CAPITOLO 7 - L'uomo alla finestra
Credo opportuno avvertire chiaramente che in questa storia non si troverà alcun colore locale. Non me ne intendo di archeologia, io, e non ci tengo a intendermene. Mi par tempo perso, occuparsi di popoli e persone sepolti da millenni. Il signor Carey era solito dirmi che non avevo il "temperamento archeologico", il che deve essere indubbiamente vero.
La mattina dopo il mio arrivo, il signor Carey mi chiese se mi sarebbe piaciuto visitare il "palazzo" che egli stava "ricostruendo"; mi pare sia questa la parola. Dissi che mi sarebbe piaciuto e, per esser sincera, ero anche animata da un vivo interesse. Era vecchio di circa tremila anni, a quanto pareva, quel palazzo! Andavo dunque pensando a che sorta di palazzi avessero mai a quei tempi, e se somigliassero a quelli dei Faraoni che avevo visto al cinematografo. Be', ci credereste? Non riuscii a vedere altro che fango. Polverosi muri di fango secco alti poco più di mezzo metro: ecco tutto! Il signor Carey mi condusse in giro facendomi da cicerone. «Qui c'era il gran cortile, qui alcune camere, e qui un granaio» eccetera, eccetera. Io pensavo: "Ma come fa a saperlo?" E non lo dicevo, si capisce, per educazione. Ma come ero delusa! Tutta la zona degli scavi mi sembrava un ammasso di fango: niente marmo, o oro, o qualcosa di bello insomma. La casa di mia zia a Cricklewood era una rovina molto più imponente! E quei vecchi Assiri, o che altro fossero, si facevano chiamare Re!
Quando il signor Carey mi ebbe mostrato il suo "palazzo" mi affidò a Padre Lavigny, che mi illustrò il resto delle rovine. Io avevo paura di Padre Lavigny, perché era un monaco, era straniero e aveva una voce così profonda, ma devo dire che era molto gentile, sempre un po' distratto. Mi pareva, a volte, che tutta quell'archeologia non fosse molto più reale per lui che per me.
La signora Leidner mi spiegò poi la cosa. Lei mi disse che Padre Lavigny si interessava soltanto ai "documenti scritti" come li chiamava.
Quei popoli scrivevano su tavolette di creta, con strani segni ancora visibilissimi. C'erano perfino tavolette scolastiche: la lezione dell'insegnante da una parte e il compito dello scolaro dall'altra. Confesso che questo m'interessò abbastanza: per via del suo lato umano, se così posso esprimermi. Padre Lavigny mi condusse dappertutto e mi mostrò dov'erano i templi, i palazzi pubblici, le case private, e anche un posto ch'era uno dei primi "cimiteri accadiani". Parlava in modo buffo, a scatti, buttando là un'informazione e poi passando ad altri argomenti.
«Strano che siate venuta qui» disse. «Allora è proprio ammalata, la signora Leidner?»
«Non si può proprio dire...» risposi con riserbo.
«E una donna strana. Una donna pericolosa, credo.»
«Che cosa intendete dire? Pericolosa?»
Lui scrollò il capo, pensoso.
«La credo spietata» disse. «Sì, credo che possa essere assolutamente spietata.»
«Scusatemi. Ma, secondo me, questa è un'affermazione gratuita.»
Padre Lavigny scrollò ancora il capo.
«Voi non conoscete le donne come le conosco io» disse.
"Strana cosa da dire per un monaco! " pensai.
«Sì, sì, può essere spietata» continuò il Padre «ne sono certo... Eppure, benché sia dura come la pietra, come il marmo, ha paura. Paura di che?»