Un'automobile entrò nel cortile e ne balzò fuori un ometto. Portava un elmetto coloniale e una corta giacca impermeabile.
Andò diritto verso il professor Leidner, in piedi presso il dottor Reilly e gli strinse la mano con effusione.
«Vous voilà, mon cher!» gridò. «Felice di vedervi! Sono passato di qui anche sabato, dovendo andare alla missione italiana di Fugima. Sono stato agli scavi, ma non c'era nessun europeo e, ahimè, io non so l'arabo. Non avevo tempo di arrivare sino alla casa... Questa mattina sono partito da Fugima, ho due ore da trascorrere con voi, e poi via di nuovo! Eh bien!
Come va la stagione?»
Sì, era una cosa allucinante.
Quella voce allegra, quella cordialità, quell'eco di mondo normale che ci sembrava così lontano... Lui era piombato lì senza sapere nulla, senza notare nulla, pieno di bonomia... Nessuna meraviglia che il professor Leidner emettesse soltanto un suono inarticolato, rivolgendo un'occhiata implorante a Reilly.
Questi prese per un braccio l'ometto (un archeologo francese, tale Verrier, come seppi poi), lo condusse via e gli spiegò quel che credette opportuno spiegargli
Verrier rimase inorridito, si profuse in scuse e condoglianze, e alla fine corse ad afferrare Leidner con ambe le mani.
«Che tragedia, mio Dio! Che tragedia! Non ho parole! Mon pauvre collègue!»
E scuotendo il capo in un ultimo, vano sforzo di esprimere i suoi sentimenti, l'ometto si arrampicò sulla sua macchina e ci lasciò.
Come ho detto, quell'intermezzo comico nella più grave tragedia, risultò più conturbante di qualsiasi altra cosa fosse potuta accadere.
«E adesso dobbiamo far colazione» disse il dottor Reilly. «Sì, Insisto. Su, Leidner, anche voi dovete mangiare.»
Il povero professore era ridotto in pietose condizioni. Venne con noi in sala da pranzo dove ci servirono un funebre pasto. Nessuno aveva appetito, ma son certa che il caffè bollente e le uova fecero bene a tutti.
Dopo colazione, il capitano Maitland mi Interrogò e io gli raccontai come fossi accorsa in camera della signorina Johnson dopo aver udito quel gemito soffocato.
«E voi dite che c'era un bicchiere per terra?»
«Sì. Doveva esserle sfuggito di mano dopo aver bevuto.»
«Ed era rotto?»
«No. Era caduto sullo scendiletto. Io l'ho raccolto e l'ho posato sul tavolino.»
«Avete fatto bene a dirlo. Ci sono due serie di impronte digitali sul bicchiere. Le une sono certo quelle della signorina Johnson. Le altre debbono esser le vostre, signorina.» Tacque un momento poi disse:
«Continuate.»
Gli descrissi con cura tutto quel che avevo fatto e tentato, guardando con ansia il dottor Reilly in cerca d'approvazione. E lui approvò con un cenno del capo. Fu per me un gran sollievo.
«Voi vi siete subito resa conto di che si trattava?» chiese il capitano. «No. Ma ho capito che doveva trattarsi di qualche acido corrosivo.» «Secondo voi, la signorina Johnson ha ingerito volontariamente quella roba?»