Desmoulins e madama di Pompadour.—Gian Giacomo e Diana di
Poitiers.—I ritratti e gli originali—Politica d'andata e
ritorno.—Il teatro.—Ricordi storici.
Il paziente lettore, che mi ha seguito fin qua, non può certamente nutrire il sospetto che io voglia condurlo attorno per tutti i luoghi memorabili di Parigi. Faccio per la città quel che ho fatto per l'Esposizione universale; tra le cose che ho vedute, noto solamente quelle che possono darmi appiglio a qualche considerazione, non affatto inutile per un lettore italiano. S'intende per un lettore paziente, come il mio, di cui sopra.
Ciò posto, venga il sullodato lettore con me. Dal boulevard des Italiens si svolta nella chaussée d'Antin, dove abita il Gambetta, con la sua République française. In capo alla strada è la piazza, la prateria a forma di scavo e la pagoda della Trinità; ma noi non entreremo in chiesa; svolteremo a sinistra, per andare alla stazione di San Lazzaro, scalo famoso della ferrovia de ceinture, donde ogni giorno, quando c'è aperta l'Assemblea nazionale, partono i treni parlamentari per alla volta di Versaglia. Chi lo avesse mai detto a Luigi XIV!
Andiamo, già lo indovinate, a Versaglia. Si può infatti, dimenticare un visibilio di cose, tra belle e strane, che adornano Parigi e i suoi pressi; ma Versaglia non può lasciarsi da banda. È stata la sede della monarchia, dopo il Louvre e prima delle Tuileries, per un periodo di tre regni, interrotto soltanto da una reggenza, che abitò in Parigi, al palais Royal, e fece le sue miserabili prove nella famosa via Quincampoix. Da Luigi XIV, che ha edificata la reggia di Versaglia a Luigi XVI, che ne è uscito, per andare, di debolezza in debolezza, fino alla piazza della Rivoluzione, Versaglia è stata il teatro di tutti i grandi ricevimenti, di tutte le feste, ed anche di parecchie brutture de' suoi regali padroni. Laggiù la stolta revoca dell'editto di Nantes, per compiacere alla signora di Maintenon e ai gesuiti; laggiù l'infame Parc aux cerfs, una specie di Capri, nascosta tra i faggi e gli ontani, che non ebbe poca parte nella rovina dei Capetingi. Luigi XVI doveva espiare i falli de' suoi antecessori e lasciare la testa su quella medesima piazza, dove si era festeggiato ventitrè anni prima il suo matrimonio con l'Austriaca. Era finita pel fasto di Versaglia, quando le donne del popolo di Parigi andarono in processione tumultuaria fino alla cancellata della Corte di Marmo. Ma, anche prima, i reali di Francia incominciavano a non trovarsi bene in mezzo a quel fasto. Maria Antonietta amava sopra tutto un villino, ascoso nel bosco, il piccolo Trianon, graziosa fabbrica italiana, ad un piano e mezzo, con cinque finestre di facciata, e le cucine mezzo affondate nel suolo. La regina e le sue dame, semplicemente vestite di percallo bianco, passavano le loro giornate in quel luogo, ricamando, giuocando, o fingendosi contadine e adempiendo allegramente gli uffici di quello stato, così bello nei quadri di Boucher e di Watteau. Immaginate che idillio, in riva a quel laghetto, in cui si specchia ancora la celebre casetta svizzera! Vedendo il piccolo Trianon, e pensando alla vita tranquilla di quella regia lattaia, il cui marito fabbricava toppe o scriveva trattati di fabbroferraio, ricorre alla mente il frusto paragone della calma che precede…. quel che sapete.
Versaglia non è più una reggia; è da quarant'anni un museo. «A toutes les gloires de la France» ci scrisse su quel povero Luigi Filippo, che le rispettò tutte, le ospitò tutte, anche richiamandole dall'esilio, ma ebbe, a quanto pare, il torto gravissimo di non aggiungerne abbastanza di sue. La guerra d'Africa non doveva servire ad altro che a formare i generali per un'altra dinastia.
