parsimonia del re:
—Signor duca, scusatemi; voi giuocate il vostro denaro, io quello di tutti.—
Andiamo avanti, e si torna indietro… due regni. Ecco gli appartamenti della signora di Montespan. Nessun ricordo piacevole; la signora di Montespan fu una bella antipatica. Amerei meglio trovare l'appartamento della povera madamigella De la Vallière; ma il cicerone non sa dirmi dove sia. Forse non c'è mai stato; forse la gelosa Montespan ne ha cancellate le tracce. Passo di corsa nella camera da letto dove morì Luigi XV, il Tiberio della Francia, che compendiò il suo regno nella cinica frase: «après moi le déluge» e giungo nel gabinetto del Consiglio, celebre per uno dei pochi tratti di nobiltà vera del re Sole. Qui infatti egli invitò il Molière, suo valet de chambre, a sedersi a tavola con lui, e gli servì di sua mano un'ala di pollo, per dare una lezione a tanti gentiluomini, che erano valletti di camera come il Molière, e tuttavia sdegnavano di sedere a mensa con lui, presso il contrôleur de la bouche.
—Voi mi vedete occupato—disse Luigi XIV ai gentiluomini che erano venuti ad assistere alla sua colazione,—voi mi vedete occupato a far mangiare il nostro Molière, che ai miei valletti di camera non sembra una compagnia abbastanza buona per loro.—
Segue la camera da letto del re, conservata tal quale, come era nel tempo suo, col letto parato di velluto cremisi trapunto d'oro, e tutto il rimanente degli arredi, costati dodici anni di fatica al tappezziere Simone Delobel, anche lui, come l'autore del Tartuffo, decorato del nome di valletto di camera. Accanto alla camera da letto è la sala dall'Oeil de boeuf, così detta da una finestra ovale nella parete, aperta per ottenerle più luce da una camera attigua. Ivi aspettavano i principi e i gran signori, ammessi alla felicità della levata e dell'andata a letto del re Sole. Si parlava a bassa voce, non si bussava agli usci, ma si grattavano gentilmente col sommo del dito; solamente agli uscieri era permesso di aprirli.
Non lungi dall'Oeil de boeuf, da questa scuola di maldicenza raffinata della corte di Francia, sono gli appartamenti della regina. L'ultima che ci abitò fu Maria Antonietta. Il cicerone vi mostra la sala delle guardie, ove, nella giornata del 6 ottobre 1789, morirono tre soldati, tre eroi, Varicour, Durepaire, Miomandre de Sainte Marie, ottenendo, col sacrifizio delle loro vite, il tempo necessario alla fuga della regina negli appartamenti del marito e alle valide difese della guardia nazionale, che cacciò poi la moltitudine furibonda fuori del palazzo. Valore inutile, del resto, poichè i due scampati cadevano di Scilla in Cariddi!
Andiamo via, non ci lasciamo impietosire. Dicono che bisogna punire le colpe degli uni fino alla quarta generazione, e trovar commendevoli i furori, sublime la libidine di sangue degli altri. Io dico invece con madama Roland: «Liberté, que de crimes en ton nom!» E passo oltre; anzi, salgo a respirare un'aria più pura nell'attico. L'attico, se nol sapete, è il piano sotto i tetti. È grande quanto gli appartamenti inferiori, contiene un centinaio di quadri rappresentanti battaglie navali, i ritratti di quasi tutti i regnanti europei del secolo XIX e di quasi tutti gli uomini politici più notevoli di Francia e d'Inghilterra; inoltre, più di duemila ritratti di personaggi meritamente illustri, e immeritamente noti, dal 1400 fino al tempo presente.
Quanta storia, Dio buono! E dire che non c'impariamo mai nulla!