Quelle glorie ci son tutte davvero, nel palazzo di Versaglia, rappresentate nel marmo, o sulla tela, da tutti i grandi uomini e da tutte le vittorie della Francia. I monarchi ci hanno i loro ritratti, in una sequela non interrotta, da Clodoveo a Napoleone III; i contestabili, gli ammiragli, i marescialli, i guerrieri famosi, gli uomini di Stato, si mescolano coi poeti, cogli artisti e con le donnine belle. Cherchez la femme. E a Versaglia non occorre nemmeno cercarla; si trova su tutte le pareti. Curiosa, che, frammezzo a tanti ricordi monarchici, facciano capolino anche i repubblicani! Camillo Desmoulins mostra la sua faccia arguta davanti al ritratto della Pompadour; Gian Giacomo Rousseau, fresco ancora di tutta la sua gioventù, dimentica le Charmettes, e madama di Warens e il collega Anet, davanti ad una Diana di Poitiers, che si è fatta ritrarre in abito da bagno antico, quello della sua divina omonima, quando Atteone portò in fronte la pena di aver troppo curiosato tra i rami.
Come sapete, anche la repubblica odierna è rappresentata a Versaglia; ma non da ritratti, poichè ogni giorno ci vanno gli originali. La rivolta della Comune aveva fatto andare laggiù l'Assemblea costituente, al suo ritorno da Bordeaux; un meschino puntiglio ce l'ha fatta rimanere, con grande rammarico di Parigi e con noia anche più grande dei signori deputati. Salvo uno o due ministeri, non c'è ombra di autorità costituita; il governo parlamentare ci arriva in convoglio a mezzodì e ne riparte alle sei. La politica francese si fa con due ore di perdita al giorno, andata e ritorno compresi. Se è vero che il tempo è moneta, questa forma di governo è troppo cara e bisognerà cambiarla. I giornalisti di Parigi, costretti a fare ogni giorno come i rappresentanti della Francia, sperano, o temono, secondo i casi e gli umori, che possa aver fine col Settennato. Ma quando finirà il Settennato? C'è chi ne prevede la morte volontaria dopo le elezioni senatorie, il cui esito dovrà assicurare la repubblica conservatrice e rimandare gli ultimi rurali con Dio. Se ciò si avvera, non passerà molto che il Senato e l'Assemblea voteranno il ritorno puro e semplice; quello al Lussemburgo, questa al Corpo Legislativo.
Pour le quart d'heure, si tira avanti col provvisorio. La Camera dei deputati è allogata in un cortile, raffazzonato alla meglio. La sala è fredda, ma per contro non bella. Belli, ma freddi, i corridoi che mettono all'aula, in mezzo a due file di statue, che sole non hanno bisogno di caloriferi. Neanche i quadri avrebbero bisogno di fumo, specie di quello del sigaro; eppure, la buvette e il fumatolo sono stati impiantati in alcune sale elegantissime, le cui pareti si vedono ancora tappezzate di quadri, alcuni dei quali di gran pregio artistico, e tutti di molta importanza storica.
Meglio alloggiati i senatori, nel grazioso teatro edificato da Luigi XV per la signora di Pompadour, che morì cionondimeno senza vederlo finito. In questo teatro, che s'inaugurò per le nozze di Luigi XVI col Perseo di Lulli, con l'Atalia di Racine, col Tancredi e con la Semiramide di Voltaire, si diede nel 1789 il malaugurato banchetto delle guardie del corpo al reggimento di Fiandra, donde vennero tutti i guai della famiglia reale.
Quella festa, a cui erano stati invitati gli ufficiali della guardia nazionale di Versaglia, aveva un intento riposto, di rinfiammare la devozione degli ufficiali del reggimento di Fiandra, da pochi giorni arrivato colà. Una mensa di trecento posti, in forma di ferro di cavallo, era collocata sul palcoscenico; nell'orchestra erano le musiche dei due corpi; i soldati, che avevano fatto lega, stavano in platea; molti spettatori, senza mestieri di biglietto d'ingresso, erano stati ammessi nei palchi. Alle frutte, il re e la regina, accompagnati dal Delfino e da sua sorella, apparvero dal palco reale, nel punto che l'orchestra suonava l'aria: «O Richard, o mon roi, l'univers t'abandonne». Le accoglienze furono entusiastiche. L'orchestra allora mutò registro, suonò un'aria del Disertore, notissima allora: «Peut-on affliger ce qu'on aime?» Palco scenico e platea andarono in visibilio; parecchi militi della guardia nazionale, spregiando la loro assisa, rivoltarono le coccarde tricolori. La moltitudine, briaca della sua propria allegrezza, ricondusse la famiglia reale ne' suoi appartamenti. L'esaltazione era al colmo; si ballò sotto le finestre del re, gridando tutti gli abbasso analoghi alla circostanza e tutti i morte più furibondi ai nemici del trono.
Ma pur troppo quella scenata (chiamiamola così) doveva avere il suo contraccolpo a Parigi. Si esagerò forse lo scopo del banchetto e la parte attiva che ci aveva presa la regina; le minacce contro l'Assemblea furono raccolte e commentate; la carestia, che in quell'inverno aveva ridotto troppa gente alla fame, non era certamente consigliera di prudenza nè di magnanimità. Il banchetto si era tenuto il 1.° ottobre; la mattina del 6 il popolo, aizzato da' suoi sobillatori, accompagnato dal Lafayette, che voleva moderarlo, prese la via di Versailles, si condusse a furia sotto le mura del castello e penetrò nella Corte di marmo.
Maria Antonietta, a cui, ne' gravi momenti, non venne mai meno l'ardire, si presentò alla folla, da un verone del primo piano, accompagnata dal Delfino e da madama Reale.—Non vogliamo bambini!—gridarono mille voci sdegnate; e la regina, sfidando il pericolo che le era chiaramente presagito da quel grido feroce, rimandò i suoi due figli, inoltrandosi da sola verso il popolo, come una vittima consacrata alla morte. Ed era tale davvero. Lafayette, avvicinandosi a lei, poteva proteggerla per allora col lustro della sua fama. Il re, chiamato a sua volta, e accolto col grido: «venga a Parigi» potè rispondere che si sarebbe volentieri commesso, con la moglie e coi figli, alla guardia de' suoi fedelissimi sudditi. Ma quella pace piena di rancore, quella partenza immediata per Parigi, che dava alla moltitudine la misura del poter suo e della obbedienza paurosa del suo re, segnavano la condanna di morte per Luigi Capeto, per l'Austriaca e pel lupicino reale. Perchè lupicino? Forse per dire con una sola parola e per via di contrapposto che i delfini, animali d'acqua salsa, non si ammettevano più.
La carovana partì da Versaglia quel giorno medesimo, 6 ottobre 1789, al tocco dopo il meriggio. Si racconta che, passando per una galleria del palazzo, davanti ad un ritratto di Carlo I d'Inghilterra, Luigi dicesse, quasi divinando il futuro: «Il mio destino sarà come il suo». Da quel giorno il castello di Versaglia rimase disabitato. Ci andarono tratto tratto, in occasione di qualche festa, i sovrani che ebbe ancora la Francia, dopo la sua grande rivoluzione. Luigi Filippo, per esempio, quando ebbe fondato il museo nazionale di Versaglia, lo inaugurò col Misantropo di Molière, due atti di Roberto il Diavolo di Meyerbeer e una commedia di Scribe, rappresentati nel teatro di Luigi XV. Ma il figlio di Filippo Eguaglianza non si trovò bene colà. Troppi ricordi lo molestavano; e tra i ricordi, qualche rimorso…. di famiglia. Nel 1848, scacciato anche Luigi Filippo, i membri del Governo provvisorio, ordinarono in quel teatro un concerto; la guardia nazionale, forse per purificarlo dalle memorie di poco civismo della sua antenata del 1789, ci ballò anche lei, ma senza regine di sangue, e per iscopo di beneficenza. Napoleone III ci convitò il 25 luglio del 1855 la regina Vittoria, il principe Alberto e i loro figli, ad una cena sontuosa. Si cenò nel palco reale, diventato, per quella occasione, imperiale. Dopo di che, buio pesto, fino alla prima seduta del Senato, che ci stona abbastanza, forse per amor di contrasto colle armonie di Lulli e di Meyerbeer.
Mi avvedo di essere già dentro a Versaglia, mentre il mio posto era accanto a voi, nella stazione di San Lazzaro. Abbiate pazienza; la fantasia correva innanzi con la rapidità dell'elettrico. Fate conto che sia andata a prepararvi gli alloggi; io torno indietro per ripigliare la strada.